Undici metri. Non importa quanto impieghi un pallone calciato con forza a percorrere undici metri. Quegli undici maledetti metri che separano il dischetto del rigore dalla linea di porta. A Manolo Gabbiadini quella manciata di millesimi di secondo sarà comunque sembrata un’eternità. Chissà cosa gli sarà balenato nella testa quando quasi per caso si è ritrovato nella notte di Firenze con il peso della responsabilità addosso. Proprio lui che forse in quel momento ne avrebbe volentieri fatto a meno. La responsabilità di battere un rigore all’ultimo minuto di un match dove il Napoli sta rincorrendo la Fiorentina. Quell’ultima possibilità. Quella di strappare almeno un punto in una serata che sembrava nata bene e che stava per finire storta. Quel punto che magari oggi che siamo ancora a dicembre può sembrare poca cosa ma che poi magari alla fine del campionato potrebbe fare la differenza.
Chissà perché sul dischetto non si è presentato Mertens. Chi meglio di lui che magari proprio rigorista non è ma che in questo momento trasforma in oro qualsiasi tocchi. Chissà perché è toccato proprio a Gabbiadini. Lui che si invece è rigorista ma che in questo ultimo periodo ha scarsa confidenza anche con la porta di casa. Segno di fiducia, certo. Ma chissà cosa avrà pensato Manolo, mani sui fianchi, attendendo il fischio di Tagliavento. Impossibile non gli sia balenato per la testa il pensiero di sbagliare. In certe situazioni, quando non sembra andarne dritta neanche una, i pensieri negativi affiorano sempre per primi. E quando sei sul dischetto del rigore non è che hai tutto questo tempo per permettertene un secondo di pensiero. Per altro devi anche decidere dove tirare. Ma magari questo Gabbiadini lo aveva già fatto ancor prima che Salcedo perdesse il senno. Ancor prima che il Napoli partisse per Firenze magari. Chissà quante volte Manolo in queste settimane avrà immaginato il momento della rinascita. Che per un centravanti poi vuol dire il momento di quel benedetto gol scaccia crisi. Quello che in crisi ti ci manda perché sembra non arrivare mai. Magari il suo gol della rinascita lo aveva immaginato su azione. Magari in rovesciata sotto la Curva B. Uno di quei gol decisivi. Al novantesimo. Di quelli che viene giù lo stadio. Ma pazienza, va bene anche un rigore.
Nel frattempo Tagliavento ha fischiato e la sfera è partita bassa verso l’angolino opposto. Un bel rischio a dirla tutta. Quando si incrocia generalmente lo si fa mirando all’angolino in alto. E no, non è possibile. Tatarusanu si è buttato proprio lì. Non importa quanto impieghi un pallone calciato con forza a percorrere undici metri. Se sei Manolo Gabbiadini questa sera ti sembrerà comunque un’eternità. Chissà se c’è una telecamera spalle alla porta che fermerà l’espressione di terrore che ti sale sul volto. Lo sguardo che si sgrana e le pupille che gridano “non è possibile”. Ti viene voglia di soffiare probabilmente. E sicuramente pensi “quanto è lungo sto portiere”. Probabilmente non senti nulla. Anche se sei in uno stadio circondato da trentamila persone, non senti nulla. Se non le gambe che tremano. E poi ti si annebbia la vista. Di sicuro ti si annebbia la vista. Vedi tutto offuscato eccetto il titolo del giornale che domani ti darà addosso. Che ti stroncherà e ti taglierà le gambe. Che poi è tempo perso. Che tanto già non le senti più le gambe. E poi i compagni. Che gli dici ai compagni quando torni negli spogliatoi, scusate? E sai che gli frega a quelli. Anzi, qualcuno avrà pure dato per scontato l’errore. Perché Tatarusanu la prende. La prende vero? Vero?
Chissà cosa ha pensato Manolo Gabbiadini quando l’urlo del settore ospiti del Franchi l’ha strappato a quello stato di torpore in cui improvvisamente era piombato una vita fa. Magari che Tatarusanu alla fine è più corto di quanto non sembri. O magari che la prossima volta, perché ci sarà di sicuro una prossima volta, va bene incrociare ma magari sparando verso l’angolino alto. Sicuramente ha pensato che è alla fine è stato culo. Magari tra qualche ora, a mente fredda, realizzerà pure di essere stato bravo. Ma per il momento avrà sicuro pensato che gli è andata di culo. Per un momento ha pure pensato di andare a prendere il pallone e portarlo a centrocampo. Ma poi per fortuna ha pensato “fanculo, me la godo”. Del resto erano settimane che aspettava questo momento. E gli è scappato un sorriso. Una rarità. Ma anche un segnale che qualcosa è finalmente cambiato. E se la stagione di Gabbiadini adesso decollasse? Di sicuro da stasera Manolo ha una certezza in più. Quella della misura esatta che divide gli inferi dal Paradiso. Undici metri.