L’essenzialità di Carlos Henrique Casemiro nel gioco del Real Madrid. Il passaggio da intruso ad uomo chiave negli equilibri dei blancos.
Leggi Casemiro e il tuffo nell’infanzia è immediato: nessuno smartphone o tablet, ma una discarica di figurine a far traboccare i cassetti; Netflix è una droga di cui non si conosce ancora il nome, sostituita a dovere da polverose VHS Disney. Il viaggio nella memoria si esaurisce con Dumbo, l’epicentro del ricordo è il trenino “Casimiro” con cui la troupe circense della pellicola Disney si muove da una città all’altra. Una sola vocale a segnare la differenza nel nome, ma non nella sostanza. Perché il peso specifico di Casemiro a Madrid è lo stesso che il quasi omonimo vaporetto assume nell’economia di un circo: tenere al riparo le sue stelle, assicurargli un viaggio comodo prima dello show con cui sbancare il botteghino.
Un blanco con la maglia sporca
Ripensi a Dumbo con gli occhi di un adulto e il cuore si stringe nella compassione. Guardi il Real e l’unico essere vivente ad aggirarsi in cattività sembra proprio Casemiro: irretito nel purismo tipicamente blancos di un calcio che deve prima di tutto essere bello da vedere, lui che con l’estetica ha un rapporto quanto meno conflittuale. La stonatura è soltanto apparente perché il nativo di São José dos Campos si è preso le chiavi della gabbia fino a diventare il custode del segreto madridista.
Si è visto anche nella finale di Champions, forse, per la prima volta, in maniera diversa rispetto al solito. Casemiro ha segnato la rete del 2-1 che ha piegato le resistenze bianconere. La sesta in stagione, la settima nella sua esperienza coi galacticos, ma la più importante per effetti e posta in palio. Per quanto l’evenienza del gol sia da considerarsi, casisticamente parlando, poco probabile, Casemiro ha fatto di tutto perché l’esperienza più distante dal suo repertorio non si distaccasse tanto dalla sua comfort zone: una conclusione sporca, finita a bersaglio soltanto grazie ad un tocco del difensore avversario. Di solito lui si trova dall’altro lato della barricata a proteggere la porta. Questa volta la porta l’ha violata, facendo colare cemento a presa rapida sulla conquista della duodecima.
Non solo il gol della vita, ma anche il consueto sporco lavoro di diga in mezzo al campo, tanto nella notte di Cardiff quanto nelle mille giravolte del suo sogno madridista. E’ grazie ad una naturale predisposizione all’urto, nel fine legame tra interdizione e intermediazione con chi ha i piedi buoni, che Casemiro ha conquistato la fiducia di Zinedine Zidane. L’allenatore merengue lo ha impiegato una sola volta nelle prime nove partite al suo arrivo, salvo poi tessergli attorno gli equilibri della squadra. Da lì sono arrivate dodici vittorie consecutive in campionato e la prima delle due Champions consecutive, preludio al dominio dell’anno corrente.
Un legame che si è consolidato nel tempo, dopo prove, controprove e nonostante il parere contrario di Florentino Perez. Proprio il numero uno del Real è il principale esponente di quella cultura blancos che eleva il gioco ad una questione di forma: il rendimento globale è dato dalla semplice di somma di talenti, non c’è spazio per incontristi, mediani, o gente che sta nel fango. Florentino e la vox populi madridista non hanno di certo aiutato Casemiro a svegliarsi dal torpore in cui è caduto dopo le premesse di inizio carriera.
Tutti lo vogliono, nessuno lo cerca
La storia di Casemiro è la stessa di tanti altri giocatori sudamericani cresciuti con i riflettori di mezzo mondo addosso. Prospetto d’oro della nuova golden generation carioca, amico e coetaneo di Neymar, fa il suo esordio nel Brasilerao con la maglia del San Paolo. Nel 2011 sale prima sul tetto del Sudamerica e poi del mondo vincendo l’oro in entrambi i tornei under 20 con la maglia della sua nazionale. Da lì decine di contatti, avances e infatuazioni: la più concreta sembra quella della Roma di Luis Enrique che però alla fine, in cerca di un centrocampista d’esperienza, vira sull’argentino Gago. Casemiro vive lo stesso scenario toccato al connazionale Ganso qualche anno prima: fiumi d’inchiostro nelle sessioni di mercato, ma nessuno realmente disposto a fare sul serio.
Resta così al San Paolo in uno scenario fatto di incomprensioni e dissapori con la dirigenza, ed è un attimo che i cattivi pensieri si riversano in campo. Un’offerta, seppur tardiva, giunge da Madrid: è il gennaio 2013 quando il Real lo acquista per farlo giocare nella seconda squadra. Nel giro di un paio d’anni lo status di Casemiro passa da grande stella a giocatore di Segunda Division. La strada per dimostrare di essere qualcosa di più di una semplice promessa è tutta in salita.
Ci mettono poco dalle parti del Bernabeu per capire che il palcoscenico adatto non è quello del Castilla ma quello dei galacticos. Casemiro fa il suo esordio in Liga pochi mesi dopo il suo arrivo, con Mourinho a gestirne una timida transizione. Con l’approdo di Ancelotti, la stagione seguente, parte da primo sostituto nel doble pivote, pronto a dar fiato a Khedira nelle riprese delle partite. Poi Illaramendi gli passa davanti nelle gerarchie e, complice il passaggio a tre nella linea di centrocampo, è spesso costretto a giocare da interno, ruolo che fatica ad interpretare per poca padronanza nel giro palla.
Con l’arrivo di Kroos, un altro centrocampista di qualità, tocca proprio a Casemiro fare le valigie: destinazione Porto con opzione di riscatto per i Dragoes e di controriscatto in favore del Real. La grande stagione alla coorte di Lopetegui e il contestuale ingaggio di Benitez sulla panchina del Madrid sono il passe-partout per il ritorno ai blancos. E’ proprio l’allenatore castigliano a riproporre la formula del doble pivote in mediana, schierando prima Kroos e Modric insieme e individuando poi in Casemiro il filtro per risolvere i problemi di copertura nella parte centrale del campo. Adesso è lui il punto fisso da cui ripartire e attorno al quale far ruotare il talento delle stelle.
Il rendimento altalenante del Real costa la fiducia di Benitez e il nuovo dietrofront sull’impiego di Casemiro che, nonostante un buon impatto nel gioco madridista, non soddisfa appieno gli umori della curva. L’allenatore spagnolo paga caro una serie di partite al di sotto delle aspettative e, sotto consiglio di Florentino Perez, si convince a rinunciare al brasiliano in vista di un delicato match contro il Barcellona: l’epilogo è una sconfitta casalinga umiliante (0-4), casus belli dell’esonero di Benitez e dell’arrivo sulla panchina merengue di Zinedine Zidane.
Tutte le metafore di Casemiro
La personalità con cui Zidane ha riportato Casemiro al “centro del villaggio”, cavalcando un’idea poco condivisa dalla filosofia madridista, la dice lunga sulla sua personalità. Il Real aveva bisogno di equilibrio e Casemiro si è rivelato il collante perfetto tra i reparti, anche al netto delle antipatie manifestate dai puristi del calcio. Basta pensare al trattamento che il Real ha riservato nella storia recente a giocatori di quel tipo per comprendere nel profondo l’irriverenza rivoluzionaria di Zidane. Vedi Makelele, Emerson, Diarra: tutta gente ceduta senza grandi rammarichi, maldigerita dalle tribune, e fonte di biasimo per gli allenatori che la schieravano in campo.
Eppure le note di apprezzamento per il volante paulista non sono mancate da parte di estimatori autorevoli. Primo fra tutti il ct della nazionale brasiliana Dunga che ha descritto la centralità di Casemiro con una metafora difficilmente fraintendibile. Casemiro è quel tipo di giocatore duro a morire che, stando alle parole di Dunga, ha l’ingrato compito di caricarsi sulle spalle il pianoforte affinché gli altri solisti lo suonino. L’immagine che si è cristallizzata nel tempo però è quella di un rockettaro che strapazza una chitarra mentre il resto della banda intorno a lui si cimenta in arpeggi di musica classica.
Alla vigilia della finale di Champions del 2016, persa poi dall’Atletico ai calci di rigore, Simeone aveva sottolineato quanto fosse importante limitare il raggio di azione di Casemiro, ritenendolo una pedina a suo modo ancor più pericolosa di Cristiano Ronaldo. Tuttora ci si chiede se Casimiro non si sia ritrovato nella sponda sbagliata del Manzanarre, lì dove la garra vale più di una pisadita.
Forse dalle parti del Bernabeu hanno imparato la lezione: affinché la luce di Cristiano Ronaldo, Kroos, Modric e Bale risplenda è necessario che qualcuno si dia da fare a strofinare. Mentre il mondo intorno gli parla di figure geometriche complesse, Casemiro è solido e ineffabile come un punto nello spazio.