Correva l’anno 2010, era un novembre freddo e dalla curva Primavera del Comunale si vedevano correre ventidue uomini in campo. Emiliano Mondonico era seduto in panchina e tutto sembrava al suo posto: il tabellone luminoso mostrava le formazioni titolari e lo speaker annunciava l’ingresso delle squadre in campo. A non correre però, quella sera, fu il protagonista tanto atteso, il Torino, che da tempo aveva perso la grinta e il cuore granata che nella storia hanno contraddistinto il club nato nell’ambiente conservatore della Torino industriale del Novecento. E per di più Mondonico era seduto sulla panchina sbagliata, ovvero quella dell’Albinoleffe. Nonostante il senso di desolazione dato dalle trame di gioco del Toro e dagli enormi spazi vuoti lasciati in curva dai tifosi, uno stacco di testa di Rolando Bianchi regalò la vittoria ad una squadra spenta e senza futuro, contestata dai pochi presenti infreddoliti nonostante i 3 punti guadagnati. Mai ci si sarebbe aspettati, pochi anni dopo, di assistere ad un altro 1-0, sempre nella stessa curva, ma dal tenore completamente diverso. Si tratta di Torino Napoli, siamo nel marzo 2015: sotto gli occhi entusiasti dei tifosi che riempiono di calore lo stadio Comunale, Kamil Glik svetta in area di rigore e trasforma un corner in vittoria. A molti è sembrato naturale rivedere il Toro in serie A, di nuovo a metà classifica, a combattere per un posto in Europa, a soffrire e a regalare emozioni agli appassionati di calcio. Quello che è successo nell’arco del breve tempo intercorso tra i due momenti menzionati, tuttavia, non è da sottovalutare.
Prima di tutto c’è una politica societaria coerente, costante e di successo. Urbano Cairo e Gianluca Petrachi negli ultimi quattro anni e mezzo hanno deciso di investire sui valori del lavoro, dell’umiltà e della serietà, resistendo anche nei momenti più difficili alla tentazione di abbandonarsi al guadagno immediato. Ciò grazie ad un mercato oculato, volto alla ricerca di giovani moralmente sani e con tanta voglia di dimostrare il proprio valore, valorizzandoli e sapendo aspettare il momento giusto per cederli e reinvestire i ricavi nello stesso modo. Una serie di colpi azzeccati, si pensi tra tutti ad Ogbonna, Immobile, Cerci e Darmian, hanno permesso di rigenerare il ciclo anche quest’anno con entrate del calibro di Belotti, Baselli e Zappacosta, senza contare i già presenti Padelli, Bruno Peres, Glik e Maksimovic.
L’acquisto migliore della gestione Cairo però non è un bomber né un libero, ma un allenatore. Stiamo parlando proprio di lui, Giampiero Ventura, che dal Pisa al Bari ha sempre cercato di esprimere un calcio veloce e brillante, portandosi dietro i suoi pupilli, come Alessandro Cerci dal Pisa, e i suoi uomini di fiducia, come Gillet e Glik su tutti dal Bari. Già in Puglia il tecnico genovese aveva iniziato bene, portando il Bari a livelli che non raggiungeva da vent’anni. Qualche sconfitta di troppo nell’anno della retrocessione dei biancorossi con tanto di scandalo calcioscommesse per alcuni componenti della squadra hanno costretto Ventura a presentare le dimissioni interrompendo un progetto tecnico divertente ed interessante. A denti stretti, con fiducia in se stesso e tanti sacrifici, Giampiero Ventura si è riproposto con autorevolezza grazie anche alla lungimiranza della società granata. Il caratteristico 4-4-2 ruvido e sfrontato, ormai marchio di fabbrica, è destinato a continuare il suo cammino verso il successo. La sua personalità questa volta ha la possibilità di emergere contro il grigio tepore del gioco attendista e speculativo che dilaga negli stadi italiani e lascia ben pochi sopravvissuti. Ma se “Nuvolari ha la bocca sempre chiusa e di morire non gli importa niente”, Ventura da parte sua tiene le mandibole ben serrate, e per i suoi uomini è pronto a mettersi in gioco ogni settimana. Tecnici senza acume e squadrette noiosamente compatte sono avvertiti, il cuore granata è tornato a pulsare fiero e vigoroso, e per affrontarlo servirà ben altro che una zonetta di periferia alla ricerca disperata di un pareggio casalingo.