Dopo la prima giornata di Seria A emergono già alcuni spunti interessanti sugli scenari della prossima stagione. Tra piacevoli sorprese e inevitabili scivoloni andiamo a scoprire qual è la situazione in casa delle big del nostro campionato.
Qui Milan: un Aeroplanino nuovo di zecca – Il calcio d’agosto non è mai pienamente indicativo, serve piuttosto a registrare i pregi da salvaguardare e i difetti da limare in vista della stagione appena iniziata. Una sorta di check-point funzionale a correggere il tiro in corso d’opera. Ecco, per Montella il lavoro di rivisitazione del suo Milan sarà decisamente agevole: ben chiari i problemi di tenuta difensiva (legati più ad errori individuali che ad un processo sistemico), altrettanto nitidi i progressi nel gioco, all’insegna di un calcio pulito, tutto tocchi veloci e ripartenze. La nuova filosofia dell’Aeroplanino, non più aprioristicamente devoto al dogma del possesso palla, convince senza riserbo: gli interni lavorano senza sosta per favorire i tagli dei terzini (fulminante la progressione di Abate in occasione dell’1-0), o attaccano loro stessi la profondità senza palla; Bacca e Niang imperversano sulla trequarti avversaria senza fornire punti di riferimento, muovendosi con interazioni bilanciate, senza mai pestarsi i piedi. Proprio Carlos Bacca (21 gol in 40 tiri nello specchio da quando è in Italia) seppellisce con una tripletta i mugugni di un’estate scellerata, in cui la dirigenza rossonera ha provato a venderlo in ogni modo. El Peluca resta e la rincorsa alla Champions passa dai suoi gol. L’uomo copertina è però Gigio Donnaruma, 17 anni e una sfacciataggine da veterano: ipnotizza Belotti al 96’, negandogli il pari dal dischetto, beffa Mihajlovic (che pur l’aveva lanciato nel calcio dei grandi) ed evita al Milan di ripartire con le solite insicurezze sul groppone.
Qui Inter: same old story – La rivoluzione cinese della cordata Suning si schianta con una delle realtà più reazionarie del calcio italiano. Perché Inter e Chievo sono gli opposti che non si attraggono, lontani anni luce per strategie societarie e intuizioni tattiche da sciorinare in campo. Se il Chievo ha cambiato poco o nulla rispetto alla scorsa stagione, la nuova Inter di Frank de Boer è un cantiere aperto, giunta peraltro visibilmente impreparata al primo appuntamento stagionale. Troppo pochi i giorni a disposizione del tecnico olandese per imprimere un’idea di gioco ad una squadra votata, per l’ennesima volta, ad una rivoluzione. I problemi strutturali della vecchia Inter restano, al netto dei nuovi arrivi, e nemmeno l’alibi della non congrua preparazione fisica giustifica la lacuna più evidente anche in epoca manciniana: manca un cervello che possa dettare tempi e andature di un centrocampo che ancora una volta antepone i muscoli di ferro all’intelligenza di un playmaker. Kondogbia e Medel non hanno le qualità per svolgere quel ruolo, e Banega sembra più un trequartista che un regista puro. A peggiorare la situazione intervengono i meccanismi di una squadra non rodata, terribilmente macchinosi e approssimativi: i giocatori nerazzurri si muovono poco e male lontano dalla palla, e di conseguenza ogni passaggio risulta lento nella sua esecuzione. La scelta di FDB di abbottonarsi all’esordio con un italianissimo 3-4-1-2 la dice lunga sulla difficoltà del tecnico di affidarsi in toto alla sua idea di calcio: l’inserimento di Candreva ed Eder è stato giustificato dall’esigenza di chiamare in causa due uomini che conoscessero quel modulo. Il risultato è una brutta copia dell’Italia di Conte, priva di un’anima e di nozioni di base condivise.
Qui Napoli: poltergeist Pipita – Il quesito più importante che aleggia alle pendici del Vesuvio è lo stesso da un mese a questa parte: quanto peserà l’ombra del Pipita? Tanto, non ci sono dubbi. Un interrogativo iconico quanto ridondante, destinato a riecheggiare a lungo nella testa dei napoletani, che l’esordio col Pescara non ha fatto altro che rimpolpare. Il Napoli di Sarri, alla prima in serie A senza Higuain, salva la faccia in un debutto thriller, scongiurando il peggio grazie ad una doppietta di Dries Mertens: l’eterno rincalzo di Insigne entra e rimette sui binari giusti, praticamente da solo, una gara in salita. Tutta un programma poi la polemica con Sarri, gelato dopo il primo gol dallo sguardo intimidatorio del belga, deluso da un impiego intermittente. Rimostranze legittime a giudicare dall’andazzo della gara: Insigne vaga senza incidere, visibilmente distratto dai malumori legati alla piazza, Gabbiadini non regge il peso di un lascito ingombrante e conferma la sua inadeguatezza ad agire da prima punta di peso. Disastrosa la condotta del pacchetto arretrato, con Koulibaly e Albiol costantemente in difficoltà sulle infilate di Benali e Caprari. Le uniche note liete arrivano proprio da Mertens, nettamente l’uomo più in forma dei partenopei, e dall’oggetto misterioso Milik. Il ventiduenne polacco dialoga alla perfezione con i compagni di reparto disegnando, con i suoi movimenti senza palla, importanti canali di sbocco per la rapidità delle ali. Nonostante la partenza del Pipita, Il potenziale offensivo a disposizione di Sarri resta tra i migliori in circolazione. Sarà necessario responsabilizzare gli attaccanti, chiamati a dividersi equamente il conto dei gol richiesti per ambire a traguardi importanti. Un tempo bastava un solo uomo a segnare per tre e a risolvere ogni problema. Adesso il vento è cambiato, toccherà a Sarri mettere a punto la formula giusta.
Qui Roma: tutti a segno – Dopo la parentesi del preliminare di Champions poteva essere facile perdersi. Lasciare per strada dei punti, specie nella fase iniziale del campionato, in cui i motori non girano mai con l’intensità desiderata, era quasi un dato messo in conto. La Roma però, dopo il convincente pari di Oporto, ha dato prova della sua maturità anche in campionato andando oltre le più rosee aspettative. Il 4-0 rifilato all’Udinese di Iachini suonerà eccessivamente largo per come si è sviluppata la partita, eppure testimonia il cinismo di una squadra che quando ha gli spazi per affondare sa come essere letale. I primi 45’ scivolano all’insegna dell’equilibrio: la Roma fatica a dismisura a fare breccia tra le maglie dei bianconeri, ben disposti tatticamente e attenti a bloccaresul nascere le accelerazioni degli esterni avversari. Poi, pian piano la qualità dei giallorossi emerge. Eccome se emerge: a spaccare gli equilibri ci pensa Diego Perotti (tenuto colpevolmente in panchina da Spalletti) che con un due su due dal dischetto nel giro di 10 minuti inaugura di fatto la sagra del gol capitolino. L’Udinese si sfilaccia e Salah diventa imprendibile in campo aperto: si procura un rigore, mette a ferro e fuoco la difesa friulana con progressioni devastanti e cala il poker sui titoli di coda. Bene anche Dzeko, apparso la bella copia del centravanti smarrito visto la passata stagione. Spalletti conosce l’importanza del bosniaco nei meccanismi offensivi della Roma, non soltanto in materia di gol, ma soprattutto in termini di movimenti e spaziature: la capacità di far collassare su di se la difesa risulta fondamentale per sfruttare le doti d’inserimento degli esterni. La vera sorpresa è però Leandro Paredes, discretamente a suo agio in cabina di regia: la qualità non gli manca, la visione di gioco nemmeno. Diciamo pure che la Roma ha trovato il suo regista. Affermare però che sia meglio di Pjanic, ad oggi, sembra un’eresia.
Qui Juventus: sinapsi e pancia – Il momento più atteso dell’estate è arrivato praticamente subito. Sono bastati nove minuti a Gonzalo Higuain per fare quello che gli riesce meglio: segnare e decidere le partite con il suo immenso talento e una capacità di vedere la porta fuori dal normale. Nove come il suo numero di maglia, il simbolo di un bomber capace di andare oltre ogni contestazione. I più maligni avevano ironizzato sulla sua forma non proprio smagliante, con quel girovita colpevolmente abbondante al ritorno dalle vacanze estive. La verità è che il fiuto del gol resta, anche al netto di qualche chilo di troppo. Miralem Pjanic, l’altro gioiello del mercato stellare bianconero, non è sceso in campo. Meglio così, perché Allegri ha potuto sperimentare soluzioni alternative in cabina di regia: bene Lemina, forse un po’ troppo scolastico in fase d’impostazione, ma alternativa validissima al bosniaco in attesa del rientro di Marchisio. Paradossalmente il reparto che ha subito la maggiore perdita (con la partenza di Pogba) è quello che funziona meglio: Asamoah sembra essere tornato quello dei vecchi tempi, mentre Khedira, a dispetto di una condizione fisica precaria, dispensa una lezione tattica d’alta scuola. Il cervello conta più delle gambe, Allegri lo sa e si coccola l’infinita materia grigia del tedesco. Al di là delle individualità, il sistema Juve appare già ben rodato: solita pressione alta degli attaccanti funzionale al recupero, consueta predilezione del dominio in mezzo al campo, con un possesso palla mai ridondante e sempre predisposto alla verticalizzazione. Non preoccupa più di tanto qualche amnesia in fase difensiva perché, una volta recuperata la condizione fisica, la BBC resta il punto di forza più importante dei bianconeri. Se il discorso scudetto assume già in partenza i toni di un monologo, la vera ambizione, ormai non lo nasconde più nessuno, è la Champions. Con un Pipita in più, tutto è possibile.