Dopo solo ottantaquattro giorni di panchina nerazzurra fra alti e bassi – più bassi che alti a dire il vero – Frank de Boer saluta l’Inter. La serie negativa di risultati ha fatto sì che la società cessasse di prendere le parti dell’olandese, più volte appoggiato dal club nonostante il suo rigido integralismo e le decisioni inflessibili. Ottantaquattro giorni scanditi da cinque vittorie, sette sconfitte e due pareggi.
Il suo arrivo alla Pinetina all’inizio di agosto è stato inaspettato e, soprattutto, improvvisato: Mancini aveva accompagnato e guidato la rosa negli USA per la per la tournée estiva, ma non era riuscito a trovare un accordo con Thohir e al suo ritorno non era più l’allenatore della formazione nerazzurra. De Boer ha dovuto prendere le redini della squadra improvvisando e creando dal nulla. Mettere su un progetto in fretta e furia non è stato un compito semplice e l’equilibrio già precario che si respira nell’ambiente nerazzurro da qualche anno a questa parte, certamente non ha aiutato l’ex Ajax. Il prologo della sua avventura non nasce sotto una buona stella: il primo match contro il Chievo finisce 2-0 per i veneti, ma la sconfitta non spaventa, né influenza l’opinione che tutti hanno di de Boer. Preparare la prima partita di campionato in soli dodici giorni e sperare di vincerla è surreale e la società dà piena fiducia all’olandese.
Poi cominciano a giungere le buone notizie, gli acquisti (Gabigol e Joao Mario) creano quell’illusione di facilitargli la vita, Frank comincia a rilassarsi e prendere familiarità con la panchina, che non è poi così scomoda. Ma i risultati positivi – un pareggio contro il Palermo e tre punti presi a Pescara – sono sempre alternati da momenti di black out assoluto. L’Europa League parte malissimo e prosegue anche peggio: i nerazzurri soffrono in casa contro gli israeliani del Beer Sheva e si lasciano battere, senza nemmeno lottare, dallo Sparta Praga. Tra una sconfitta e l’altra si infilano tante polemiche per il modo di gestire lo spogliatoio, per il mancato utilizzo di tanti giocatori pagati a caro prezzo, per il suo ambiguo e rivedibile sistema di scaricare spesso le responsabilità sulla propria formazione, evitando il mea culpa.
Il percorso appare tortuoso e in salita ma, improvvisamente, l’Inter rinasce dalle ceneri e, battendo la Juventus a metà settembre, mostra a chiare lettere di aver superato il periodo di crisi. Il bel gioco palesato, l’affiatamento tra i compagni, la grinta e il sacrificio messi a disposizione da parte dell’intera squadra, la personalità e il carattere di Icardi che sembra aver capito cosa vuol dire essere capitano e dover trascinare gli altri nei momenti critici, mettono un punto alla decadenza. La vittoria con l’Empoli e il pareggio con il Bologna mettono il buonumore e i nerazzurri continuano a macinare punti, grazie anche alle magie di Candreva e Perisic sulle fasce e alle buone prestazioni di Banega e Joao Mario a centrocampo. La rifioritura, però, non è che una mera illusione e l’Inter, in poco meno di un mese, crolla nuovamente. La prova del nove contro la Roma rivela ancora le insicurezze, la confusione e la disorganizzazione dovute ad un rapporto mai realmente stabile creatosi fra de Boer e lo spogliatoio. Eppure il progetto esiste, l’allenatore lo ripete e sottolinea in tantissime occasioni, l’Inter – quando è lucida – fa vedere sprazzi di bellezza nonostante Frank sia abituato al calcio olandese, totalmente diverso – tatticamente e tecnicamente – da quello nostrano.
Il match contro la Samp mette definitivamente K.O. la pazienza della società nerazzurra, che decide dunque di esonerare il tecnico. La povertà dei risultati, la tensione che si è creata con i giocatori, la mancata convocazione di Gabigol e Jovetic nell’ultima sfida contro la Sampdoria, la “punizione” inflitta a Brozovic in seguito alla dura sconfitta in Europa League, lo smacco a Kondogbia, inserito in rarissime occasioni, hanno convinto Suning a cambiare registro e ripartire con un nuovo prospetto, mettendo – si spera – alla base radici più forti e più solide.