Nonostante una partita da un punto di vista statistico discreta la Lazio non è riuscita a sfatare il tabù San Siro allungando così a 28 le stagioni senza vittorie nell’impianto meneghino contro i rossoneri. Le statistiche dicevamo. Quelle del match di San Siro ci raccontano di un Milan orientato al possesso palla (52% contro 48%) ma prevalentemente a ridosso della propria area di rigore. Il baricentro dei rossoneri è infatti molto basso (47,1 metri) rispetto a quello degli ospiti che è invece nell’intorno di un valore medio (52,9 metri) da cui scaturisce che gli attacchi rossoneri sono prevalentemente affidati a lanci lunghi (75 a 61). Le occasioni create però dicono Lazio. Alla fine del match si contano infatti 16 opportunità per i rossoneri contro le 18 dei biancocelesti il che, considerato il dato sul baricentro, è forse anche derivante dal dato sui palloni persi (155 contro 148). Questo è quello che dicono le statistiche. Il risultato tuttavia dice 2-0 per il Milan. Che cosa è accaduto allora che i numeri non riescono in toto a spiegare?
L’ERRORE DI PAROLO E’ GROSSOLANO MA MANCA LA MARCATURA PREVENTIVA
In primis che l’errore grossolano di Parolo, una delle 148 palle perse dalla Lazio, è alla fine pesato molto più dei 155 palloni persi dal Milan. E questo è successo perché la squadra di Inzaghi non è stata attenta nell’attuare la cosiddetta marcatura preventiva, quella che consiste nel tenere d’occhio da distanza ravvicinata il giocatore avversario quando la propria squadra è in possesso di palla. L’errore del centrocampista della nazionale, avvenuto all’altezza della mezzaluna di centrocampo rossonera, nasce infatti su un passaggio laterale da destra di De Vrij che era appena avanzato palla al piede per partecipare alla manovra. Il fatto che Kucka recuperata palla abbia potuto lanciare in profondità Bacca con 50 metri di campo a disposizione palesa però un evidente errore di posizionamento degli uomini di Inzaghi. Considerato lo schema adottato dal tecnico (3-5-2) e considerato che la Lazio era in quel momento in fase di impostazione con gli esterni dunque alti, l’uscita di De Vrij doveva essere coperta da Cataldi perché Radu e Bastos erano giustamente rimasti larghi per sorvegliare a vista Niang e Suso. Il giovane centrocampista romano avrebbe dunque dovuto abbassarsi per coprire la porzione di campo centrale dove poi è scattato Bacca al fine quanto meno di tamponare la cavalcata del colombiano dando modo ai due difensori di raddoppiare la marcatura ed a Parolo e De Vrij di tentare il rientro. Insomma, la Lazio ha peccato esattamente lì dove invece il Milan è stato impeccabile.
NEL MILAN FONDAMENTALI I TERZINI, NELLA LAZIO DOVREBBERO ESSERLO GLI INTERNI DI CENTROCAMPO
Il 4-3-3 di Montella è infatti molto offensivo ed un ruolo centrale è ricoperto dai terzini, chiamati a spingere e sovrapporsi con costanza agli esterni d’attacco liberi così a loro volta di stringere verso il centro. Perché ciò sia possibile è tuttavia necessario garantire appoggio in copertura ai due centrali di difesa. Cosa che fa egregiamente Montolivo scendendo spesso a volentieri tra Romagnoli e Paletta per impostare il gioco o recuperare palloni (saranno 9 al novantesimo). Di riflesso, dato il compito del capitano rossonero, la costruzione della manovra è affidata anche agli altri due interni chiamati meno invece a dare supporto agli avanti. Non è un caso dunque se alla fine del match Bonaventura tocca gli stessi palloni dell’ex viola, ovvero 66 (nessuno più di loro). L’impostazione tattica di Inzaghi è invece notevolmente diversa. Il ruolo cruciale è svolto dai due interni, Milinkovic-Savic e Parolo, che hanno il compito a turno di smistare sull’esterno ed inserirsi in area a supporto di Djordjevic e Immobile. Il sistema, anche se la statistica sulle occasioni create dice Lazio, in realtà non funziona perché il Milan in fase di ripiegamento richiama i terzini e crea densità al centro costringendo gli esterni della Lazio ad improbabili cross dalla trequarti che, infatti, non creano mai palle veramente pulite. In sostanza quello che più di tutto manca ai biancocelesti è la capacità di rompere la resistenza creando superiorità numerica. Cosa che infatti, pur non modificando l’impianto tattico, accade un po’ più spesso quando nella ripresa Keita e Felipe Anderson rilevano Djordjevic e Bastos. Il senegalese crea qualcosa di più mentre il brasiliano è costretto a giocare in una porzione di fascia ben presidiata dalla quale riesce ad uscire solo in poche occasioni. Sono infatti 9 i dribbling tentati dal brasiliano ma solo 5 quelli riusciti.