Premessa: questo pezzo esula dall’essere un’analisi dei freddi numeri di una trattativa che ci ha accompagnato per tutta l’estate, così come non vuole nemmeno esprimere il rancore di un tifoso tradito o intristitosi alla perdita del grande campione che idolatrava.
Tutto ruota attorno al romanticismo, quello che è legato mani e piedi al mondo del calcio e rende le storie dei campioni o delle finali mistiche ed epiche, quello che ci permette di vivere gli ultimi minuti di una gara con la sofferenza di chi rischia di farsi scappare dalle mani ciò per cui ha lottato, quello che ci fa affezionare così tanto ad una squadra al punto che i nostri globuli rossi non sono più rossi per l’appunto, ma assumono il colore di quella maglia a noi tanto cara, rendendoci un tutt’uno con la storia del club.
E romantico non può che essere un numero nel mondo del futbol: il 10, el Diez.
Tutti i più grandi hanno fatto la storia con quel numero sulle spalle, da Maradona a Totti, da Messi a Rooney e tutti coloro che sognano di raggiungere i loro risultati, immaginano di farlo con quella maglia.
Se c’è un club in cui questo numero assume un valore simbolico ancora maggiore questo è la Juventus: Da Sivori a Platini, da Baggio a Del Piero e dulcis in fundo Paul Pogba, l’uomo dell’ultima ora; il più grande trasferimento della storia, 105 milioni di euro per il più grande comeback forse mai visto sportivamente dopo quello di Lebron James.
La Juve ha certamente realizzato una grande plusvalenza avendo preso il giovane a parametro zero quattro anni fa e ora si appresta a rinforzare il centrocampo per creare un’armata che dovrà andare all in per vincere la Champions League, unico trofeo che ancora manca dall’avvento dello Juventus Stadium.
Ora la domanda che sorge più naturale è se il polpo valesse effettivamente questa enormità di milioni spesi. Ma volendo fare un bilancio della sua avventura bianconera e collegandoci al romanticismo di cui si parlava all’inizio, Pogba è stato effettivamente degno di indossare il numero 10, il gioiello più importante della vecchia Signora?
Andando oltre la mera questione matematica, che vede il francese chiudere l’avventura torinese con 34 gol e 43 assist in 178 presenze, e soprassedendo la questione paragoni, inutile vista la diversità di campioni che hanno indossato quella maglia e i diversi periodi in cui hanno giocato, la questione è: Pogba si è meritato questa eredità? Ma ancora più importante ha onorato il compito che doveva svolgere?
Il dato più evidente da osservare è che la Juve si è fermata in finale di Champions due anni fa col Barcellona (Pogba vestiva ancora la 6) e ciò frettolosamente porterebbe a dire che effettivamente no, il campione non è stato all’altezza dei suoi predecessori. A ciò si potrebbe aggiungere la mancata vittoria dell’Europeo in Francia (cosa che invece è riuscita a Zidane coi mondiali del ’98) e ragionando con la stessa fretta e superficialità si potrebbe aggiungere all’elenco delle cadute di Paul (va considerato però che il “Polpo” è stato schierato malissimo da Deschamps e costretto a ricoprire un ruolo che non gli viene naturale ma che soprattutto lo ha portato a una distanza tale dalla porta avversaria da contenere le sue enormi doti di colpitore). Tutto ciò per dire che non è stato considerato un dato troppo spesso evitato o quantomeno sottovalutato ovvero il contesto: si vince e si perde in undici perché analisi al singolo o meno il calcio nasce ed è tutt’ora un gioco di squadra.
Fatte le dovute ipotesi si può procedere a un bilancio che è soggettivo e può essere disquisito da chiunque abbia in mente o conosca le giocate del calciatore in questione. Pogba quindi ha onorato il 10?
A mio modesto avviso no. Molte sono state le sue giocate illuminanti e decisive, dagli assist ai gol (in particolare quelli al Napoli, forse la sua preda italiana preferita), molti i suoi dribbling che hanno regalato alle televisioni millemila replay e ai tifosi gioia per gli occhi, ma non c’è mai stata una giocata che potesse far dire “grazie a questa la Juve ha messo in cassaforte lo scudetto o il passaggio del turno in Champions”.
Molto ha fatto intravedere Paul. È senza mezzi termini un centrocampista dal futuro, come lo è nel suo ruolo CR7 (7 altro numero mitologico dello United e chissà che prima o poi non lo possa vestire proprio lui, per ora ha ripreso la 6). Un mix di potenza e agilità cui manca un pizzico di regia che qualora introdotta nel repertorio renderebbe Paul veramente perfetto.
Eppure perché abbandonare la Juventus proprio ora alla vigilia di un stagione in cui i campioni d’Italia sembrano essere intenzionati a portare a compimento il loro progetto di gloria europea? Perché abbandonare una squadra che ha investito chiaramente per tentare un assalto finale alla Champions League prima di dover rifondare sui giovani che ha già acquisito (tra cui Dybala nuovo numero 10) e di dover ricostruire una difesa che inevitabilmente ha concluso il suo ciclo?
Si potrebbe obiettare che senza la cessione record non sarebbe mai arrivato Gonzalo Higuain e che tutto ciò di cui si è parlato nelle ultime settimane non fosse altro che una telenovela per rendere più digeribile per i tifosi e più di impatto mediaticamente parlando un trasferimento che in realtà era già stato deciso e concordato mesi fa. Eppure qualcosa non torna, perché mesi fa tra le pretendenti c’era anche il Real Madrid, inoltre non va dimenticato che la Juventus aveva già rinunciato a Morata incassando 30 milioni e che è l’unico club italiano nella top ten delle squadre che fatturano di più al mondo a quota 300 milioni di dollari l’anno (una cifra forse non investita completamente sul mercato ma che comunque avrebbe permesso di tenere sia Paul che Gonzalo per tentare l’all in di cui detto sopra).
Il polpo ha preferito il progetto United, il campionato più esaltante d’Europa e la leadership di Mourinho.
Pogba alla Juve ha concluso un capitolo della sua vita, si è fatto un nome, è entrato nei record ma non ha vinto la medaglia d’oro che gli serviva per elevarsi ai Del Piero, Platini, Sivori ecc. Arriva a Manchester sapendo di dover ultimare la sua maturazione e diventare un leader e soprattutto sapendo di dover superare l’ostacolo Ibrahimovic che in ogni squadra in cui gioca diventa la main star. Riuscirà nei Red Devils a diventare quello che Ronaldo e Cantona sono stati per Ferguson e che George Best è stato per Busby?