Quella di ieri è stata senza dubbio la giornata di Francesco Totti. La doppietta che in tre minuti manda in visibilio l’Olimpico e consente alla Roma di ribaltare il match con il Torino e probabilmente ipotecare la qualificazione alla prossima Champions League ha senza dubbio rubato la scena ad altri fatti rilevanti della giornata calcistica nostrana. Vedi ad esempio la vittoria della Juventus che consente alla squadra di Allegri di mettere tutte e due le mani sullo scudetto o vedi anche la sconfitta dell’Inter che sa di condanna ad una coppa da giocare al giovedì anziché tra martedì e mercoledì. Ma perché la doppietta di Francesco Totti sta facendo tanto scalpore in Italia e all’estero? Non certo perché il giocatore non ci abbia abituato a certi numeri. Non c’è bisogno di mettersi qui a snocciolare statistiche e palmares. Il solo fatto che tutta Europa ne stia parlano rende bene l’idea della caratura del soggetto in questione. Il motivo è senz’altro un altro. Ovvero il fatto che nessun appassionato di calcio, a prescindere dalla fede calcistica, sia riuscito a digerire come la Roma e Spalletti abbiano deciso di trattare quello che per i tifosi giallorossi è molto più che un semplice giocatore: è un simbolo. L’idolo indiscusso, emblema di una faccia della romanità e del romanismo tutto. Un giocatore che ha scritto pagine della storia del calcio romano, romanista, italiano e mondiale. Un giocatore che merita rispetto; se non più, almeno quanto gli altri. Perché parliamo di un giocatore che oltre a dedicare se stesso e la sua carriera alla squadra del cuore rinunciando anche, inutile negarlo, a palcoscenici ben più prestigiosi e trionfi internazionali che lo avrebbero potuto probabilmente condurre a quel Pallone d’Oro da sempre oggetto di oggettiva consacrazione internazionale, è stato spesso utilizzato dalle stanze del potere come specchietto per le allodole, come bene di pregio di cui vantarsi e da opporre all’occorrenza allo sfregio. Come simbolo da sacrificare in pasto all’affamato pubblico che mai oserebbe e avrebbe osato schierarsi contro il suo idolo. Neanche nei momenti peggiori come le batoste in Champions League od il derby del 26 maggio. Un simbolo che questa società americana così market e marketing oriented avrebbe forse fatto bene a preservare e coccolare con più attenzione perché molto valore adduce al marchio AS Roma. Perché diciamolo chiaro, se tutto il mondo è dalla parte del Pupone la colpa è anche se non solo della società. Perché questa storia, la cui trama è ormai nota, coinvolge evidentemente almeno tre protagonisti. Una vittima designata, il capitano; un sicario, Luciano Spalletti da Certaldo; Un mandante: James Pallotta.
E pensare che come d’abitudine era stato proprio il capitano a sfoderare un assist straordinario con le scellerate ed arroganti dichiarazioni rilasciate al TG1 alla vigilia di Roma-Palermo. Una presa di posizione talmente inopportuna per tempi e modi da far diventare popolare la scelta del mister di allontanarlo dal ritiro. Un’onta che in altri tempi, utilizzando un eufemismo, sarebbe stata mal digerita dal popolo giallorosso. Poteva finire lì, con la società che aveva ottenuto quello che voleva: un Totti avviato verso un triste ed inevitabile declino con il pubblico pronto a tributargli l’onore delle armi. E invece no. Perché agli americani, che poco si preoccupano dei deludenti risultati in campo, quando si tratta di altre vicende evidentemente non solo vogliono vincere ma stravincere. E allora giù ad infierire affidando il mitra alla bocca di Luciano Spalletti. Non si faccia infatti l’errore di cadere nel tranello mediatico che riduce la battaglia ad un duello. Le uscite del tecnico ex Zenit, antipatiche per tono e contenuto, sono state avallate dalla dirigenza che mai è intervenuta in questi mesi, pubblicamente od in segreto, a smorzare i toni. Come si suol dire, chi tace acconsente. Ne mai la società ha preso una posizione netta. Perché se si è arrivati a questa situazione è anche perché nessuno, eccetto Totti, ha dichiarato apertamente la sua intenzione. Il giocatore vuole giocare e lo ha detto. Nel modo sbagliato, dicendolo in televisione, ma lo ha fatto. La società non ha problemi affinché il Pupone continui a giocare, purché lo faccia da un’altra parte. Ma non lo ha detto e non lo dice. Anche questo è sbagliato. A quanto pare quegli americani che tanto spesso invidiamo non hanno poi così tanto da insegnarci. Anzi, se avessero preso spunto da come la Juventus ha gestito il caso Del Piero ora a Trigoria dormirebbero tutti sonni più sereni. Non è anzi difficile pensare che allo stesso Spalletti, da sempre fedele esecutore, sia stato suggerito di esporsi pubblicamente. Del resto il momento era propizio. La scia di vittorie, il secondo posto ad un passo, l’entusiasmo ritrovato, le aspettative per la prossima stagione.
Peccato che il calcio è cosa strana. Basta poco, qualche risultato negativo ad esempio, per far saltare il banco e le sicurezze acquisite. Se poi il leone ferito anziché restare lì a leccarsi le ferite decide, finalmente in religioso silenzio, anche di tirare fuori gli artigli, la situazione rischia di diventare esplosiva. Il gol al Bologna, poi quello all’Atalanta fino alla doppietta di ieri sera. Cinque punti regalati alla causa dal campione di punto in bianco diventato un peso. Sui primi due Spalletti ha continuato ancora a negare l’evidenza. Ieri sera, dopo essere stato fischiato dai tifosi ad inizio partita e poi umiliato dalla doppietta dell’ingombrante capitano nel finale cui ha fatto seguito il tentativo di abbraccio non restituito, ha dovuto chinare il capo anche lui ed arrendersi. La folla che piange, un’intera squadra che corre ad omaggiare il suo condottiero. No, non Spalletti, l’altro. Tutto il mondo è ormai schierato con quel giocatore quasi quarantenne che non è un giocatore qualunque ma che da giocatore qualunque è stato trattato. Tifosi giallorossi, giornali, appassionati. Tutti dalla parte del capitano che ha ora la grande opportunità di abbandonare la scena a fine anno da vincitore. Che ironia. In fin dei conti sarebbe l’epilogo auspicato da Boston. Ma avrebbe certo tutto un altro sapore per Totti e non solo. Per sapere come andrà a finire bisognerà attendere ancora qualche altra settimana. C’è però un traguardo inaspettatamente raggiunto dalla premiata ditta Pallotta-Spalletti. Era difficile, ma bisogna ammettere che sono riusciti nell’impresa di rendere un po’ più simpatico Francesco Totti anche ai laziali.