L’Europeo è una competizione storicamente anomala. Un torneo caratterizzato dalla sua formula semplice e sbrigativa. Almeno fino a questa sovraffollata e cervellotica edizione di Francia 2016. Giusto per fare chiarezza, la formula attuale conta infatti otto squadre ed un turno ad eliminazione diretta in più rispetto al passato. Agguantare la qualificazione alla fase finale della competizione, quella che si giocherà in Francia per l’appunto, non era cosa difficile (che che ne dica Conte). Anzi, l’impresa semmai era riuscire a restare a casa. Non a caso infatti, seppur con i dovuti distinguo, le prime sorprese sono arrivate già alla conclusione del round di qualificazione con lo sbarco in territorio transalpino di Islanda, Albania ed Irlanda del Nord, tutte squadre alla loro prima ufficiale ad un gran ballo. L’ulteriore fatto però che da 24 squadre si debbano ricavare gli ottavi fa si che a qualificarsi saranno le prime due di ogni girone più le quattro migliori terze. Per le Nazionali titolate, fatti tutti gli scongiuri del caso, sarà veramente difficile fallire l’appuntamento qualificazione. Ergo sarà difficile, ma non per questo impossibile, che quello di Francia possa essere l’ennesimo Europeo delle sorprese. Cosa che invece spesso si è verificata con la vecchia formula. Fino all’edizione 2012, quella in Polonia ed Ucraina, le squadre qualificate per la fase finale erano solo 16 e ritrovarsi in finale non era poi così improbabile. Se già al momento dei sorteggi della fase a girone finale si aveva la fortuna di poter contare su qualche assenza eccellente era poi sufficiente un ulteriore pizzico di fortuna, magari un ranking totalmente sballato da abbinare alla regola per cui la nazione che ospita è testa di serie, per poter ambire a qualcosa in più di una semplice scampagnata nel Paese ospitante. Per intenderci, la prima fascia di Euro 2012 era così composta: Polonia, Ucraina, Spagna e Olanda. Il risultato? Un girone con Svezia, Inghilterra e Francia, uno con la stessa Olanda, la Germania ed il Portogallo; uno con Polonia, Grecia, Russia e Repubblica Ceca. La finale sarà Italia-Spagna, già insieme nel girone, con gli orange e la Svezia fuori al primo turno. Non è un caso dunque se quella degli Europei è una storia spesso costellata di sorprese, di eventi imponderati ed impronosticabili. Una storia spesso scritta da personaggi minori. Anzi, spesso scritta da un La qualunque fino a ieri uno tra tanti ed oggi improvvisamente eroe nazionale. Come Angelos Charisteas per esempio.
Angelos Charisteas, greco classe ’80 originario di Serres, è il tipico centravanti boa oggi spesso ripudiato, eccezion fatta per Ibrahimovic, in ragione del falso nueve. Il suo fisico imponente, 191 cm per 84 kg, ne limita ovviamente la dinamicità e finisce per essere gioia e dolore dell’ellenico. Diciamolo chiaramente, Angelo Charisteas di professione centravanti di gol ne segna veramente con il contagocce. Dal 1997 al 2002 colleziona 94 presenze con le maglie dell’Aris di Salonicco e dell’Athinaikos (un anno in Serie B nella stagione 1997-1998) mettendo a segno la miseria di 20 reti. Vero è che parliamo di un giovane giocatore che ha appena 22 anni. Infatti i numeri, seppur non impressionanti, attirano l’attenzione del Werder. La squadra di Brema in quegli anni è lontana parente di quella disgraziata che quest’anno ha pescato la salvezza all’ultimo respiro. E’ una squadra che ha ambizioni e che punta seriamente al titolo. E che per farlo decide di ingaggiare proprio Angelos che è greco e non napoletano così che seppur lontano da ‘o sole e ‘o mare alla prima stagione al gelo della Germania mette insieme 31 presenze e 9 gol. Un record. Ecco, giusto per rendere bene l’idea del personaggio che stiamo trattando, Charisteas è uno che in carriera non ha mai superato il tetto dei 9 gol in campionato. E nonostante ciò, è uno che nel 2003-2004 vince con il Werder la Bundesliga comunque da protagonista collezionando 24 presenze e ben 4 gol. Numeri sufficienti a valergli la convocazione di Otto Rehhagel, all’epoca Ct della Grecia, per Euro 2004.
Angelos Charisteas sbarca in Portogallo da (praticamente) perfetto sconosciuto e nell’opinione comune degli addetti ai lavori, gli unici oltre ai collezionisti di figurine Panini a poter vantare un minimo di conoscenza dei giocatori di quella Grecia, come quarto attaccante tra quelli portati in terra lusitana da Rehhagel. Ma a volte, non sempre ma a volte, i numeri dicono molto più di quanto non si creda. Le punte a disposizione oltre al nostro caro Angelos erano tre: Demis Nikolaidis, Zisis Vryzas e Dimitrios Papadopoulos. Il primo all’epoca dei fatti militava nelle fila dell’Atletico Madrid che, sempre all’epoca dei fatti, era una squadra che galleggiava a centro classifica nonostante potesse contare sulla potenza di fuoco di un certo Fernando Torres. Insomma, sicuramente tutta un’altra storia rispetto a quella squadra che oggi inanella secondi posti in Champions con una facilità quasi disarmante. Nella sua stagione il Liga il buon Nikolaidis gioca 22 incontri realizzando 6 reti. Zisis Vryzas dopo un discreto triennio nel Perugia di Gaucci sbarca ad inizio stagione in riva all’Arno a Firenze con un carico di grandi aspettative. Che vengono però deluse. Appena 4 gol in 20 presenze. Un po’ pochino. Non a caso dopo appena un anno farà le valigie per trasferirsi un anno al Celta Vigo. Altri ritmi, altro calcio ma stessi numeri: 7 reti in 32 presenze. Meglio non infierire, fermiamoci qui. Dimitrios Papadopoulos è invece la vera stella dell’attacco ellenico. Lui è uno che la porta la vede. Almeno nella stagione 2003-2004 quando arriva al Panathinaikos ed infila 17 reti in 26 partite dando il suo prezioso contributo alla vittoria del double Campionato-Coppa di Grecia, giunto dopo un decennio di vittorie dell’Olympiakos. Insomma, tolto Papadopoulos la concorrenza, numeri alla mano, non sembra particolarmente agguerrita. Se poi il tecnico è quel vecchio marpione di Rehhagel è facile che il banco salti. E infatti così è, perché il 12 giugno nel match di esordio contro i padroni di casa del Portogallo Papdopoulos è in panchina e la coppia d’attacco scelta dal tedesco è Vryzas-Charisteas. Il 4-4-2 di Rehhagel recita infatti Nikopolidis, Seitaridis, Dellas, Basinas, Zagorakis, Giannakopoulos, Fyssas, Kapsis, Karagounis, Vryzas, Charisteas. Una formazione che, eccezion fatta per le squalifiche, non cambierà praticamente mai per tutta la competizione. Il match si chiude, a sorpresa, con la vittoria degli ellenici per 2-1. Karagounis sblocca al 7’, Basinas raddoppia dal dischetto al 51’ e la rete di Cristiano Ronaldo il pieno recupero serve solo a rendere meno amaro il debutto dei lusitani. Una doccia fredda per tutti i portoghesi presenti all’Estadio do Dragao di Oporto quel giorno. Niente rispetto al dramma sportivo che si sarebbe consumato per i rossoverdi il 5 luglio a Lisbona. Ma andiamo con ordine. La Grecia avrà anche superato il Portogallo, ma ora dovrà vedersela con Spagna e Russia. La sfida con gli iberici si gioca nello stadio del Boavista. Il risultato alla vigilia sembra scontato. Rehhagel lascia ancora in panca Papadopoulos e forse scaramanticamente ripropone in avanti la coppia titolare dell’esordio. Questa volta i biancoblu non vincono. Ma comunque strappano il pari. La Spagna sblocca con Morientes al 28’ ma al 66’ su un lancio lungo di Tsiartas in area, Helguera è piazzato male e non riesce a intervenire. Il pallone finisce a Charisteas, che lo controlla e di sinistro lo fa passare sotto le gambe di Iker Casillas per l’1-1. Già, proprio il nostro Angelos Charisteas. La Grecia ha l’incredibile possibilità di qualificarsi ai quarti di finale dovendo per altro affrontare la Russia nell’ultimo match quando, in contemporanea, Spagna e Portogallo si sfideranno a Lisbona. Quella che sulla carta sembra a questo punto la partita più semplice si rivela un tranello che rischia di costare caro. Questa volta in campo c’è anche Papadopoulos, ma gioca esterno. La coppia d’attacco è sempre Vryzas-Charisteas. I russi si impongono 2-1 ma la rete messa a segno da Vryzas, complice la vittoria di misura del Portogallo sulla Spagna, regalano agli ellenici l’inattesa gioia grazie alla migliore differenza reti. Il 25 giugno allo stadio Josè Alvalade di Lisbona l’avversario di turno è la temibilissima Francia di Zidane, Henry, Pires, Trezeguet, Thuram e compagnia cantante. Rehhagel risponde al solito: squadra che vince non si cambia. A meno che non si metta di mezzo la disciplina. Vryzas è squalificato, Charisteas non si tocca, chi volete che giochi come secondo d’attacco? Se avete detto Papadopoulos avete sbagliato. Nel consolidato 4-4-2 gioca titolare Nikolaidis. La partita è abbastanza equilibrata. La Grecia parte meglio ma alla lunga la Francia sembra venire fuori. Al 65’ gli ellenici, a sorpresa, passano in vantaggio. Zagorakis supera in pallonetto Lizarazu, alza la testa e mette un cross al bacio per Charisteas: l’attaccante del Werder non ha difficoltà a realizzare di testa il secondo goal nella competizione. Un gol veramente pesante perché nonostante gli ingressi di Saha e Wiltord ed un clamoroso tentativo di testa di Henry che finisce di poco a lato il risultato non cambia. Dopo Italia, Germania ed Inghilterra, battuta ai rigori dal Portogallo, anche la Francia saluta l’Europeo. Va avanti la Grecia che complice il tabellone inizia ad avere l’acquolina in bocca. Perché in semifinale il Portogallo si becca l’Olanda, vittoriosa solo ai rigori contro la Svezia, mentre la Grecia se la vede con la Repubblica Ceca che ha sconfitto 3-0 la Danimarca. All’Estadio Do Dragao il primo luglio del 2004 si compie nuovamente il miracolo. La peggiore invenzione della UEFA dopo il Golden Gol, ovvero il Silver Gol, regala alla Grecia una storica finale. Il 4-4-2 titolare di Rehhagel si snocciola ormai a memoria ed il mattatore della serata è Dellas che in pieno recupero del primo tempo supplementare svetta di testa sul primo palo per deviare in rete un angolo di Karagounis. Non c’è più tempo da giocare. La Repubblica Ceca esce dopo aver dominato la partita. La Grecia di Rehhagel, una squadra che fa del catenaccio e contropiede il suo credo, vola a Lisbona per la finalissima contro il Portogallo. Euro 2004 finisce come si era cominciato. In tutti i sensi. Ma questo i portoghesi ancora non lo sanno.
Quando alle 20:45 (19:45 in orario lusitano) le squadre scendono in campo allo Estádio do Sport Lisboa e Benfica, per tutti il Da Luz, il Portogallo tutto già assapora la festa. Si è vero, c’è quel precedente un po’ infausto della partita di apertura del torneo. Ma anche in Portogallo, non chiedeteci come ma siamo sicuri che si dica, vale il detto Errare è umano ma perseverare è diabolico. Ecco perché tutti sono convinti che quel volpone di Felipe Scolari, uno che di calcio ne mastica, stavolta non si farà prendere in castagna. Del resto la federazione lusitana ha scelto lui esclusivamente per non fallire l’appuntamento con la gloria. Quello che spesso una Nazionale bella ma incapace di ballare ha fallito. Ma questa volta deve essere diverso. I Mondiali di Brasile sono ancora lontani un decennio e quindi loro non lo sanno di cosa può essere in grado il buon Felipe. E poi quel 2004 è l’anno di massimo fulgore per il Portogallo probabilmente dai tempi di Eusebio. E’ l’anno della vittoria della Champions League del Porto di Mourinho ed in generale quella lusitana è una formazione che può contare su giocatori del calibro di Deco, Maniche, Ricardo Carvalho, Pauleta, del sempre verde Luis Figo in quegli anni stella del Real Madrid, sull’esperienza di Rui Costa e su uno sbarbatello quanto già funambolico Cristiano Ronaldo. Insomma, può veramente la Grecia rovinare, di nuovo, la festa? Si, può. Perché questa è una sgorbia storia di personaggi La qualunque ritrovatisi eroi dalla sera al mattino. E finisce così che Lisbona ed il Portogallo si inchinano agli ellenici guidati da quella vecchia volpe, lui si, di Rehhagel. Non servono neanche supplementari o rigori. Bastano i novanta minuti regolamentari di gioco. Anzi, 57’ per la precisione. Perché è in quel minuto che sull’angolo di Basinas, Vryzas fa blocco su Ricardo e Charisteas brucia sullo stacco Costinha siglando il gol per quello che resterà l’1-0 finale. Proprio lui, Angelos Charisteas. Il bomber che bomber non era e che in effetti da lì in avanti continuerà a non essere bomber. Lui che in meno di un mese in Portogallo segna tre gol pesanti come macigni che lo consegnano alla storia della Grecia. Lui, dimostrazione vivente che come recitava David Bowie, è possibile essere eroi anche solo per un giorno (od una manciata di giorni). Lui che con un colpo di testa scolpisce indelebilmente il suo nome nell’Olimpo della civiltà ellenica e manda in visibilio una nazione che da quel momento in poi conoscerà un declino senza fine che la porterà alle rivolte di piazza dei giorni nostri. Ma questa è un’altra storia che poco c’entra con il calcio.