Prima di recitare il De profundis del guardiolismo aspettiamo almeno che arrivi giugno. Certo è che l’avvio di stagione del Manchester City, il peggiore nella carriera di Pep Guardiola, quanto meno è la conferma che anche l’allenatore catalano appartiene alla numerosa schiera dei comuni mortali.
La sconfitta in rimonta subita a Wolverhampton non spedisce solo il City a -14 punti dal Liverpool (e -4 dal sorprendente Leicester di Rodgers). Ma è anche forse rivelatrice del fatto che una certa idea di calcio, quella del tiki-taka per intenderci, sembra ormai acqua passata (e chissà cosa ne pensa la Juventus in merito) anche per il suo “inventore”.
La partita del Molineux Stadium è stata infatti la prima in assoluto in cui una squadra di Pep Guardiola ha fatto registrare la più bassa percentuale di possesso palla da quando il tecnico allena. Complice, probabilmente, la precoce espulsione di Ederson, portiere del City, che ha lasciato i suoi in inferiorità numerica dopo 12’. Un intervento disperato al limite dell’area di rigore emblematico del diverso modo di praticare calcio di Pep Guardiola di questi ultimi tempi.
Dal tiki-taka alla velocità; dalla pazienza all’impulsività. Un po’ la filosofia del Liverpool di Klopp che in questo biennio sembra sempre più dettare la via spingendo il guardiolismo verso il viale del tramonto.
Sembra. Perché così come la vita anche il calcio è fatto di cicli ed il bello di questo sport in fondo è forse anche questo. Quella capacità apparente di evolvere e rinnegare repentinamente se stesso salvo poi recitare il mea culpa appena il cerchio si chiude ed i risultati obbligano a tornare sui propri passi. E così se nessuno voleva essere il perdente di successo Klopp ai tempi di Dortmund, nessuno oggi che i Reds di Klopp vincono e fanno moda vorrebbe probabilmente essere Pep Guardiola.
Perché il cerchio per Pep Guardiola si chiuda però è probabilmente necessario che il tecnico catalano torni a vincere la Champions League, unico trofeo che sembra rendere gloria agli allenatori al di là di ogni possibile successo in patria.
L’ultima volta che il mister ha sollevato al cielo la coppa dalle grandi orecchie era la stagione 2010-2011; il club era il Barcellona. Quello di Xavi, Iniesta e Messi. Quello del tiki-taka. Quel tiki-taka che dopo il Barça non si è più visto o comunque non ha più prodotto successi a livello internazionale. Nonostante i club nel frattempo si chiamassero Bayern Monaco e Manchester City. E se a volte di mezzo ci si è messa la sfortuna, in altri casi a fare fuori le squadre di Pep sono stati il Monaco ed il Tottenham; club forti ma non certo irresistibili e comunque di sicuro meno costosi delle corazzate a disposizione di Guardiola.
Nell’anno in cui il Manchester City si è portato in vetta alla graduatoria dei brand sportivi di maggior valore al mondo, è plausibile pensare che così come per il Liverpool dopo trenta anni di astinenza la Premier League rappresenti il Santo Graal, così per la proprietà dei Blue di Manchester è prioritario sollevare al cielo l’unico trofeo che sembra conferire la giusta dimensione internazionale ad un club calcistico europeo al di là di ogni possibile valutazione economica (che comunque anche per gli sceicchi non è certo un fattore residuale).
E allora anziché rincorrere la Premier che che ne dica Pep sarà bene concentrarsi sin da subito sulla Champions League. L’avversario negli ottavi sarà il Real Madrid; l’urna poteva essere certamente più benevola.
Ma l’antagonista di rango costringerà sin da subito Guardiola a tenere alta la tensione. E a lavorare immediatamente per trovare l’equilibrio necessario a compensare l’ansia da ossessione per la coppa con la giusta razionalità utile ad evitare di stravolgere il proprio credo e complicarsi ulteriormente la vita (come spesso accaduto in Europa a Pep negli ultimi anni).
Magari rispolverando quel tiki-taka che ha rivoluzionato il modo di giocare a calcio di un club, di una nazione e di un movimento intero. Perché in fondo quando si scopre di essere dei comuni mortali non c’è niente di meglio da fare che cercare di restare fedeli a se stessi.