Voto 10 alla Roma e ad un nostalgico passaggio di consegne – Una nuova dinastia, forte e vincente. Ogni rivoluzione trascina con sé vittime, spesso illustri, ma quando i benefici superano i costi si tende a chiudere un occhio. Totti e De Rossi, il passato di una Roma gloriosa messo da parte nella sfida delle sfide assume i tratti di un pugno sullo stomaco per ogni romantico. I numeri però parlano chiaro: 28 punti su 30, un ritmo impressionante che basta da sé a glorificare l’operato di Spalletti. E se il presente s’insinua con eleganza dai piedi di Perotti e di El Shaarawy, il faraone che ha ritrovato sé stesso nella Capitale, il futuro sgorga dalla rabbia di Florenzi, autentico discendente di una romanità calcistica non ancora perduta. Ragione d’orgoglio per il Capitano, che saluta l’ultimo derby della carriera con regalità ed eleganza, lasciando spazio in punta di piedi ai veri, nuovi protagonisti.
Voto 9 a Mauricio Pinilla, il maestro delle rovesciate – Le spalle ad un soffio dall’erba, le gambe tese verso le nuvole, quasi a voler scorticare il cielo. Mauricio Pinilla calcia da dove nessuno riesce ad arrivare, maestro di una vita rovesciata, dentro e fuori dal campo. Dalle promesse di una rosea carriera al declino prematuro, consumato nei campi di periferia. Poi la svolta, sempre nel segno di un gesto elegante, che ne cattura il genio e l’inesplicabile voglia di libertà. Undici gol con l’Atalanta, di cui ben cinque in acrobazia, l’ultima prodezza proprio contro il Milan: c’è chi il mondo lo vede da una prospettiva ordinaria, c’è chi invece preferisce assaporarne l’essenza a testa in giù.
Voto 8 a Suso, storie di rinascita – Dribbling da capogiro, e poi quel mancino, freddo e letale. Tre perle da antologia, incastonante in un Marassi imbandito a festa, belle da togliere il fiato. Dopo Niang, la cura Gasp funziona anche per Suso, e Genova si conferma la migliore terapia per chi dalle parti di Milano ha bisogno di ritrovarsi. Come uomo e come calciatore. Cambiano soltanto le variabili, per il resto la formula è sempre la stessa, così come il risultato: finta ubriacante e sinistro a giro, potente e preciso, indirizzato sempre dove Leali non può arrivare. Suso porta a casa il pallone e mostra lampi di un talento cristallino. La bella copia di quel giocatore fragile visto in maglia rossonera, rigenerato dal calore di una piazza che si dimostra, ancora una volta, dolce terra di rinascita.
Voto 7 alla Juve, solida come sempre – Testa bassa e pedalare, niente distrazioni fino al traguardo. Ricetta semplice, fin troppo saggia e risoluta, ma che finora ha pagato i massimi dividendi. Sei punti di vantaggio a sette gare dalla fine, quattro delle quali da giocare a Torino. Ecco, non è che il traguardo sia proprio in salita per una Juve che si è lasciata alle spalle una scalata disumana, senza mai più inciampare dopo le difficoltà iniziali. E ora è tutto ancora più facile dopo che il Napoli è crollato ad Udine, lasciando di fatto i bianconeri ad una volata in solitaria. Il quinto scudetto consecutivo è più vicino, basterà davvero poco per trionfare. Un ciclo nuovo, che ha necessitato di poco tempo per assestarsi, ma l’essenza è rimasta invariata. Vorace e tendente al dominio, come da cinque anni a questa parte.
Voto 6 alla Samp e a un piacevole ritorno – Un addio al veleno e la paura di veder riaffiorare antiche ruggini. Vincenzo Montella ha temuto che il ritorno al Franchi potesse essere indigesto, i fatti però hanno spazzato ogni preoccupazione. Nonostante le dure polemiche con il patron Della Valle, il ritorno a casa dell’Aeroplanino è accolto da applausi sinceri, di quelli che tra un sorriso e una lacrima, raccontano una storia di amore e rispetto. Romantica accoglienza e lieto epilogo: Montella esce dal Franchi a testa alta, con un punto in tasca e la salvezza sempre più vicina.
Voto 5 Fiorentina, perduta e senz’anima – Qualcosa si è rotto, è evidente. Il progetto tecnico di Sousa, frizzante e luminoso a inizio stagione, sta scivolando verso lidi sempre più anonimi. La Fiorentina che giocava il calcio più bello si è involuta in una macchina prevedibile, che ha perso brillantezza e originalità. I lampi d’eleganza non mancano (la triangolazione tra Borja Valero e Ilicic in occasione del vantaggio ne è la prova) ma restano sporadiche e nostalgiche parentesi di un gioco che sembra essersi smarrito. Niente svolta, la vittoria al Franchi manca da un mese e mezzo, e i sogni Champions si dissolvono in un grigio finale di stagione.
Voto 4 ad un Inter che si arrende – Un tempo anche un solo gol sarebbe bastato. Specialmente a chi come il Mancio aveva fregiato il ritorno in nerazzurro con una preziosissima collezione di 1-0. Minimo sindacale, niente fuochi d’artificio, a sorprendere non era la magrezza del risultato, quanto la costanza con cui lo si centrava. Un’Inter solida, si diceva, impenetrabile dietro e cinica davanti la porta. Oggi quell’Inter è soltanto un ricordo sbiadito: Handanovic non fa più miracoli, la difesa stona, l’attacco non soltanto manca di estro, e lo si sapeva, ma sembra aver perduto anche quel cinismo che ad inizio stagione aveva fatto sognare in grande. Il terzo posto si allontana con una Roma che corre su ben altri ritmi. San Siro fischia, giustamente, al cospetto di una squadra che ha smesso di crescere quando ce n’era più bisogno.
Voto 3 alla Lazio, umiliata e contestata – Un derby può essere un occasione di riscatto per chi ha vissuto una stagione più all’ombra che alla luce. Uscirne sconfitti, a testa bassissima, può significare toccare il fondo della vasca e non risalire più. La Lazio viene spazzata via dalla Roma con un sonoro 4-1 che alimenta sconforto e rievoca vecchi dissapori. La tifoseria contesta Lotito, la squadra si rintana in ritiro a Norcia, e in un clima così tetro qualche testa doveva necessariamente saltare. Via Pioli, dentro Simone Inzaghi, un cambio di rotta improvviso maturato nel giro di poche ore dalla disfatta dell’Olimpico. Eppure il campionato può ancora dire qualcosa visto che la zona Europa dista sette punti a sette giornate dal termine. Ma al momento si fatica a vedere la luce.
Voto 2 al Napoli e alla reazione del Pipita Higuain – Crederci, sperare, alimentare un desiderio con il rischio di perdersi nelle fantasie. Ritornare di colpo con i piedi per terra è poi una scossa violenta e sfibrante. L’esultanza rabbiosa dopo l’ennesima rete e la veemente protesta sono due facce dello stesso sogno, prima consacrato e poi calpestato dall’impetuoso corso degli eventi. Novanta secondi di follia, intrisi di violenza e lacrime, una reazione viscerale alla sconfitta che frantuma le speranze scudetto, arrivata da chi come Gonzalo Higuain ha fatto di tutto per rendere grande il Napoli. Quello ad Udine è il 30° gol in campionato, nuovo record stagionale con la maglia azzurra: l’ulteriore beffa in un pomeriggio in cui all’improvviso non è più lecito vivere di illusioni.
Voto 1 ad un Milan da clausura – Decisioni dure, per provare a dare una scossa. Il 2-1 di Bergamo fa saltare i nervi: Il Milan va in ritiro, a distanza di un anno dall’ultima volta (25 aprile 2015). Un castigo necessario e al tempo stesso una mossa disperata per salvare il salvabile prima che la stagione sia del tutto compromessa. La finale di Coppa Italia e il preliminare di Europa League (il Sassuolo tallona a un punto) sono gli unici obiettivi a portata di mano, Mihajlovic non vuole lasciarseli sfuggire. Si tratta di una questione di immagine più che di dedizione alla causa, ora più che mai dato che i rapporti con i vertici rossoneri sembrano essere irrimediabilmente giunti al capolinea. L’unica intesa con la dirigenza sembra esserci proprio sulla strategia punitiva, condivisa nella serata di domenica anche da Berlusconi e Galliani. Si tratta dell’ultimo rimedio terapeutico per rivitalizzare una squadra mestamente involuta, priva di gioco e in piena crisi. Nelle idee ancor prima che nei risultati.