A partire da luglio 2017 la Juventus avrà un nuovo logo. Nella cornice del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano lo scorso 16 gennaio la società bianconera a sorpresa ha svelato questa importante quanto inattesa novità che ha lasciato spiazzati tifosi ed addetti ai lavori. L’evento Black and White and More ha svelato in ambito più generale la nuova visione della società bianconera in termini di brand awarness e dunque business. Un orientamento che ricalca quello dei principali club europei e che può essere considerato pionieristico per il calcio italiano. Non che questo debba stupire. Non è certo la prima volta infatti che, almeno in ambito nazionale, la Juventus indica la strada. È successo negli anni immediatamente successivi a Calciopoli quando la necessità di ripianare le perdite ha obbligato ad un virtuoso percorso di pianificazione che sotto la sapiente regia di Andrea Agnelli e l’opera di manovalanza affidata a Marotta e Paratici ha portato oggi ad un modello invidiato in Italia ed all’estero. È successo con lo stadio di proprietà, voluto e costruito nel giro di quattro anni ed oggi indiscusso valore aggiunto per il club sia dal punto di vista sportivo che economico. Succederà senza ombra di dubbio nei prossimi mesi specialmente ora che il calcio nostrano comincia ad aprirsi a capitali esteri che richiedono un recupero dell’investimento che passa probabilmente prima dal ritorno di immagine piuttosto che dai risultati sportivi.
COME E PERCHÉ CAMBIA IL LOGO DEI BIANCONERI
L’obiettivo della Juventus, così come si legge anche nel comunicato stampa che ha accompagnato l’evento Black and White and More, è crescere in termini di presenza, influenza e business, tramite iniziative radicalmente innovative, rivolte sia agli appassionati bianconeri di tutto il pianeta, sia a coloro che sono oggi meno vicini al mondo del calcio. Un’apertura dunque verso nuovi orizzonti che strizza l’occhio al business, a nuovi mercati e che è decisamente orientata a trascendere il semplice aspetto sportivo con l’obiettivo di trasferire la filosofia che si cela dietro il brand Juventus. Che è poi quella dell’ambizione e dell’eccellenza che da sempre trainano una storia ed una tradizione all’insegna del successo. Ecco, il nuovo logo sintetizza in poche essenziali linee tutto ciò.
Si tratta di un logo profondamente diverso da quello che caratterizza in genere le squadre di calcio. Il restyling mette in primis in evidenza la J tanta cara all’avvocato Gianni Agnelli che in merito dichiarava di emozionarsi ogni volta che vedeva sui giornali una parola che inizia per questa lettera. Si tratta di una J stilizzata nera su fondo bianco o bianca su fondo nero, che rimanda neanche troppo velatamente alle strisce della maglia e che ad uno sguardo più attento richiama anche la tipica forma dello scudetto. Scelta questa inequivocabilmente dettata dalla volontà di evocare la storia e la tradizione vincente del club. Rispetto alla versione precedente è scomparso qualsiasi riferimento alla città di Torino. E non è certo questa una scelta casuale.
La Juventus come noto è probabilmente il club italiano che ha più tifosi nel resto di Italia che non a Torino. Non a caso la serata di gala è stata organizzata a Milano. Ma non è certo solo questo lo spirito che ha spinto la società bianconera ed Interbrand, società che ha curato per il club il restyling, ad eliminare dal logo qualsiasi riferimento alla città per cerare un’identificazione invece assoluta con il club stesso. Come spiegano Manfredi Ricca, Chief Strategy Officer di Interbrand, e Silvio Vigato, Co-Chief Revenue Officer di Juventus in un’intervista a Wired: “Il brand è ciò che lega i tifosi e gli appassionati permettendo loro di riconoscervi i propri valori e la propria identità. Gestire il brand di Juventus vuol dire salvaguardarne i 120 anni di tradizione riuscendo al contempo a guardare al futuro: molte squadre vivono nel passato dimenticandosi di essere anche aziende da proiettare nel domani“. Cosa che nel mondo del calcio si traduce ormai in profitto ed internazionalizzazione del brand. Si traduce dunque nella necessità di vendere prodotti con il proprio marchio con l’obiettivo di fidelizzare una clientela che non sia esclusivamente quella dei tifosi ma un bacino più ampio che, complice la globalizzazione, si espanda dal mercato orientale a quello americano. Lì dove il fascino è da sempre indissolubilmente legato alla storia ed alla tradizione del club.
C’È CHI SCEGLIE IL GLOBAL E CHI IL GLOCAL
Abbiamo definito quello della Juventus un approccio pionieristico per il calcio italiano. A voler essere onesti si tratta di un’affermazione parzialmente vera. Anche Roma, Cagliari ed Inter (limitandoci alla sola Serie A) prima della Juventus hanno recentemente rinfrescato il proprio brand. Mentre quella dei nerazzurri è stata prevalentemente una scelta volta allo svecchiamento, più profonda è stata invece l’operazione dei giallorossi.
Pallotta, uno che arriva dagli Stati Uniti dove gli sport di squadra sono concepiti ed organizzati intorno ai concetti di business ed intrattenimento e l’aspetto agonistico passa quasi in secondo piano, ha acquistato la Roma con un disegno ben preciso. Esportare e monetizzare un marchio che per nome e colori è facilmente e volutamente confondibile con la città eterna. A prescindere dall’aspetto prettamente sportivo che può comunque sempre rappresentare un plus. Ecco allora che il restyling del brand a stelle e strisce ha eliminato il rimando all’Associazione sportiva limitandosi ad un più secco (od esplicito?) Roma, riallineato i colori a quelli del vessillo comunale ed inserito il 1927, anno di fondazione del club capitolino, per mantenere un minimo di identità sportiva e non scontentare completamente i tifosi giallorossi che comunque,a conti fatti, non l’hanno presa proprio bene. A livello internazionale anche la famiglia Al Thani, proprietaria del PSG, ha optato per una soluzione alla Pallotta. Nome della città in bella mostra a caratteri cubitali e via il 1970, anno di fondazione del club. Anche in questo caso, come per la Roma, si tratta chiaramente di una scelta volta ad identificare il marchio a livello internazionale più con la realtà locale in cui è collocata la squadra che con i valori che essa stessa rappresenta.
Anche il Cagliari ha optato per un restyling di impronta Glocal, proprio come la Roma. Bandiera dei quattro mori, orgoglio della città e della regione, in primo piano e via qualsiasi riferimento esplicito alla società calcistica. Niente suffisso Calcio nel nome e via l’anno di fondazione del club.
Quella della Juventus rappresenta allora una scelta pionieristica nel momento in cui si lascia un approccio di tipo glocal per uno di livello global. Ecco perché dunque un logo elegante ed essenziale che incarna una filosofia vincente si presta meglio nella commercializzazione di prodotti non esclusivamente da utilizzare in ambito sportivo. Si pensi a completi, camicie, cravatte e vestiti in generale. Un merchandising molto differente da quello del tifoso classico. Uno sfruttamento del marchio che abbatte i semplici confini dello stadio e che invade prepotentemente il campo della vita di tutti i giorni. Si tratta insomma di una chiara scelta orientata alla filosofia che permea i global brand: la riconoscibilità e la credibilità in qualsiasi contesto di applicazione. Un qualcosa dunque che va ben al di là del senso di appartenenza generalmente identificato dai consueti stemmi delle squadre di calcio.