Bilbao? Macché. Ecco l’Athletic Club Lezama

L’arco che il vecchio stadio San Mamés custodiva gelosamente, ha lasciato il posto alla modernità. La nuova Catedral non ne contemplava la permanenza e dunque, da buon emblema arquitectónico de Bilbao, è stato spostato a Lezama. Progettato nel 1045, emblema del potere edilizio locale nonché visibilmente intruso nel nuovo impianto, modernissimo e ricoperto dal led che illumina di rosso tutto il circondario. Così l’arco oggi è di casa a Lezama, 15 km di distanza dalla città principale dell’Euskal Herria: decentrato solo apparentemente, perché è lì che stanno le instalaciones, pietra miliare della palestra attraverso cui l’Athletic Club di Bilbao forma la sua squadra. Se da un lato è ben nota la politica societaria dei Lehoiak – lemma basco per “leones”, leoni – dall’altro non tutti conoscono la storia degli impianti di Lezama. «Con cantera y afición, no hace falta importación» hanno sempre portato avanti come mantra: nel 2010 la presidenza volle indire un sondaggio tra i tifosi, chiedendo se la strettissima politica di tesseramento avrebbe potuto magari esser ampliata, permettendo dunque l’ingresso di calciatori stranieri nella rosa rojiblanca.

Non solo la risposta fu negativa, ma i dati mostrarono l’incredibile unanimità di giudizio (94% contrario). L’attaccamento dei tifosi era ben noto, semmai questi ultimi si mostrarono flessibili solo per quanto concerne la questione oriundi: alla fine fu concessa loro la possibilità di giocare per l’Athletic, ma solo se figli di genitori o nipoti di nonni baschi, oppure rigorosamente prodotti delle giovanili di squadre basche purché fosse appurato il loro tifo per l’Athletic Kluba. Misure che passarono non senza incertezza (52 contro 48%), segnando una sostanziale apertura.

Lezama - Athletic Club Bilbao
Fonte immagine: www.athletic-club.eus

Lezama, dove nasce l’Athletic Club

I dati che nel gennaio 2018 furono raccolti dall’influente The Guardian mostrano che l’85% dei calciatori passati per la prima squadra dell’Athletic Bilbao sia stato svezzato proprio a Lezama, L’edificazione del centro sportivo qui fu inaugurata all’alba della stagione 1971/72, con l’allora presidente Félix Oráa a veder per la prima volta impiegati i primi tre campi, un edificio adibito ad abitazione per i calciatori e gli spogliatoi annessi. Negli anni le instalaciones sarebbero cresciute e sotto la gestione José Antonio Eguidazu (1973-77), le strutture furono ulteriormente migliorate. Videro la luce quattro ulteriori campi e una palestra al coperto, fino al 1995 quando José María Arrate aggiunse altri tasselli migliorandone la viabilità: strade più capillari, un nuovo parcheggio, una tribuna che accogliesse i tifosi – e i tanti genitori – venuti a vedere gli allenamenti e le partite.

Lezama vive di calcio, e non è solo una metafora. Inglobata da una serie di circonferenze tangenti Bilbao, con soli 2400 abitanti a popolarla stabilmente, questa piccola cittadina respira calcio. Il centro sportivo è oggi al suo splendore massimo: otto campi, una palestra, sala stampa e sala medica. Poi nel 2013 il vecchio San Mamés fu demolito, l’arco fu spostato simbolicamente a Lezama proprio perché secondo luogo più iconico del club. Secondo alcuni è un monito alle nuove generazioni, affinché diano lustro all’Athletic come le precedenti, indubbiamente è pure una spada di Damocle. Altrettanto certamente, è una spinta motivazionale gigantesca: Iñaki Williams, nato a Bilbao da padre ghanese e madre liberiana, fu considerato idoneo per via del luogo di nascita. Nel 2014 andò in gol contro il Torino, diventando il primo calciatore di colore a segnare col Club. Con lui in campo peraltro, nell’estate successiva (2015) il Barcellona fu schiantato in Supercopa iberica, il primo trofeo di un certo peso dopo il 1984. Anche grazie a lui, la nuova politica societaria mitigata è stata meglio accettata.

Lezama - Athletic Club Bilbao
Fonte immagine: www.athletic-club.eus

Un giorno tra i leoni

«Questa squadra di calcio diventa parte della nostra identità sin dal momento in cui nasciamo. Ogni ragazzo nato nel raggio di 60 km da qui è inondato di palloncini e regali dell’Athletic, i reparti di maternità sono intonacati in rosso e bianco. Sono nato a Bilbao, indossare questa tuta e rappresentare questo club è tutto per me. So che i ragazzi provano lo stesso orgoglio, ci sentiamo tutti come un pezzo di storia, come una famiglia. È incredibile stare insieme e guardar l’un l’altro crescere attraverso le categorie, come persone e come calciatori. Quando un ragazzo di Lezama veste il biancorosso a San Mamés, proviamo tutti un grande senso di trionfo» ha raccontato Jon Solaun Akarregui, classe 1974 che prima è stato calciatore dell’Athletic – vantando una carriera spesa in gran parte tra le serie minori, non un caso che la sua pagina Wikipedia sia in basco e non in spagnolo – e oggi allena l’Under 16 qui a Lezama.

Come detto, l’85% di Lezama si ritrova a Bilbao, attraverso sette anni di formazione. «Li prendiamo come ragazzi giovani e li modelliamo, questa cifra è solo una conseguenza del nostro lavoro» gli fa eco José María Amorrortu, classe 1953 di Deusto, el Distrito número 1 di Bilbao. Ex trequartista, oggi è il direttore generale dell’academy e ha individuato il punto di forza della rete biancorossa nello scouting. Oltre 20 sono gli osservatori in Biscaglia, ben 150 in tutta la regione. Non appena uno di essi nota un particolare talento, lo invia a Lezama.

Lezama - Athletic Club Bilbao
Fonte immagine: www.athletic-club.eus

Il segreto dell’Athletic Bilbao

Detto della necessità competitiva di arrivare prima, la vera peculiarità sta nell’anticipare la concorrenza: «L’anno scorso abbiamo avuto qui 1500 bambini di nove anni, non è difficile trovare giocatori. Vogliamo sapere come pensano e come prendono decisioni sul campo, poi vediamo come si comportano. Non appena entreranno nell’edificio, avranno ruoli e responsabilità, partendo da pulire gli spogliatoi e ordinare l’attrezzatura». Il modello dell’Athletic è peraltro fortemente improntato sulla cultura: «Ho lavorato nell’Atlético Madrid e in altri club d’élite, ma nessuno ha ciò che abbiamo qui. Abbiamo una cultura, un’identità. Il nostro compito è creare brave persone e buoni giocatori, nessuno lo fa come noi. La famiglia è tutto per i baschi e noi vogliamo fare bene con la nostra gente. Non c’è maggiore senso di orgoglio per un ragazzo che giocare a calcio per questo club».

Un concetto su cui Amorrortu s’è molto soffermato, sempre a The Guardian, è quello di far sì che i ragazzi possano tornare alla vita senza pallone: «È importante che abbiano più mezzi per la vita che per il calcio, le carriere sono brevi e sono un brutto problema quando finiscono». Così i numeri dicono che 13 dei 21 ragazzi che compongono la squadra dei 18/19 anni studiano per laurearsi all’università. Sono degli esempi da seguire per i più giovani, ma allo stesso tempo sono influenzati dal corretto modello dei più grandi. Le pittoresche colline basche sono dunque lo sfondo di un ritratto di famiglia. Spiega Iban Fuentes, che allena l’Under 18: «Stiamo tutti vivendo un sogno. Se la prima squadra gioca, i bambini si alleneranno, torneranno a casa e indosseranno la loro maglia dell’Athletic per guardare la partita con la loro famiglia. Noi allenatori abbiamo un ritrovo in città dove guardiamo le partite insieme. Siamo tutti membri della famiglia dell’Athletic e abbiamo le nostre cultura e identità».