Il pomeriggio di Parigi regala calcisticamente parlando una gioia inattesa al popolo italiano. Ma non solo. Regala anche una Nazionale, quella di Conte ovviamente, specchio fedele del Paese che rappresenta. Gente, quella italiana così come quella portata in Francia da Conte, che nelle difficoltà ha sempre dimostrato di saperne cavare il meglio trovando nel gruppo il suo punto di forza. Gente, quella italiana così come quella portata in Francia da Conte, pragmatica; che quando c’è da gigioneggiare gigioneggia ma quando c’è da serrare i ranghi li serra e porta a casa il risultato. Gente, quella italiana così come quella portata in Francia da Conte, anche un po’ paracula, perché no. Che conosce bene i suoi punti di forza così come i suoi punti di debolezza ma che non si nasconde davanti all’avversario. Perché è gente, quella italiana così come quella portata in Francia da Conte, intelligente. Che ha una storia e una cultura alle spalle da cui attingere e di cui far tesoro. Che non parte mai temendo il confronto un po’ per sana latina spavalderia, un po’ perché sa di non aver nulla da imparare da nessuno. Semmai piuttosto nel confronto coglie, così come dovrebbe sempre essere, l’opportunità per migliorarsi. Senza mai dimenticare le proprie origini. Senza mai dimenticare arti e mestieri. Senza mai snaturare o rinnegare se stessa. E’ così nell’ingegneria o nell’architettura; nel cibo o nella moda. E’ così nel calcio. Qui che gli inglesi siano maestri è tutto da dimostrare. Essere il primo a fare una cosa non necessariamente ti rende il migliore. Se così fosse il palmares calcistico dell’Inghilterra farebbe impallidire il resto del pianeta. Se così fosse per il referendum sulla Brexit non crollerebbero i mercati finanziari. Se così fosse il tiki-taka della Spagna sarebbe ancora oggi un sistema vincente. A prescindere dall’età degli interpreti. A prescindere che la supremazia nel possesso palla non vuol dire forzatamente giocare bene. Guardiola ha rovinato una generazione di allenatori gettando fumo negli occhi ad un continente ed al mondo intero con la sua filosofia di giro palla ed accelerazioni improvvise. Facile quando gli interpreti si chiamano Messi, Iniesta, Xavi e via dicendo. Facile soprattutto quando gli interpreti hanno venti anni. E così può allora anche accadere che si aprano cicli vincenti. Destinati però a chiudersi a stretto giro di posta se non si è in grado di crescere una generazione di riserva. Per carità di Dio, tutti metteremmo la firma per vincere un Mondiale e due titoli Europei. Ma poi che succede quando in campo vanno Nolito, Aduriz, Lucas Vazquez e la controfigura dell’Iniesta che fu? Succede che ti rendi conto che i giocolieri sono cosa da circo e che il calcio in fondo è un’altra cosa. E’ tattica, disciplina ed organizzazione. Come da lezione impartita dalla nazionale italiana più scarsa degli ultimi venticinque anni ed in particolare dal suo condottiero. Uno, Antonio Conte, che può anche non risultare simpatico ai più ma che sa come gira il calcio. E lo sa insegnare. Uno che ha chiaro dove e come andare. Uno che ha la capacità di dipingere capolavori affidando il pennello ai suoi discepoli. Gente, questa, disposta a tutto pur di assecondare il suo condottiero. Gente, quella portata in Francia da Conte così come quella italiana, intelligente e pragmatica; che nelle difficoltà ha sempre dimostrato di saperne cavare il meglio trovando nel gruppo il suo punto di forza credendo ciecamente in un mister che non ha paura di spezzare i dogmi del calcio moderno. Come ad esempio fa quando sceglie un gioco in verticale in una fase storica incentrata sul gioco orizzontale (ne ha rovinati più Guardiola che il petrolio). Un mister che non ha paura di scegliersi un contestatissimo esercito per affrontare la battaglia. Un visionario per certi versi perché cogliere qualcosa di buono nella maggior parte dei 23 portati in Francia è privilegio per pochi. Per quelli che capiscono che sui novanta minuti la corsa di Giaccherini e Parolo vale più di mille doppi passi di Pogba. Per quelli che apprezzano il gioco di Pellè a prescindere dal fatto che segni o meno. Per quelli che Messi è senza dubbio un fenomeno ma non è certo un leader. Come finirà con la Germania? Difficile dirlo. I tedeschi, quelli governati dalla Merkel così come quelli portati in Francia da Loew, fingono di odiarci ma in realtà ci rispettano. Perché anche nelle diversità sono più simili a noi di quanto si pensi. Anche la loro è gente intelligente e pragmatica. Che ha una storia e una cultura alle spalle da cui attingere e di cui far tesoro. Che quando arriva il momento del bisogno è pronta a serrare i ranghi e a cavare il meglio dalla situazione. Loro sono così sempre. Noi forse un po’ più alla bisogna. Ma la storia, quella calcistica almeno, spesso ci ha dato ragione. Ed è per tutto questo che si può star certi che i crucchi a Bordeaux non verranno a fare i giocolieri. Non gli passa neanche per la mente. Così come per noi, non fa parte della loro cultura. Che i giocolieri stanno bene al circo. Ma il calcio è un altro gioco.