Quel che non sai di Nuno Espírito Santo

Prendete un appezzamento di terreno con vista sul Santuário da Penha, simbolo della città di Guimarães. Ora, mettete che per puro caso il proprietario di questo lotto sia intenzionato a privarsene, e che a un allenatore portoghese faccia piacere ritirarsi – una volta terminata la carriera in panchina – nella città dove frequentò le giovanili e mosse i primi passi nel mondo del calcio. La si può chiamare stravaganza, ma il sogno di Nuno, all’anagrafe Nuno Herlander Simões Espírito Santo, era proprio questo: una residenza in cima alla collina più alta di Guimarães.

«Ho acquistato quel terreno perché volevo costruirci casa mia, ho detto: “Che posto perfetto sarebbe” – ha scritto The Guardian -. La terra è ancora lì, ma ho dimenticato di chiedere al consiglio comunale il permesso. Quando l’ho fatto, mi hanno detto di no. Sono ritornato a chiedere se potessi costruire, loro di nuovo hanno detto: “No, l’area è protetta. Dimenticalo, non si può costruire lì”. La venderò, vuoi comprarla? Avrei dovuto controllare, ma era nel 2002 e avevo 27 anni. Sarebbe stata la mia casa dei sogni, a volte andiamo e ci sediamo lì, la vista è fantastica».


Nuno Espírito Santo
Fonte: The Times

Pare in via ufficiale che il venditore di quel terreno non viva più a Guimarães. Nuno ha dovuto accettare le ritrosie alla realizzazione del suo sogno, dovute forse in parte alla spensieratezza giovanile, poi però da buon professionista s’è messo al lavoro sfruttando l’aggancio col potente Jorge Mendes: «Sono un cliente del miglior agente del mondo, io faccio il mio lavoro, lui fa il suo». Con Mendes il rapporto cominciò quasi per caso, come nelle migliori favole: nel 1993, in una serata in una discoteca chiamata Alfândega e gestita da Mendes, Nuno ebbe l’occasione di conoscere l’agente, cui confidò il suo sogno di trasferirsi al Porto. Militava nel Vitória Guimarães come portiere, chiese aiuto a Mendes, la controparte accettò e da allora fu suggellato l’inizio di un rapporto strettissimo anche se Nuno – al Porto – si sarebbe trasferito un po’ dopo.

Nato il 25 gennaio 1974 a São Tomé and Príncipe e costretto sin da ventenne a giocarsi il posto col quasi omonimo Neno al Vitória, Espírito Santo si trasferì nell’estate 1997 al Deportivo de La Coruña e fu spedito in prestito a Mérida e Osasuna: in Extremadura ottenne il prestigioso Premio Zamora, inutile ai fini del risultato di squadra sicché i Romanos bianconeri furono retrocessi d’ufficio per irregolarità. Nel luglio 2002 finalmente arrivò la chiamata dal Porto, pagato 3 milioni di euro ed entrato nella trattativa che condusse in Galizia il difensore Jorge Andrade. Entrò da protagonista in campo il 12 dicembre 2004, a Yokohama, quando i Dragões conquistarono ai rigori la loro seconda Intercontinentale, la Toyota Cup. In quell’occasione, quando il mister Víctor Fernández gli fece rilevare la posizione di Vítor Baía, Nuno risultò decisivo parando i rigori di Jonathan Fabbro e John García. Eccezion fatta per una parentesi alla Dynamo Mosca e un ritorno in Portogallo al Desportivo das Aves, Nuno chiuse la sua carriera all’Estádio do Dragão: il 21 giugno 2010 il suo contratto scadde e salutò il club dichiarando di restare un tifoso biancoblù.


Nuno Espírito Santo
Fonte: Twitter / @FansTribeHQ

Appesi i guantoni al chiodo, Nuno seguì il tecnico Jesualdo Ferreira assistendolo come preparatore dei portieri. Il duo lavorò insieme al Málaga e al Panathinaikos, prima che Espírito Santo propendesse per l’ottenimento del patentino da allenatore. Cominciò nel maggio 2012 in sella al Rio Ave, prendendo le redini da Carlos Brito e conducendo i biancoverdi di Vila do Conde a un onorevole settimo posto nell’annata 2012/13. Un anno dopo, nel luglio 2014 Nuno salutava il Portogallo per tentar l’avventura al Valencia. La chiamata dal Mestalla non è un caso se si pensa che i rapporti tra il presidente dei Taronges Peter Lim e Jorge Mendes sono ben allacciati: l’imprenditore singaporiano aveva acquistato il 70,4% del Valencia nel maggio 2014, inglobandolo all’interno della sua Meriton Holdings, e in estate s’era dunque avvalso del procuratore portoghese per metter su una rosa qualitativamente di spicco. In campo c’erano Otamendi, João Cancelo, Filipe Augusto ed André Gomes, in panchina proprio Espírito Santo.

L’avventura valenciana di Nuno si sarebbe conclusa il 29 novembre 2015, dopo una sconfitta di misura sul Siviglia. Al primo anno, il mister aveva ottenuto un incredibile quarto posto e vinto per tre volte il premio di allenatore del mese. Dopo qualche mese di stop eccolo però in pista, il 1 giugno 2016 al Porto presso cui era stato giocatore. Non fece nemmeno male a Oporto, però la rudimentaridade tática impressa ai Dragões non piacque e il 22 maggio 2017 fu sollevato dall’incarico, complici pure l’eliminazione dalla Champions per mano della Juventus e il secondo posto in campionato dietro il Benfica.


Nuno Espírito Santo
Fonte: pagina Facebook Wolverhampton

Il 31 maggio 2017, Espírito Santo è stato posizionato sulla panchina del Wolverhampton Wanderers. Ha creato una colonia portoghese in terra d’Albione, partendo da Rui Patrício pagato 20 milioni pur di evitare l’appello dello Sporting Lisbona come nel caso degli altri calciatori svincolatisi dai Leões. «A Oporto cibo e vino, ma qui si sta bene» hanno confermato all’unisono Rúben Neves e Diogo Jota. «Molti, che storcevano il naso, ora si rendono conto del nostro cambiamento. In Portogallo non ci notavano, parlo per Ruben (Neves, ndr), è stato ovviamente un rischio trasferirsi in Premier ma s’è rivelata una mossa vantaggiosa» conferma il secondo, connazionale di Hélder Costa, Ivan Cavaleiro, João Moutinho, Ruben Neves, Rúben Vinagre, Rui Patrício.

Forte di un rapporto curato nei minimi dettagli, Nuno ha trascinato il gruppo servendosi delle sue abilità comunicative, tanto da plasmare un insieme di calciatori che ora lo segue all’unisono pure perché, arrivato alla corte arancionera, proibì le punizioni: «Se un giocatore arriva tardi all’allenamento, non gli si fa una multa di £1000 ma gli si chiede come mai sia stato necessario aspettarlo. Il nostro percorso è lungo, serve il lavoro di tutti e tutti sono importanti, faccio un esempio: a gennaio, prima di un allenamento c’erano -5° e un calciatore era di cattivo umore perché nessuno gli aveva dato guanti e cappello contro il freddo». A Espírito Santo non si nasconde nulla: odia parlare di tattiche («un gameplan non ha senso: se batti un angolo, magari prendi gol sulla ripartenza avversaria e magari per quello perdi la partita») e ritiene un tweet polemico più utile di un apprezzamento. «So come funziona, le critiche vendono più dei complimenti». Senza compromessi. Come il suo Wolverhampton.