Leggendo le prime pagine de El Gráfico, il giorno dopo l’eliminazione da Russia 2018 per mano del Brasile, era impossibile non scorgere tutta la delusione di chi tutto sommato si stava preparando ad un periodo di recessione; ma forse non così presto.
“Un dolor eterno:
un Chile sin sangre fue goleado por Brasil
y la Generación Dorada se quedó
fuera del Mundial“
Il 3-0 incassato all’Allianz Parque di San Paolo, più che far male sollevava interrogativi che i cileni avrebbero voluto risolvere in fretta. Pancia piena, dopo due Copa América di fila? Prolungamento di quel “periodo no” seguito alla Confederations Cup? O semplicemente la Generación Dorada è giunta ormai sul viale del tramonto?
Sono 13 gli Héroes che hanno fatto parte della Generación Dorada cilena e che allo stesso tempo avrebbero potuto metter la loro firma su tre Campionati del mondo consecutivi. Si possono elencare in formazione: Bravo; Isla, Medel, Jara, Beausejour; Carmona, Mati Fernández, Vidal; Valdivia, Sánchez, Orellana; e resterebbero comunque fuori Mark González ed Esteban Paredes.
Dopo Sudafrica (2010) e Brasile (2014), Russia 2018 sarebbe dovuta esser la loro grande occasione per provare a portare la Roja sul tetto del Mondo (o quanto meno da quelle parti). Non ce l’hanno fatta.
“Siamo giovani e abbiamo molto da dare” ha sentenziato speranzoso il centrocampista in forza al Pumas Marcelo Díaz, concludendo con “Lo que haya pasado o no, lo único que hay que pensar es en el futuro”.
Ecco, il futuro. E’ forse proprio questo che spaventa più di tutto i cileni. L’euforia che accompagnava l’attesa del match di San Paolo il 11 ottobre 2017 è svanita al triplice fischio di Zambrano che spediva l’Argentina in Russia e lasciava il Cile a bocca asciutta. Niente biscotto, no. Solo lunghi mesi per metabolizzare la sconfitta e tentare di trovare una risposta alle cause di un fallimento. Veramente inatteso.
A Julio Salviat, periodista de El Mostrador, hanno posto la criptica domanda: è questa o no la miglior generazione di sempre del calcio cileno? Risposta: sì!
Salviat spiega di aver visto tutte le nazionali che si sono susseguite dal 1947 in poi, ma mai ha rivelato di aver scorto un gruppo valoroso come quello attuale.
Né quella di José Sulantay né quella di Orlando Aravena possono reggere il confronto, a suo dire. In porta Claudio Bravo batte Sergio Livingstone e Roberto Rojas sotto il profilo numerico, sia in quanto a presenze che efficacia. Più difficile il confronto tra terzini destri, ma tra Mauricio “Huaso” Isla, Luis “Fifo” Eyzaguirre e Mario Galindo vince il secondo perché autore di un calcio all’avanguardia rispetto alle coordinate cronologiche all’interno delle quali era restato intrappolato.
Al centro della difesa, Gary Medel supera Alberto Quintano e René Valenzuela per l’impegno profuso nonostante una struttura fisica non propriamente possente. E soprattutto per l’abilità con cui riesce a rendersi fondamentale in un contesto non propriamente suo. Accanto a lui, il partner in crime Gonzalo Jara, Elías Figueroa e Raúl Sánchez si sono contesi un posto poi andato a Don Elias: quando Franz Beckenbauer diceva di invidiargli la tecnica e la fierezza, probabilmente non bastava.
Il terzino sinistro tipo risponde al nome di Sergio Navarro, capitano della selezione che giocò il Mondiale ospitato proprio in casa, nel 1962: dietro di lui Eugenio Mena, fuori discussione, e Antonio “El Chino“Arias, che può vantare una carriera più lunga ma anche un numero di successi legato in gran parte al suo club (l’Unión Española) piuttosto che alla Roja.
Il dilemma del secolo si apre in mezzo, a centrocampo: chi tra Arturo Vidal, Jorge Toro ed Enrique Hormazábal? Qui, punto sul quale sarebbe quasi d’obbligo tentennare e fermarsi a pensare prima di fornire una risposta sufficientemente argomentata, Salviat non ha dubbi: sono tre mostri, “Cua cuá” Hormazábal era tecnico, “El Chino” uguale ma probabilmente più disciplinato. Il perfetto connubio tra due è quello proposto nel personaggio di un 30enne con la cresta e una lunga sfilza di soprannomi: «El Rey Arturo», «Guerrero», «Gladiador», «El todo terreno», «El motor», «Celia Punk». L’incidente del 2015 è una sorta di summa complessiva: ubriaco, schiantatosi con la Ferrari mentre sul campo trascinava i ragazzi di Sampaoli.
Accanto a lui, Marcelo Díaz vince a man bassa oppure no il ballottaggio coi vari Eladio Rojas e Jaime Pizarro? E’ quell’atleta che spiega ai compagni come giocare, l’allenatore in campo, alter ego di chi siede in panchina. Cambia i ritmi quando vuole e conferisce incidenza all’equipo, qualità in cui eccelle maggiormente rispetto al “Kaiser” e al “Carepato“. A completare il centrocampo, uno tra Charles Aránguiz, Carlos Rivas e Jaime Ramírez. Stili diversi ma prestazioni simili, sentenzia Salviat: Rivas più ligio, Jaime roadrunner ed “El Principe” implacabile e preferito.
L’ultimo posto nel reparto è quello privilegiato di chi veleggia sulla trequarti con ampie libertà di offendere: chi tra Jorge Valdivia, Francisco Valdés e Manuel Rojas merita maggiormente? Sono tre elementi estremamente fantasiosi, “Chamaco” probabilmente prevale per la sua abilità di andare in gol,”Manolito” è quello più intelligentemente lungimirante, ma il genio è uno. Non si scappa. Jorgito uber alles. Vede linee di passaggio che altri neppure osano inventarsi, manda la sfera là dove nessuno l’aspetterebbe (se non il compagno cui tale prodezza è destinata). Any other thing needed.
In attacco, chi tra Eduardo Vargas, Iván Zamorano e Marcelo Salas? Prima di scegliere uno dei tre è obbligatorio togliersi il cappello: “Turboman” è un mix tra il Doctor Edu apatico nei club e il Mister Vargas implacabile quando veste la camiseta roja. Un duetto inscindibile, ma il cannoniere dell’era Sampaoli paga però la sua duplice natura. “Bam-Bam” Zamorano ha segnato ovunque, ad esempio, diventando pure Pichichi de La Liga e icona del gol, headliner sudamericano (forse il più grande degli ultimi tempi, segnala Salviat). Non basta però tutto questo all’ex Inter per strappare lo scettro dalle mani del “Matador“, abile e preciso, ammirato in Italia con Juventus e Lazio.
Il compito di un attaccante è segnare, ovvio, e Marcelo c’è riuscito meglio di tutti (Alexis escluso). Le sue 37 reti in 70 apparizioni sono stata superate infatti soltanto da Sánchez capace di collezionare 39 reti in 119 apparizioni in nazionale. La punta dell’Arsenal ha sbaragliato la concorrenza di Pedro Araya (“El Chico“, che rifiutò l’offerta del Santos quando vollero far di lui il nuovo Pelé) e dell’omonimo Leonel Sánchez, che superò un provino a Milano ma preferì restare a Santiago.
Con Alexis in campo la formazione è dunque questa, schierata col 4-3-1-2 di sampaoliana memoria: Claudio Bravo; Luis Eyzaguirre, Gary Medel, Elias Figueroa, Sergio Navarro; Arturo Vidal, Marcelo Díaz, Charles Aránguiz; Jorge Valdivia; Alexis Sánchez, Marcelo Salas. Su undici slot, sette sono occupati dalla Generación Dorada.
E allora, probabilmente, non ha tutti i torti Salviat.
Ma la mancanza di un ricambio generazionale adeguato si sta facendo avvertire con tutta la sua potenza. Guillermo Maripán e Valber Huerta in difesa, Erick Pulgar e Diego Valdés in mezzo al campo, Felipe Mora e Angelo Sagal in attacco, si sono rivelati tutti elementi non all’altezza.
Colpa probabilmente di un sistema che dopo l’era Sampaoli ed i successi appresi per osmosi da Juan Antonio Pizzi, ha finito forse per adagiarsi eccessivamente sugli allori.
Più che lavorare ad un progetto in grado di auto-alimentarsi costantemente, obiettivo della Federación de Fútbol de Chile, alias FFCh è stato quello di massimizzare il rendimento di quel nucleo ristretto di fuoriclasse che da 10 anni mal contati ormai compone lo zoccolo duro della Nazionale.
Non si sbaglia poi più di tanto a definire episodica la manna della Generación Dorada. Del resto il gruppo che Bielsa portò in Sud Africa nel 2010 era il quinto più giovane di quel torneo con un’età media di 25.9 anni; ed è lo stesso gruppo di titolari che ha vinto la Copa America del centenario. Alle spalle di questi ragazzi c’è il nulla o quasi.
La Sub 20 ad esempio ha prepotentemente stentato nel Sudamericano 2017 e ha saltato le ultime due edizioni del Campionato del Mondo di categoria. Le squadre di club sono attraversate da una profonda crisi che se da un lato fa si che le società siano costrette ad investire sui giovani allo stesso tempo produce un circolo vizioso che punta a massimizzare i tempi di rivendita con l’effetto che molti ragazzi si perdono troppo precocemente.
La Federación de Fútbol de Chile, alias FFCh, ha gestito negli ultimi anni la Nazionale servendosi di un organismo parallelo, l’Anfp, che per altro destina al movimento considerevoli somme di denaro. Ma si tratta nel complesso di un meccanismo anacronistico dove club e nazionali attingono dalla stessa fonte sottraendosi di fatto risorse vicendevolmente. Il sistema peggiore insomma per favorire un approccio progettuale di lungo termine.
Tornando dunque agli interrogativi che da quel giorno di Ottobre affliggono i cileni, ecco che tutto appare forse un po’ più chiaro. Non c’è una domanda la cui risposta escluda gli altri interrogativi. E’ tutto strettamente legato da un unico filo conduttore. La mancata qualificazione a Russia 2018 è probabilmente figlia dell’appagamento della Generación Dorada. Una Generazione che ha però imboccato il viale del tramonto. Senza che la notte, ad oggi, lasci intravedere una nuova alba.