Partiamo da un dato: era dal 2010 che non venivano effettuate così tanti tiri in porta in una partita di Serie A. 48 per la precisione, come in quel Parma-Livorno di fine stagione terminato 4-1 per i crociati. Roma-Atalanta è stato uno spettacolo divertente per i tanti spettatori neutri, che probabilmente non ha avuto nulla da invidiare alla contemporanea débâcle casalinga di Mourinho contro il Tottenham.
Le due squadre si azzannano, si superano a vicenda e poi si annullano. La serata dell’Olimpico ci lascia un 3-3 che sa di rammarico che per l’Atalanta, imbottita di riserve vista l’imminente trasferta di Copenhagen, ma per un’ora abbondante a dare lezioni di calcio, che per la Roma, in vantaggio dopo una manciata di secondi ma troppo vulnerabile dietro.
Si comincia con una prodezza di Pastore, alzato nel ruolo di ala sinistra esattamente come nel secondo tempo di Torino. Primo ma anche ultimo acuto prima che venga fuori l’Atalanta: la differenza di condizione (gli orobici erano alla settima gara stagionale) e la mancanza di filtro a centrocampo, che porterà Di Francesco nella ripresa a sostituire le due mezzali Cristante e Pellegrini con Nzonzi e Kluivert, il mix di cui l’Atalanta ha saputo approfittare, con Zapata e Rigoni capaci di incunearsi su qualsiasi spazio lasciato scoperto. Fazio e Manolas probabilmente reduci dalla loro peggior partita con la maglia della Roma ma desta stupore la facilità con cui gli uomini entrambi vengono infilati nei loro spazi e, soprattutto in velocità, una delle doti per cui il centrale greco si è sempre distinto in Serie A.
La seconda e la terza rete nerazzurra nascono da errori da matita rossa, ma vengono supportati anche dall’ottima condizione di un po’ tutta la rosa nerazzurra: sulle fasce Castagne e Adnan non fanno assolutamente rimpiangere Hateboer e Gosens dando parecchi grattacapi a Florenzi e Kolarov. Nella ripresa qualcosa viene smosso fra le fila giallorosse dai cambi e dal modulo: prima 4-2-3-1, con Nzonzi e De Rossi dietro e Kluivert assieme a Pastore trequartista e Under dietro Dzeko, e poi, a seguito dell’infortunio di Florenzi, con un “Inedito” 2-3-3-2 a trazione offensiva con Schick accanto a Dzeko. In casa Atalanta, paradossalmente, il contrario: cambi legittimi per chiudere il match che però finiscono per sfilacciare ulteriormente la squadra, costringendola ad arrancare nel finale nonostante per larghi tratti ci sia stata la seria possibilità di mettere un’ipoteca sul match.
Un pareggio che complessivamente sta più stretto all’Atalanta che alla Roma: con un pizzico di cinismo in più si poteva portare a casa un risultato molto importante, per confermare per il terzo anno di fila che la Dea non ha assolutamente paura delle grandi. Inoltre un upgrade importante la coppia Zapata-Rigoni: momentaneamente per lasciare a riposo gli altri ma non è da escludere venga riproposta altre volte. Stupisce soprattutto Rigoni, all’esordio in Serie A: doppietta che ci riporta alla Luce le stagioni all’Independiente, dove era etichettato come un dei prospetti più interessanti del calcio argentino. Un anno vissuto quasi in ombra in Russia e ora la possibilità di riscattarsi per magari tornare utile anche in chiave nazionale. Lo stesso dicasi per Castagne, lo scorso anno molto deludente ma oggi con un altro piglio. Elementi con cui Gasperini può vivere nella miglior maniera il campionato ma soprattutto l’Europa, Copenhagen permettendo.
C’è da lavorare molto in casa Roma e l’atteggiamento del secondo tempo è l’unica medicina da cui ripartire. Esordio un po’ azzardato per Nzonzi, che comunque ci mette del suo e dimostra subito di poter dare una mano, anche in virtù delle condizioni odierne di Pellegrini e Cristante. Non si esclude in un futuro non troppo prossimo il centrocampo di una parte del secondo tempo, con Nzonzi in mediana assieme a De Rossi e Pastore più avanzato. Una serata che paradossalmente lascia più certezze e soluzioni offensive, visti i 3 moduli utilizzati e le innumerevoli occasione create fra palle inattive (il pareggio di Manolas) e non (Florenzi), ma che lascia enormi dubbi sull’unico reparto che lo scorso anno aveva funzionato quasi alla perfezione e che doveva essere la pietra fondante della stagione che verrà. Troppo presto comunque per trarre giudizi definitivi o per capire, eventualmente, come muoversi nel mercato di riparazione per evitare una nuova Zemanlandia. La notte di San Siro di venerdì anche per vedere