Andreas Papandreou era primo ministro, la moneta vigente era la dracma e l’intera Acropoli era imbrattata ovunque da trifogli e disegni verdi. Era il 1964 e il Panathinaikos vinse il suo settimo campionato Grecia da imbattuto, record che ieri sera è però stato battuto. Il PAOK campione di Grecia, dopo 34 anni di attesa, o se preferite 12361 giorni, al momento è imbattuto in campionato. In Europa solo Maccabi tel Aviv e Slovan Bratislava, oltre ai bianconeri di Grecia, non hanno ancora perso una partita. Così, quando ieri sera Salonicco ha gridato di gioia alla vittoria del campionato Grecia, il trentennio abbondante s’è sciolto in un grido all’unisono. ΠΑΟΚ, «ο νέος βασιλιάς του ελληνικού ποδοσφαίρου!». Tradotto: «il PAOK, il nuovo re del calcio greco!»
PAOK campione, festa a Salonicco
Il palco realizzato ad hoc, verso cui un tunnel conduce al centro del campo, si illumina. Il corridoio stretto è pieno di luci, arriva il trofeo e l’atmosfera si scalda. La soundtrack è rigorosamente elettronica, “Together” di Axwell /\ Ingrosso (poi sarà il turno di David Guetta). Sul palco s’è Giorgos Koudas, classe ’46 che all’oggi PAOK campione dedicò l’intera carriera, tra 1963 e 1984, racimolando 504 presenze e la nomea di bandiera bianconera. Koudas, che peraltro aveva posato insieme a Dimitris Pelkas nel lancio di una nuova retro jersey limited edition (era il settembre 2018), vinse la Super League nel 1976 e oggi riveste la carica di consigliere fidato di Ivan Savvidis. Il tempo per presentarlo era però esiguo, visto l’incessante ritmo della φιέστα. S’alza il volume, inizialmente vengono passati in rassegna i membri dello staff tecnico (tra cui l’italiano Matteo Spatafora), poi è il turno dei giocatori. Il primo è Lefteris Lyratzis, classe 2000, terzino sinistro, l’ultimo Adelino Vieirinha, capitano del PAOK campione.
Attesissimo, e non solo perché la domenica prima s’era rotto il crociato facendo pressioni sulla società affinché fosse rimandata la sua operazione al ginocchio pur di essere presente alle celebrazioni del titolo del campionato Grecia. Lui, Adelino André Vieira Freitas, è portoghese di nascita ma s’innamorò presto di Salonicco: gli bastò un quadriennio (2008-2012) per innamorarsi del PAOK tanto che, nell’estate 2017, salutò il Wolfsburg per rientrare al Toumba. Il suo rientro fu preso a modello da un altro volto – Róbert Mak, tornato dopo un anno allo Zenit per fine prestito – e contribuì ad alimentare i sogni di rinascita del PAOK campione. Del resto l’Olympiakos non vive il suo periodo migliore, dopo sette affermazioni di fila tra 2011 e 2017 ha lasciato il posto all’AEK nel 2018 e oggi serviva che Salonicco tornasse a vivere momenti aurei. Era dal 1988-89-90 che non si vedevano tre campioni differenti.
PAOK campione, i volti dell’impresa
Vieirinha c’era, capitano ufficioso vista la panchina cui è stato confinato Stelios Malezas, volto esperto (33 anni) che guidasse i ragazzini terribili. I ventenni Léo Jabá e Dimitris Limnios, il 22enne Karol Swiderski, il classe ’95 Chuba Akpom prestato dall’Arsenal. Ancora, il ’99 Balogiannis e il ’00 Lyratzis, fino al 23enne Dimitrios Giannoulis che di Vieirinha ha preso il posto quando il portoghese era infortunato. Magari poi Vieirinha non sarà lo stesso che tre estati fa vinse l’Europeo 2016 a Parigi battendo la Francia, ma il suo rendimento è risultato decisivo: cinque reti, la più importante delle quali realizzata il 10 febbraio scorso nel 3-1 con cui fu battuto l’Olympiakos, in una gara che sapeva innegabilmente di passaggio di consegne.
Nella presentazione dei calciatori, c’erano tutti: Alin Toșca col telefono in mano, Rodrigo Rey indicante lo stemma del PAOK campione, perfino Prijović che a gennaio ha salutato Salonicco scegliendo l’Al Ittihad (ma comunque 8 reti sono sue), e ancora Ingason, Karelis, Pedro Henrique, Glykos, Mišić che applaude la folla quasi intontito, Sergio Oliveira che s’inchina, Pontus Wernbloom, Leo Jabà con la sua esultanza a mo’ di spari di pistola, un sorridentissimo El Kaddouri coi due figli, José Canas – cappellino in testa, braccia aperte, «vamos, campeones, vamos» –,Akpom e il suo balletto simil-delirante, e ancora Evgen Shakhov (inchino e giravolta), Mauricio in stampelle, con lentezza ma grande gioia quando si libera dallo strumento e lo alza al cielo come un arto, i saltelli di Diego Biseswar – otto reti in Super League, secondo miglior marcatore stagionale, Fernando Varela con la bandiera capoverdiana indosso, José Crespo con la figlia in braccio. A quel punto la musica s’interrompe, parte la sigla di Superman e si vede entrare Alexandros Paschalakis, che immediatamente s’inginocchia, si toglie la maglia, la lega al collo e mette in mostra quella di Superman prima di urlare al cielo sopra Salonicco che il PAOK campione è questo. Ricomincia la musica, è il turno degli ultimi: Léo Matos con una confezione di birra in mano, Dimitris Pelkas con la mano destra sul cuore, capitan Stelios Malezas.
PAOK campione, un’annata storica
Dopo la rassegna dei giocatori del PAOK campione, il bagno di folla è per Razvan Lucescu: applaude, china il capo, ringrazia i presenti per una notte che successivamente definirà la migliore della sua vita, non solo della carriera. A chiudere il cerchio ci pensa Ivan Savvidis, il presidente che l’11 marzo 2018 scese proprio sul campo del Toumba estraendo una pistola dal fodero dopo un gol annullato al suo PAOK: «Il mio unico obiettivo era quello di difendere i nostri tifosi dagli attacchi che stiamo subendo a tutti livelli, lotteremo per un calcio più giusto e per arbitraggi onesti» si difese, ma il mandato d’arresto scattò comunque. Oggi quella scena è superata, Savvidis unisce le mani, le scuote, cammina spedito viene abbracciato a più non posso, vuole raggiungere quel palco il prima possibile. Nel frattempo arrivavano i complimenti, da Tsipras e Fernando Santos, da Salpingidis e Zagorakis.
Dal palco dei festeggiamenti per il PAOK campione di Grecia, Savvidis sarebbe sceso solo quando arrivò il pullman celebrativo, su cui è stato fatto scrivere il motto dettato da Razvan Lucescu («Never quit, never hide, making history»). Il traffico congestionato, la voce di Freddy Mercury nel suo “We are the champions” a far da sottofondo a sciarpate ovunque, il crowd diving di Paschalakis gettatosi dal pullman sulla folla, Pontus Wernbloom cui – ironizzando sull’origine svedese – è stata passata una canna da pesca. Intorno alle 22:53 la festa s’è spostata dal Toumba alla Torre Bianca di Salonicco, dove Giorgos Savvidis, il figlio di Ivan avrebbe posto il trofeo nelle mani dell’atleta paralimpico Andreas Katsaros giunto appositamente in Macedonia: «C’era un sacco di gente, un ragazzo mi accompagnò ma mi disse che mi avrebbero calpestato. Poco dopo, mi abbracciarono tutti, Vieirinha, i calciatori, Ivan e Giorgos Savvidis, che disse ‘voglio farti un regalo’ e tirò fuori la sua medaglia». Un gran baccano ansimava ovunque, tutti gioivano, solo una persona agiva compostamente. Era Razvan Lucescu, il mister del PAOK campione, che confidò alla stampa: «Se dipendesse da me, vorrei stare da solo sulla terrazza del mio appartamento, godermi un bicchiere di vino rosso e vedere il mare».