Dopo la presentazione ufficiale del nuovo kit da gara home e away dello scorso giugno, anche la terza maglia della Juventus sembra non essere più un mistero. Nelle ultime ore infatti il sito footyheadlines.com ha diffuso sul web alcune immagini della divisa che il brand Adidas avrebbe disegnato per i campioni d’Italia: maglietta verde con banda orizzontale bianca sul petto e cuciture nere. Ancora nessuna ufficialità, ma sui social imperversano già boutade, critiche ed ironia.
La terza maglia, sempre più utilizzata per questioni di brand e merchandising piuttosto che per risolvere inconvenienti sovrapposizioni cromatiche, è diventata negli ultimi anni il marchio dell’eccentricità per eccellenza: più chiacchierata che vestita, è un modo alternativo per parlare di calcio in un periodo di grave astinenza da competizioni. Al bando sfumature fluorescenti o fantasie color “lattina”, come nel caso di Roma e Inter nella passata stagione, però, perché per la stagione 2017/18 la Juventus sembra aver virato su un verde denso, tagliato sulla tradizione, e decisamente meno sgargiante rispetto a quanto fatto vedere nel recente passato dalle colleghe.
Si potrebbe parlare di un ritorno di fiamma dal momento che la stessa Juve aveva già optato per il verde nel 2014/15: lì due diverse tonalità fluo, più chiaro nella parte frontale e più scuro in quella posteriore, erano state pensate, testuali parole del settore marketing bianconero, “per garantire ai giocatori una migliore visibilità sul campo e conferire maggior energia alla squadra”. Ora, sorvolando sul modo in cui un colore possa procurare energia ad un professionista – che, a rigor di logica, l’energia dovrebbe accumularla attraverso ore di allenamento e non per osmosi attraverso una divisa – e sulla presunta esigenza di rendere ancora più “visibili” i calciatori in campo – in un’epoca in cui le telecamere delle tv consentono di contare anche i peli sul naso -, diciamo che si è trattato di un tentativo (goffo) di attribuire un concept molto Silicon Valley ad un prodotto dall’estetica poco ortodossa.
Niente di tutto questo nella scelta della terza maglia per la prossima stagione. Dietro il ritorno al verde, si aspettano comunque delucidazioni in merito, ci potrebbe essere un preciso rimando alla tradizione. In particolar modo al decennio che va dal 1945 al 1954, nell’immediato dopoguerra, in cui la Juve scelse il verde con una banda orizzontale bianconera come seconda divisa ufficiale. Gli archivi storici conservano delle fotografie ritraenti alcuni giocatori della Juve con addosso delle divise color grigio topo, ma le cronache ci rassicurano che si trattasse di una tonalità particolare di verde. Non resta che credere sulla parola anche per quanto riguarda il debutto ufficiale del colore tra le tinte sociali del club piemontese: bisogna risalire ai primi anni ’30, quando la Juve scese in campo in due occasioni vestita verde speranza contro la Pro Patria, a Torino, nelle stagioni 1931/32 e 1932/33. Un segno di ospitalità, quello di cambiare i propri colori sociali quando si accoglievano in casa squadre con divise simili, ripagato dagli dei del calcio con due vittorie in entrambi gli incontri.
A dar credito alle indiscrezioni sulla terza maglia ci sarebbe poi il restyling della divisa di casa, presentata lo scorso 7 giugno, la prima con il nuovo logo targato Juventus. Dopo l’esperimento della passata stagione – maglia con righine bianche interne a strisce nere più larghe del solito – il nuovo home kit sembra aver caldeggiato una soluzione più classica: le bande nere verticali sono ritornate della grandezza standard mentre il retro della maglia è completamente nero, in stile vintage, proprio come le divise di gioco degli anni ’50. Se lo spirito, come più volte ribadito in sede di rebranding del club, è quello di ricercare l’innovazione nel rispetto della tradizione (il nuovo logo, che ha tanto fatto discutere per la sua spinta minimalista e avveniristica, trae origine da una riflessione storica dell’Avvocato Agnelli sul potere comunicativo della lettera J), le indiscrezioni sulla terza maglia acquisterebbero un ulteriore fondo di verità.
Fa sorridere pensare che il bianco e nero, oggi simboli di un club che ha fatto e continua a fare la storia del calcio internazionale, e dotati di una tale carica evocativa, siano il frutto di un malinteso. In pochi lo sapranno, ma la prima tenuta ufficiale della Juventus, risalente alla sua ricostituzione da “Sport Club” a “Foot-Ball-Club” del 1899, era infatti una camicia rosa con cravatta o farfallino nero. Nel 1903, dopo quattro anni di utilizzo ininterrotto, Gordon Thomas Savage, socio del club e commerciante all’ingrosso nel torinese, propose di sostituire le vecchie divise, ormai di un rosa stinto, con delle nuove di colore bianco e rosso ispirate a quelle del Notthingam Forest. Una volta attivati i suoi contatti in Inghilterra, Savage spedì una delle vecchie uniformi in un’impianto tessile del luogo. L’impiegato che ricevette l’ordine, alla vista dei colori sbiaditi, pensò che la tenuta da prendere a modello non fosse quella dei Garibaldi Reds, ma quella bianconera dei Magpies, il Notts County, l’altra squadra di Nottingham. Rispedito il pacco contenente le nuove maglie, la Juventus, data la scarsa presenza di alternative a pochi giorni dall’inizio del campionato, decise di scendere in campo con quelle uniformi: i successi ottenuti nei mesi seguenti, tra cui la vittoria del primo scudetto nel 1904/05, fecero in modo, un po’ per scaramanzia e un po’ per potenza espressiva (il bianco come simbolo di purezza e il nero come simbolo di autorità), che quei colori penetrassero nel profondo l’immaginario collettivo.
Anche la scelta della terza maglia potrebbe trattarsi dunque dell’ennesima trovata pubblicitaria escogitata dal quartier generale bianconero nell’ambito del rigido programma di espansione del brand Juventus, a cavallo tra passato e futuro. Il nuovo corso, inaugurato proprio a partire dal primo di luglio, punterebbe con decisione alla rivalutazione del marchio nel mondo, guardando con particolare interesse l’accesso ai mercati orientali. Non a caso il logo presentato lo scorso gennaio è un pittogramma, creato con lo scopo di rendere più intuitivo il collegamento con un brand dal forte spirito identitario. “Black and white and more” è stato il titolo della campagna di restyling: il messaggio da far passare è che la Juve non è solo calcio, ma una filosofia, un’appartenenza, un modo d’essere.
Il piano sembra aver già pagato notevoli dividendi nel breve periodo. Stando ad un report realizzato da Calcio e Finanza sulla preview di bilancio della Juventus, i ricavi da vendita di prodotti e licenze sarebbero infatti in costante aumento: dai 9,2 milioni di euro del primo semestre (a fronte dei 6,78 milioni nel primo semestre 2015-2016) si presume che questa voce di ricavo, legata alla gestione diretta del merchandising e del licesing, possa valere alla chiusura del bilancio almeno 18 milioni (quasi 5 milioni in più rispetto ai 13,5 del 2015-2016). Senza considerare che i benefici del rebranding toccheranno anche altre aree di ricavo, come ad esempio sponsorizzazioni (per un fatturato ipotetico di 72 milioni di euro), gare (da valutare le tournée estive) ed iniziative commerciali.
Con un fatturato complessivo stimato intorno ai 550 milioni di euro, la Juventus sarà il primo club italiano a superare il tetto dei 500 milioni in termini di fatturato complessivo. Una conquista che sa di espansione, ma soprattutto di avvicinamento ai colossi del calcio europeo. Due battaglie combattute in arene diverse, sul campo e in sede di programmazione, che sembrano perseguire però un unico obiettivo: rendere il brand Juve l’eccellenza in campo internazionale. E magari, mentre vi precipitate a scrivere su Twitter quanto il verde della terza maglia della Juve ricordi una chiazza di vomito, un ragazzino della Pechino bene sta spendendo la paghetta di un mese per comprare quell’uniforme che tanto odiate.