Barça-PSG, the day after: la playlist di Luis Enrique

Quel che sembrava impossibile è alla fine diventato realtà. Nella sera in cui il PSG si suicida al Camp Nou in mondovisione, il Barcellona di Luis Enrique riesce nell’impresa della Remuntada andandosi a prendere all’ultimo respiro la qualificazione ai quarti di finale di Champions League. Un’impresa che sembrava improbabile dopo il 4-0 rimediato all’andata all’ombra della Torre Eiffel. Anche perché, statistiche alla mano, mai nessuna squadra nella storia del calcio era riuscita in 184 precedenti a ribaltare un passivo così pesante. Un’impresa che sembrava impossibile all’88’ del match la squadra di Luis Enrique avrebbe dovuto segnare tre gol in otto minuti per rovinare la festa al PSG. Cosa che incredibilmente è avvenuta negli 8 minuti probabilmente più pazzi della storia del calcio e di una partita talmente assurda che rende impossibile definire con certezza dove finiscono i demeriti del PSG e cominciano i meriti del Barça. Quel che è certo è che il day after del Camp Nou lascia ai due allenatori, Luis Enrique ed Unay Emery, stati d’animo profondamente diversi. Abbiamo allora provato ad immaginare la playlist che Lucio si è sparato ieri in macchina mentre si recava a dirigere l’allenamento.

Il tecnico asturiano sale in macchina, gira la chiave per avviare il motore e si immette nel traffico di Barcellona per raggiungere la Ciutat Esportiva Joan Gamper, il centro sportivo del club blaugrana. Nella città catalana c’è il sole. Ma sarebbe stato un Beautiful day anche fosse venuto giù il diluvio universale. Lucio alza il volume dello stereo e mentre avanza lentamente per le calle della città si ritrova a canticchiare che “è un bel giorno ed il cielo è a portata di mano” e che in fondo, si dice, è vero Lucio, tu “ami questa città anche se non sembra vero”.

Su queste ultime parole il pensiero per un attimo vola così alle due settimane difficili che hanno preceduto il ritorno degli ottavi di Champions al Camp Nou. Quindici giorni in cui il progetto Barça è stato dato troppo presto per finito. E con lui il suo allenatore. Forse dichiarare in conferenza stampa l’addio a fine stagione è stata una mossa avventata. Forse, a mente fredda, era meglio un atteggiamento più diplomatico. Ma i giudizi dei giornalisti dopo la notte di Parigi sono stati troppo impietosi. Un boccone troppo amaro da mandar giù per chi comunque al primo anno sulla panchina dei blaugrana ha portato a casa un triplete che sembrava impossibile bissare dopo quello targato Guardiola. E che poi ha continuato a vincere anche l’anno successivo. I giornalisti. Che brutta razza. Anche Lucio come buona parte dei suoi colleghi proprio non li sopporta. Nella pancia del Parco dei Principi ad uno di questi glielo ha pure detto: “Sei bravo a criticarmi ora però quando vinco come mi esalti eh”. Mai visti dei voltagabbana del genere.

Oggi, il day after la remuntada, sulle pagine dei giornali sarà sicuramente il giorno delle celebrazioni del Barcellona e del suo tecnico. Lucio, mentre pensa a tutto ciò, sfodera un sorriso a trentadue denti. I giornali oggi non li leggerà e rilascerà all’occorrenza dichiarazioni di facciata. Ma nella tranquillità della sua macchina tutto è concesso. Ed allora, fermo nel traffico, formula il messaggio che vorrebbe realmente trasferire ai suoi detrattori. Anzi, decide di affidarsi alla musica. Con il dito scorre avanti la sua playlist fino a trovare e selezionare quella canzone conosciuta ai tempi della sua esperienza in Italia, quando allenava la Roma. E’ di un certo Marco Masini e si intitola Vaffanculo!

Inevitabile parte il fomento ed allora Lucio switcha su qualcosa di più duro. Il riff di partenza è uno di quelli di quei pezzi che hanno fatto la storia del rock mondiale: Back in black degli AC/DC. “Eccomi, sono libero dalla forca che mi faceva penzolare. Dimentica il carro funebre perché io non morirò mai. Ho nove vite. Beh, sono tornato. Sì, sono tornato”.

Preso a schiaffi dalla gioia della resurrezione e dai riff di Angus Young, Luis Enrique non si è neanche reso conto che il traffico è smaltito e che la Ciutat Esportiva Joan Gamper è ormai all’orizzonte. C’è giusto il tempo per un paio di canzoni prima di rimettersi la maschera di uomo rude, avvezzo a quelle che per altri sono imprese, e scendere dalla macchina per dirigere agli occhi del mondo l’allenamento di Neymar e compagni come se nulla fosse accaduto. Come per magia, la funzione shuffle lascia partire un altro riff di quelli epocali.

Questa volta più morbido, almeno all’apparenza. Quando parte il secondo giro di chitarra di Slash si aggiunge, imponente, la batteria di Steven Adler. E’ Paradise City!. Ecco infatti entrare in scena la voce di Axl che graffia: “Portami alla città paradiso dove l’erba è verde e le ragazze sono belle. Voglio che tu mi porti a casa, per favore”.

La guardia al cancello di ingresso della Ciutat Esportiva Joan Gamper, vedendo giungere la macchina a lui nota, non è più nella pelle e svestendo per un attimo i panni del professionista tira fuori la sua anima culé sbracciandosi e saltellando per la gioia dell’inatteso risultato del giorno prima. Luis Enrique passa con il finestrino abbassato e la saluta chiamandola per nome. Poi svolta verso il parcheggio a lui riservato. Adesso a cantare è ancora Bono:

“Home

I can’t say where it is but I know I’m going

Home 

that’s where the hurt is”.

Prima di girare la chiave e spegnere il motore a Luis Enrique scappa un ultimo sorriso. Si è accorto infatti di aver inconsciamente pronunciato heart, cuore, anziché hurt, sofferenza. In effetti è buffo pensare come piccoli particolari facciano spesso la differenza.