Da venditore a operaio in una catena di montaggio, dalla gestione di spazi pubblicitari alla procura del cinque volte Pallone d’oro. Storia della formidabile ascesa del procuratore portoghese tra cappelli di paglia, coni gelato e chiamate a notte fonda: pare che solo con Florentino Pérez fossero 25 al giorno. Tante, troppe: così CR7 si preoccupò per la salute di Mendes.
Circolano volentieri le voci a Caminha, 17mila abitanti nel nord del Portogallo e la stragrande maggioranza di esse riguarda Jorge Paulo Agostinho Mendes. In quest’arida terra nota per i suoi incantevoli miradouros è innegabile che la figura di maggior spicco sia quella di un classe 1966 che sognava di diventar calciatore come tanti altri ma nacque piuttosto con lo spirito del businessman nella zona residenziale riservata ai dipendenti della Petrogal, dove lavorava suo padre. La madre era invece casalinga, ma per arrotondare le entrate di famiglia era solita intrecciare cappelli di paglia e cestini di vimini che il piccolo Jorge portava con sé sulla linea 28, raggiungendo via autobus la Fonte da Telha, dove riusciva a decuplicare i guadagni delle bancarelle concorrenti. Già allora l’imprenditorialità lo contraddistingueva, un po’ per necessità e un po’ per passione. Come raccontano Miguel Cuesta e Jonathan Sánchez nel loro libro O Agente Especial, il giovane Mendes era descritto all’unisono come un ragazzo educato che amava ripetere di sentirsi obbligato a contrastare la bassa disponibilità di finanze in famiglia.
A 21 anni Jorge fu acquistato dal Vianense e l’aneddotica a proposito è sconfinata: pare non si fosse occupato del contratto, chiedendo anziché uno stipendio la gestione di spazi pubblicitari ubicati intorno allo stadio. Di lì a poco si sarebbe appassionato alla vita notturna e avrebbe gestito la nota discoteca Alfándiga (“dogana” in portoghese), presso la quale si divideva tra bancone e consolle. Come nelle migliori favole, nel 1995 incontrò qui Nuno Espírito Santo, allora 21enne portiere in forza al Vitória Guimarães, che gli confidò di sognare spasmodicamente un contratto col Porto. Mendes fiutò la chance, riuscì nel suo intento e l’anno dopo, nel 1996, vide la luce la Gestifute con la sua ascesa perentoria, e con essa pure quella dei suoi assistiti. Su tutti Cristiano Ronaldo, entrato nella scuderia a 15 anni e piazzato al Manchester United una volta maggiorenne.
Augusto César Lendoiro, che per chi non lo conoscesse è l’ex presidente del Deportivo de La Coruña, raccontò di non esser sicuro se Mendes fosse un uomo attaccato al telefonino oppure un telefonino nato appresso a un essere umano. Dietro al siparietto c’è del vero: nel 2009 l’ex CEO del Chelsea Peter Kenyon ricevette alle due di notte una chiamata a cui fu tentato di non rispondere. Cambiò però idea: dall’altra parte della cornetta c’era Mendes, che contattò l’amico solo per avvisarlo che un’ora dopo, alle tre di notte, l’avrebbe richiamato. «Ma perché non mi ha chiamato alle tre, allora?» reagì spazientito Kenyon, per cui ad ogni modo il procuratore era hombre de confianza, uomo di fiducia, tanto che non lo chiama Jorge bensì Dom Jorge.
Parallelamente, la stampa lusitana conferì grande attenzione all’ascesa di Mendes: «Es un conquistador», ed ebbero ragione perché in brevissimo tempo allacciò rapporti con Rio Ave e Porto, poi Valencia e Monaco, infine il Real Madrid in cui piazzò CR7, Pepe, Ricardo Carvalho, Di María e Fábio Coentrão. A Valdebebas si dice che Florentino Pérez ricevette anche 25 chiamate quotidiane da Mendes, tanto che lo stesso Ronaldo si preoccupò per la salute del suo procuratore per via delle 20 ore diurne spese attaccato al telefono. Infaticabile e perfezionista, come ringraziamento per l’accorta gestione dei suoi assistiti, a Mendes arrivò in dono da Cristiano un’intera isola greca. Era il 2 agosto 2015 e il procuratore aveva appena sposato Sandra, madre dei suoi tre figli, e prossima al lancio del suo marchio d’abbigliamento Artbelievers.
L’esperienza maturata in gioventù (non solo la discoteca ma pure un negozio che affittasse dvd e in un bar) si traduce oggi nei quattro – pare – telefoni che Mendes porterebbe sempre con sé. Nelle afose estate lusitane lavorava in una fabbrica di gelati Cornetto, piazzandosi al termine della catena di montaggio, asserendo fieramente: «Il mio è il compito più importante, perché devo tenere il cono in mano evitando che cada». Dai coni all’amicizia con Peter Lim – che al Valencia per un periodo si rifornì solo da lui – Mendes piazzò affari esclusivi pure col Monaco di Rybolovlev. Si dice che tutto partì da un domino: nel 1990 il principale agente portoghese era José Veiga e il patron del Porto si fidasse ciecamente dei suoi consigli.
Mendes studiò la tecnica del concorrente evitando lo scontro diretto, almeno fino a quando la madre di Cristiano Ronaldo non volle affidare la gestione del figlio alla Gestifute. Veiga, ai tempi procuratore di Figo e Nuno Gomes, accusò il colpo: nell’estate 2002 Mendes compì il sorpasso col trasferimento di Hugo Viana. Nulla di sensazionale, un centrocampista portoghese che andò al Newcastle per 12 milioni di sterline, ma decisivo poiché primo accordo della Gestifute con un club inglese. L’ascesa si completò con l’aiuto di Pini Zahavi, che aprì a Mendes le porte del Chelsea, poi in sequenza ecco José Mourinho, Ricardo Carvalho, Paulo Ferreira, Bosingwa e Deco tra le fila dei Blues.
Se oggi l’effigie di Mendes non è al riparo da ombre e critiche, è chiaramente dovuto alla repentina ascesa. Talento e abnegazione, dicono in molti, ma pure forse uno spiccato orientamento pressoché totale al profitto a discapito (in alcuni casi) dell’effettiva soddisfazione dei suoi clienti. Occhio però: l’accusa è mossa nientemeno che da Mino Raiola, uno per cui Jorge è sicuramente un agguerrito concorrente.