Jean Kindermans, stando al suo profilo LinkedIn, ricopre il ruolo di direttore tecnico delle giovanili dell’Anderlecht. Dirige le giovanili dei bianco-malva, 34 volte campioni di Belgio, e si occupa della formazione dei futuri talenti di club e nazionale. «Il padre di Romelu Lukaku una volta mi disse ‘Lille, Lens, Auxerre e Saint-Étienne sono interessati a mio figlio e ognuno di questi club può fornirgli educazione scolastica e un alloggio oltre alla preparazione calcistica’. Dopo alcuni mesi da allora, abbiamo avviato il progetto Purple Talents e oggi, 10 anni dopo, si chiama Purple Talents Program perché ha smesso di essere un progetto». Così, se per alcuni l’exploit dell’attaccante ex Everton è stato una sorpresa, c’è chi la pensa diversamente: «Romelu ha speso un’ora ogni mattina prima di continuare gli studi accademici. Non ci piace ammaliare le menti dei bambini con troppe informazioni, è meglio lavorare intensamente per brevi periodi di tempo piuttosto che fare le stesse cose più lentamente e a lungo. Socializzare, avere interessi, è fondamentale». Un simile trattamento incentrato sul benessere degli atleti valse all’Anderlecht 41 gol in 98 presenze, segnati da un Lukaku visibilmente felice della sua parentesi di carriera in Belgio.
Neerpede, il nido dell’Anderlecht
Il Brusselse Ring è un gigantesco anello che racchiude al suo interno l’agglomerato urbano di Bruxelles. All’estremità occidentale c’è Neerpede, distante circa 5 km da Anderlecht, della quale è una sorta di prolungamento in modo tale da espandersi in una zona più tranquilla e meno chiassosa. Principalmente la città di Anderlecht, 120mila abitanti, è famosa principalmente per il suo club calcistico, perché estrapolando l’accezione bianco-malva restano il principale macello della regione di Bruxelles, la sede di Coca Cola nel Benelux, qualche catena di supermercati e una base culturale nutrita. Non sorprende dunque che sia proprio a Neerpeede che si trova il Trainingscentrum dell’RSC Anderlecht, chiamato pure «Centre de formation de jeunes» per via del bilinguismo. Si trova qui perché nel 2004 i Paars-wit s’accorsero di avere un budget disponibile incompatibile col loro potere di mercato. Partì la rivoluzione: due presidenti in 40 anni e altissima stabilità dirigenziale che sul campo si rifà a un sistema totalmente player-centered in grado di formare atleti che dai 18 ai 21 anni siano già in grado di giocare in Champions League.
Tra i 23 convocati da Roberto Martínez per il Mondiale 2018, ben otto hanno assaporato l’aria e le metodologie d’allenamento a Neerpeede: Kompany, Tielemans, Fellaini, Januzaj, Dendoncker, Mertens, Batshuayi e Lukaku. Oltre un terzo della terza rosa migliore al mondo è passato per l’academy dell’Anderlecht: hanno segnato otto reti solo loro, tante quante il Brasile che hanno sorprendentemente eliminato ai quarti di finale. Parallelamente, tra immensi parchi regionali e chalet mozzafiato, ogni settimana a Neerpeede il direttore dell’academy Jean Kindermans incontra lo staff della prima squadra. Ogni quattro o cinque settimane incontra il presidente, il CEO e l’head coach del settore societario deputato allo scouting per fare il punto della situazione. Il tema di fondo è il calcio, si discute di trasferimenti, si estrapolano i dati relativi alla gestione delle risorse e si ripetono i tre principi cardine del progetto: intelligenza, bilateralità, versatilità. Si plasma il talento, concentrandosi sul valorizzare i talenti locali: «Se sono davvero speciali osserveremo anche giovani da più lontano, ma a quell’età è molto difficile strapparli alla famiglia».
La sostenibilità dell’Anderlecht
L’idea alla base del successo è quella tracciata da Kindermans: «Anderlecht è la strada, siamo uno specchio della comunità. Bruxelles è come Londra, come Parigi, come qualsiasi altra grande città. Il multiculturalismo è un vantaggio per noi, dobbiamo confrontarci con ogni bambino in un modo diverso. Abbiamo così tante religioni, culture, lingue e nazionalità diverse qui. Ogni individuo reagisce in modi diversi, ci adattiamo ad ogni sfondo: due piedi e una testa sana fanno la differenza qui». E ancora: «Prendi Kompany, madre belga e padre africano. La sua famiglia umile e l’educazione impartita da Bruxelles fanno sì che non giri con macchine di lusso, bensì utilizzi un tram e poi un autobus notturno per rincasare dopo l’allenamento. È stato influenzato dalla strada, ma Vincent è un ragazzo molto intelligente. Non ho una sfera di cristallo, ma sono convinto che tornerà qui e interpreterà una parte importante. È un leader naturale, non è necessario avere un master in psicologia per saperlo. Anche se parla e scherza, istintivamente unisce le persone in un gruppo e ha un impatto enorme ovunque vada».
Le 103 presenze del capitano del Manchester City con l’Anderlecht hanno un ulteriore significato. Continua Kindermans: «Non mi piacciono gli allenatori che cambiano club ogni anno, la stabilità è la chiave. I nostri allenatori sono spesso istruiti da psicologi e operatori pedagogici. C’è un mix tra giocatori ex-professionisti e allenatori diplomati, ma non basta avere un solo modo di pensare. La vera arte di essere un allenatore è tradurre le tue idee ai giocatori e convincerli a investire nelle tue teorie. I ragazzi cambiano, il calcio cambia, faccio guardare e analizzare le partite di Champions League ai miei allenatori. È importante circondarsi di calcio moderno, noi cercavamo il 70% di possesso palla, ma a che serve avere la palla se non si fa niente? Ora lavoriamo sempre per avere il possesso palla del 70%, ma che sia progressivo ed efficiente. La filosofia di allenamento del club è questa: ‘ottieni il pallone, mantienilo, avanza, crei, concludi, vinci’. La predichiamo a tutti». Si studia tanto, passando tanto tempo in sala video e a provar nuove tattiche. Si riscontrano in particolar modo due strategie, ‘high-press’ se impongono il ritmo e ‘spider-web’ quando prediligono la gestione. Si lavora sul 3-4-3, che fino all’Under 15 è semplificato in 4-3-3, ma la flessibilità in casa Anderlecht è tutto. Pardon, non proprio tutto. Su una parete del centro di Neerpeede campeggia una scritta: «Hard work beats talent».
Nomi e numeri del trend Anderlecht
Sono due i parametri che è interessante studiare. Il primo è l’impressionante continuità con cui l’Anderlecht ha lanciato giovani calciatori nel mondo del professionismo, in cui tutto si riduce a un elenco. Così nel 1986 esordiva Vincent Kompany, nell’87 Anthony Vanden Borre, Dries Mertens e Roland Lamah, nell’88 Sven Kums (oggi tornato nel club d’origine dopo una parentesi anche in Italia all’Udinese), Samir Ujkani (pure lui passato per l’Italia e oggi in Turchia al Çaykur Rizespor) e Rúrik Gíslason (l’islandese oggi milita in Zweite Liga, a Sandhausen). Nel 1989 ecco Vada Odjidja-Ofoe, oggi al Gent dopo Olympiakos e Legia Varsavia, nel ’90 Omar El Kaddouri – che dopo Brescia, Napoli, Torino ed Empoli ha scelto il PAOK Salonicco – e due anni di pausa. Nel 1993 però ecco l’exploit Lukaku, seguito nel 1994 dall’oggi sampdoriano Dennis Praet e dal fratello di Romelu, Jordan, terzino della Lazio. Nel 1995 ulteriori nomi dal grande potenziale: Adnan Januzaj (Real Sociedad), Leander Dendoncker (Wolverhampton), Sandy Walsh (Zulte Waregem). Stesso discorso per il 1996: Samuel Bastien (Standard Liegi), Stephane Omeonga (Genoa), Charly Musonda Jr (Vitesse). A completare la lista finora ci sono Youri Tielemans e Aaron Leya Iseka, attualmente a Monaco e Tolosa, a rappresentar la leva 1997. Poi spazio ai ’98 Orel Mangala e Ismail Azzaoui, entrambi in Germania ad Amburgo e Wolfsburg, e al ’99 Mile Svilar, portiere belga che il Benfica ha acquistato per farne il nuovo Oblak. Per ora ci si ricorda di lui per qualche papera in Champions League, ma l’età è certamente dalla sua parte.
Come detto pocanzi però, non c’è solo la strabiliante gestione di questo processo. Emerge anche – ed è il secondo parametro – una componente economica che ha messo a posto i bilanci del club. Plusvalenze, non necessariamente di calciatori formati all’interno delle giovanili, ma comunque vitali per i conti societari. Nel 2001 entrarono 10,5 milioni per Jan Koller al Borussia Dortmund, nel 2006 Vincent Kompany andò all’Amburgo in cambio della medesima cifra, l’anno dopo Mémé Tchité al Racing Santander (7,5), nel 2008 Nicolás Pareja all’Espanyol (5), nel 2010 Moubarak Boussoufa all’Anzhi (8), nel 2011 Romelu Lukaku al Chelsea (11), nel 2013 Dieumerci Mbokani alla Dinamo Kiev (11) e il metronomo argentino Lucas Biglia alla Lazio (8,4). Nel 2014 il West Ham acquistò Cheikhou Kouyaté (7,5), nel 2015 il Newcastle fece lo stesso con Aleksandar Mitrović (18,5) e Chancel Mbemba (12), nell’estate 2016 ecco l’esodo numericamente maggiore. Praet si unì alla Sampdoria (10), Steven Defour accettò la corte del Burnley (8,6), l’italiano Stefano Okaka lo raggiunse in Inghilterra, al Watford (6). L’estate scorsa Youri Tielemans batté cassa (26,2 dal Monaco), nel 2018 le acque calme hanno visto solo la partenza di Uros Spahic (6, Krasnodar). Ma la regola è la medesima: l’Anderlecht sa vendere. E pure bene.