Zinedine Zidane è stato uno di quei giocatori dalla classe innata. Uno di quelli che con il pallone tra i piedi può fare quel che più gli pare con disarmante facilità. Uno di quelli che ammiri anche se tifi per la squadra avversaria. Uno di quelli che spesso e volentieri risultano decisivi per le sorti di un match od una competizione. Uno di quelli che, nel bene o nel male, amano far parlare il campo. Sempre in religioso silenzio.
Il silenzio è spesso arte poco diffusa, specialmente nel mondo del calcio. Non sembra a dirla tutta merce buona per chi, appesi gli scarpini al chiodo, decide di intraprendere la carriera da allenatore. E probabilmente nella maggior parte dei casi in effetti è così. O sei un grande stratega del campo e allora le tue scarse doti comunicative possono anche passare in secondo piano (finché vinci, ovvio). Oppure sei un allenatore come tanti che però ha il grande dono. Quello del carisma.E se c’è una cosa certa è che Zinedine Zidane è sempre stato un leader carismatico. Un eroe silenzioso. L’uomo adatto insomma per guidare dalla panchina i grandi club, quelli infarciti di campioni.
Ci ha messo del tempo Florentino Perez per convincersi che Zizou fosse l’uomo giusto per traghettare il Real Madrid nell’era post Carlo Ancelotti. Del resto il numero uno delle Meregnues non poteva permettersi altri passi falsi. Assurdo infatti pensare come un presidente di un club tanto blasonato che ha la fortuna di avere tra le sue fila uno dei pochi allenatori al mondo, forse l’unico, che eccelle sia par tattica che per carisma, possa invece decidere di affidare la squadra più titolata del pianeta a Rafa Benitez, uno che difetta un po’ di tutto e che infatti è finito ad allenare in Serie B. Quando il 3 gennaio del 2016 l’ex tecnico del Napoli non andò oltre il 2-2 al Mestalla contro lo sgangherato Valencia di Gary Neville anche Florentino decise che era il momento di cambiare rotta. Non fu certo una scelta facile quella del numero uno del Real che aveva chiesto solo qualche mese prima al suo nuovo allenatore di prendere posizione netta contro Ronaldo e Sergio Ramos, due abituati a fare il bello ed il cattivo tempo nello spogliatoio dei Blancos. Compito che Benitez da bravo signor si aveva eseguito a perfezione con il risultato che dopo poche settimane i senatori erano andati a bussare direttamente alla porta del numero uno che non ci aveva pensato un attimo a mollare il tecnico screditandolo davanti ai giocatori e sancendo di fatto una condanna a morte ben prima della materiale esecuzione del 3 gennaio. Il problema era trovare un sostituto a quel punto. E Florentino Perez non era assolutamente convinto di Zidane.
Del resto lo Zidane allenatore fino a quel momento sembrava destinato a percorrere un percorso ben differente da quello dello Zidane giocatore. Il Real Madrid Castilla, fondamentalmente la squadra B delle Merengues impegnata nell’equivalente della nostra Lega Pro, navigava in acque sin troppo tranquille per quelle che sono le ambizioni minime di casa Real. La prima vera esperienza da condottiero di Zizou dopo anni passati alla corte di Mourinho prima ed Ancelotti poi per cercare di cogliere i trucchi del mestiere non procedeva insomma certo a gonfie vele. Ma a gennaio le alternative latitano. Specialmente se ti chiami Real Madrid. Meglio puntare sui sentimenti allora giocando la carta del madridismo. Male che fosse andata la colpa si poteva sempre comunque far ricadere su Benitez e non gettare anzi la croce addosso ad uno Zizou francamente ritenuto inadeguato nelle stanze del potere Real.
E però una volta al timone Zinedine Zidane ha subito una trasformazione. In primis, sin da subito ha preso le distanze da Perez. Mossa che all’interno dello spogliatoio è stata molto gradita. Poi ha deciso di costruire una squadra solida che avesse come unico obiettivo quello di raggiungere il risultato. Che in casa Real poi significa una cosa sola: vincere! A ben vedere rispetto a Benitez, dal punto di vista tattico, non ha fatto proprio nulla di diverso. Ha messo ai margini James Rodriguez puntando con insistenza sul giovane Vazquez e soprattutto ha incentrato il suo progetto tattico su Casemiro, giocatore inamovibile con Benitez fino al pesante 4-0 inflitto dal Barça nel Clasico dopo il quale, per volere presidenziale, il brasiliano venne relegato in panchina vita natural durante. Fino all’avvento di Zizou per l’appunto che inizialmente gli ha concesso appena 22 minuti in 9 uscite salvo poi ripiazzarlo titolare senza concessioni presidenziali dal match successivo alla sconfitta subita in casa dell’Atletico il 27 febbraio 2016. L’unica battuta d’arresto subita dal Real Madrid in 35 partite di campionato con Zidane al timone e prima delle appena due sconfitte rimediate in 53 partite disputate tra Liga e coppe.
Il 2016 di Zidane si è chiuso con 40 vittorie ed 11 pari ed una striscia di imbattibilità, ancora aperta, che dura da 37 partite. Record assoluto per il club e Barcellona (quota 39) nel mirino. I numeri, tradotti in trofei, vogliono dire l’Undecima Champions in bacheca insieme alla Supercoppa Europea ed al Mondiale per club. È sfuggita solo la Liga, per un solo punto per altro. Ma il 2016 del Real Madrid di Zidane ha fruttato un totale di 90 punti con un +4 sul Barcellona che ha per altro giocato due incontri in più e +15 sull’Atletico (1 match in più). Niente male per un tecnico acerbo, considerato dialetticamente inadeguato e che tanta difficoltà sembra avere nel leggere correttamente le partite. Il Real Madrid di Zinedine Zidane non è bello da vedere. Almeno non sempre. Ma vince. E questo è quello che conta dalle parti di Madrid. Merito di un allenatore francese come tanti che però ha il grande dono. Quello del carisma. Dote imprescindibile per guidare dalla panchina i grandi club.