Sei gare d’Allsvenskan senza vittoria e tre sconfitte lì nel mezzo, a certificare una crisi dura e incontrovertibile. Era il 1° ottobre 2018 quando il castello dell’IFK Göteborg crollò a terra sul prato della Tele2 Arena di Stoccolma: il 3-0 con cui l’Hammarby s’era imposto era più di una sentenza, il clima si faceva irrespirabile e il terzo gol, una magistrale punizione calciata dall’idolo e icona biancoverde Kennedy, andava ad alimentare la polemica nei confronti di un crollo che non conosceva stop. E infatti a fine anno i Kamraterna avrebbero concluso il campionato all’undicesimo posto (senza l’1-3 in casa dell’ Örebro SK sarebbe stato tredicesimo posto), con una vittoria che è mancata da metà agosto a metà ottobre e con tanti motivi per acuire l’insoddisfazione. Del resto, in 30 gare, le vittorie sono state 9 e le sconfitte ben 17, le reti segnate 38 e quelle incassate 53. Numeri da capogiro, che hanno posto sulla graticola la posizione del tecnico Poya Asbaghi, che però è riuscito a concludere l’annata in sella alla turbolenta panchina dei Blåvitt nonostante una gestione anche tatticamente rivedibile. L’emblema di quanto detto è il passaggio – a un certo punto del campionato – alla difesa a 4 dopo che fino a metà settembre il 3-4-3 aveva quantomeno dato qualche garanzia di stabilità.
Il clima odierno a Lilla London è però opposto: l’IFK è secondo in Allsvenskan a 21 punti in nove gare. Malgrado l’ottavo parco giocatori per valore, Poya Asbaghi ha tirato fuori il meglio dal gruppo: l’armeno André Calisir, il capitano Sebastian Ohlsson, il georgiano Giorgi Karaishvili e due giovani attaccanti. Il primo è il 22enne Patrik Karlsson Lagemyr, il secondo l’ala 2001 Benjamin Nygren: quattro gol a testa finora. Ma non è sempre stato così.
La crisi dell’IFK Göteborg
Alexander Axén, allenatore oggi commentatore dell’Allsvenskan, provò a spiegare il crollo alla tv: «So che hanno avuto finanze magre, ma ad Asbaghi è stato chiesto di vincere le partite. Gli è stato detto di cambiare il dna ai biancoblu, facendoli giocare diversamente. Non capisco, si trattava di praticare un calcio semplice, di possesso. Eppure è un idiota, qualcuno avrebbe dovuto dirgli che avevano ambizioni troppo alte». Di fronte al posizionamento peggiore nell’ultimo quindicennio di storia – un’onta troppo grande per un club dalla storia importante – non piacque ai tifosi che il direttore sportivo Mats Gren avesse deciso di prendersi una vacanza alle Hawaii. In un momento delicato, con l’IFK Göteborg a rischio retrocessione, la società dunque licenziò Gren e con lui sperò di far andar via un periodo fatto di crisi economica, gestione poco oculata delle risorse e addio dei pochi grandi nomi rimasti.
Mats Gren era subentrato nel 2014 ad Håkan Mild, direttore sportivo che nei suoi otto anni di gestione aveva comunque fatto registrare 170 milioni di SEK (circa 16 di euro) dalle cessioni dei talenti prodotti in casa. Tutti giovani venduti all’estero, a prezzi importanti: questa l’ultima soddisfazione dei tifosi, in un momento tale per cui è impossibile attendersi ulteriori exploit in Europa visto che il calcio svedese non può competere con altri. Dal 2014 in ogni caso non era cambiato troppo il discorso. Alcune operazioni discusse in sede di calciomercato (Gustav Engvall, Mads Albæk e Jakob Ankersen), la cessione del centro sportivo di Kamratgården e i licenziamenti di Mikael Stahre e Jörgen Lennartsson hanno peggiorato il quadro mettendo Gren sulla graticola. L’esordiente Poya Asbaghi non riesce oggi ad attuare le promesse di un calcio moderno che gli erano state richieste, i risultati sono crollati, i tifosi sperano in un rinnovamento che pare lontanissimo. E Göteborg, sin dagli albori terra di grandi attaccanti – nel 1924 fu l’ora di Filip “Svarte-Filip” Johansson e delle sue 39 reti stagionali, record ancora imbattuto, nel 1958 ecco i 27 centri di Bertil “Bebben” Johansson e le 16 marcature di Reine Almqvist nel 1969 – è stata costretta ad abituarsi alla mediocrità.
La storia dell’IFK Göteborg
La storia dell’Idrottsföreningen Kamraterna Göteborg nacque il 4 ottobre 1904 al Café Olivedal davanti a una tazza di caffè fumante. Merito di due amici, Arthur Wingren e John Säwström, riunitisi nel locale di Linnéstaden, nel centro di Göteborg: da allora la storia ha riempito il palmarès del club con 13 campionati e 7 coppe svedesi, oltre al primo e finora unico trionfo di una squadra scandinava in una competizione europea. Correva l’anno 1982, col treble campionato, Coppa di Svezia e Coppa Uefa. L’anno in cui Dan Corneliusson fu capocannoniere d’Allsvenskan, Torbjörn Nilsson vinse il Guldbollen riservato al miglior calciatore svedese della stagione e Gunnar Larsson ottenne una presidenza che avrebbe mantenuto per un ventennio. Cinque anni dopo, nel 1987, altro trionfo europeo – sempre in Coppa UEFA, contro il Dundee United – e ulteriore titolo in Allsvenskan ottenuto all’ultima giornata contro il Malmö FF. A quel punto in panchina non c’era più Sven-Göran Eriksson in panchina (aveva esordito nel 1979 con una Svenska Cupen e lasciò la Svezia tre anni dopo) ma Gunder Bengtsson. Conclusa anche l’era Bengtsson, Roger Gustafsson proseguì inizialmente sul tracciato del predecessore (vinse cinque campionati tra 1990 e 1995) ma a cavallo del nuovo millennio uno spettro s’impadronì dell’IFK calando su Göteborg con la stessa voracità di una notte impassibile.
Al calar del sole, si presentò a bussare alla posta una netta inversione di tendenza: nel 1997 fu secondo posto, nel 1998 addirittura ottavo, sia nel 1998 che nel 1999 vennero esonerati gli allenatori prima della fine della stagione (mai accaduto prima) e il nuovo millennio ha regalato ben poche soddisfazioni. Anche per questo, probabilmente, la campagna per la sottoscrizione di nuovi abbonamenti è accompagnata da un messaggio eloquente: «2018 är säsongen vi gärna glömmer. Men en sak glömmer vi aldrig. Våra supportrar. Tack för att ni finns». Tradotto: «Il 2018 è una stagione che siamo felici di dimenticare. Ma non dimentichiamo mai una cosa, i nostri tifosi. Grazie per esserci».
Le due Göteborg in crisi
Nel 1896 a laurearsi campione di Svezia fu l’Örgryte. Doveva ancora nascere l’IFK Göteborg, dunque a rappresentare la seconda città svedese per importanza – dietro Stoccolma – era lo Sällskapet (“La Società”), club più antico di Svezia visto l’atto di fondazione risalente al 1887. L’ÖIS oggi è crollato vistosamente e milita in Superettan, la Serie B locale, ma nella sua storia vanta 12 campionati (più altri due non riconosciuti, in 1926 e 1928, visto che ufficialmente l’Allsvenskan non era un campionato) e una coppa nazionale. Nel febbraio 2011 però l’ex squadra di tanti volti noti del calcio – su tutti il difensore Niclas Sjöstedt, il centrocampista Sammy McIlroy e gli attaccanti Marcus Allbäck, Johan Elmander e Ola Toivonen – andò in bancarotta e fu costretta a ripartire dolosamente dalla terza serie svedese. Questo per dire due cose: inizialmente l’IFK Göteborg fu la seconda squadra della città e soprattutto anche l’Örgryte s’è trovato in una situazione finanziariamente durissima. In una Gothenburg dominata dalle banchine del porto e dai grandi magazzini delle industrie, l’ÖIS rappresentava la squadra della classe media mentre l’IFK era tifato in prevalenza dalla classe operaia e con gli anni sarebbe diventato il portavoce dello strato sociale dominante.
Le difficoltà per l’IFK cominciarono negli anni Settanta, quando il club non potendo permettersi di competere economicamente con gli altri per ottenere i migliori talenti in Svezia cominciò a erodere i guadagni dell’academy. I fondi accumulati in cascina terminarono presto, fu inaugurata una fase di reclutamento che portò comunque un’ultima generazione di talenti (i gemelli Conny e Jerry Karlsson, Glenn Hysén e Glenn Strömberg). Così furono gli anni dei Glenn: oltre a Hysén e Strömberg, anche Schiller e Holm. «Tutti si chiamano Glenn a Göteborg» cantano ancor oggi, mentre nella spedizione al Mondiale 1994 (in cui la Svezia ottenne il bronzo) furono ben 7 i convocati dai Kamraterna, a testimonianza di un canto del cigno che ha avuto come ultimo apice il 2007. Proprio nel 2007 furono spesi 2,5 milioni per acquistare dal Sunderland Glenn Tobias Hysén, figlio del sopracitato Glenn, che però quell’anno non fece bene, offuscato dalle 14 reti di Marcus Berg. Hysén ha lasciato i biancoblù solo a fine 2018, quando a 36 anni ha scelto di ritirarsi. Eccezion fatta per una parentesi in Cina nella stagione 2014/15, era probabilmente l’ultimo volto di una certa caratura in squadra. «Legender skriver historien, Tobbe är klar» gli dedicarono i tifosi.