Gigi Meroni viene spesso ricordato tra appassionati di calcio e nostalgici dei tempi andati come il simbolo della fantasia e dell’originalità, del talento genuino e incontrollato che ancora trovava spazio sui campi di serie A prima dell’avvento dei grandi capitali. In realtà Gigi Meroni è più di un ricordo piacevole che culla il nostro desiderio di imprevedibilità e di genio applicato allo sport. Gigi Meroni è forse il precursore per antonomasia della storia del calcio italiano. Ovviamente non ci riferiamo tanto all’aspetto tattico, in cui non ha lasciato un segno indelebile, quanto al suo modo di essere calciatore, di rapportarsi alle istituzioni del calcio e alla società popolare in cui viveva, ponendo per la prima volta nel calcio italiano la questione della separazione tra vita pubblica e sfera privata.
Gli anni 60′ – Gigi Meroni: curiosità e intolleranza
Come spesso accade ai precursori di ogni epoca, intorno a Gigi Meroni si affollò una molteplicità di sentimenti contrastanti: simpatia, curiosità, dissenso, intolleranza e ammirazione. Comasco di origine, passò prima al Genoa e poi al Torino, in cui si affermò con l’epiteto di “Farfalla granata” per le sgroppate sulla fascia destra in cui seminava gli avversari tra finte e scatti improvvisi. Fu però soprannominato anche “Calimero” dalla vecchia guardia del tifo granata, per quel suo essere così minuto e scuro, con barba incolta e capelli per l’epoca troppo lunghi. Ma in cosa davvero fu un precursore? Innanzitutto importò in Italia le stravaganze del beat. Imparò dalla madre sarta a disegnare i vestiti, facendosi cucire capi dai tagli vistosi ed eccentrici. I capelli cotonati la barba lunga ed altre usanze quali passeggiare in città con una gallina al guinzaglio sono solo gli aspetti più vistosi di un personaggio che nel nord Italia operoso faceva ancora scalpore. In secondo luogo anticipò clamorosamente i costumi convivendo in una mansarda torinese di Via Po con Cristiana, donna sposata con un regista romano. Fu precursore anche nella protesta e nella ribellione, perdendo la prima convocazione in Nazionale nel 1965 a causa del rifiuto di tagliarsi i capelli: “Voglio essere giudicato solo per come gioco”. E’ qui che entra in gioco la sfera privata del calciatore, che pur essendo di indole riservata, lotta per non cambiare i tratti esteriori del proprio modo di essere. Pochi anni più tardi, digerite le proteste sessantottine, sarebbe stato tutto molto più semplice. Conquistò comunque la Nazionale a furor di popolo pochi mesi dopo, partecipando alla disastrosa spedizione mondiale inglese del 1966. Al ritorno fu considerato uno dei capri espiatori della sconfitta decisiva contro la Corea del Nord, in cui tuttavia non mise piede in campo. Un’Italia ancora impreparata alla rivoluzione dei costumi trovò nelle diversità di Gigi Meroni la causa delle prestazioni scadenti della Nazionale di calcio. Nonostante le difficoltà appena elencate, la Farfalla Granata continuò con educazione e fermezza a portare avanti le proprie passioni, dalla pittura alla moda, fino al 15 ottobre 1967, giorno in cui venne investito dall’automobile guidata da Attilio Romero, che diventerà presidente del Torino nel 2000, fino alla bancarotta del 2005. Gigi Meroni riuscì ad innovare anche con la sua scomparsa: il cappellano del Torino celebrò la il funerale religioso contro il volere della Diocesi di Torino, che lo riteneva un peccatore a causa della convivenza con una donna sposata. La causa tra il Torino e l’assicurazione di Romero inoltre terminò con nota una sentenza della Corte di Cassazione che rivoluzionò l’interpretazione della responsabilità extracontrattuale.
Gli anni ’70 – Ezio Vendrame: un ponte tra proteste ed investimenti
Se negli anni Sessanta la vita privata non viene ostentata dai calciatori, il decennio successivo inizia un’inversione di rotta, dovuta a tre grandi fattori. La protesta giovanile iniziata sul finire degli anni Sessanta travolge anche il calcio. I capelli e le barbe lunghe sono ormai sdoganati, e i calciatori talvolta utilizzano la propria immagine per trasmettere messaggi politici. Il rock approda in Italia e si afferma come il nuovo genere musicale dominante. Influenzerà anche gli atteggiamenti fuori dalle righe dei calciatori più egocentrici, ormai vere star sportive. Gli sponsor iniziano ad investire con decisione nel calcio, e il fatto che i testimonial siano sempre più visibili non dispiace affatto. In Italia l’esempio più lampante delle manifestazioni forti e strabilianti è Ezio Vendrame, tecnicamente molto dotato. L’ex Vicenza non esplose mai definitivamente nel calcio per alcune sue intemperanze quali soffiarsi il naso sulla bandierina del corner, o seminare il panico in partite a suo dire combinate, presentandosi palla al piede davanti al proprio portiere, scartandolo e fintando il tiro a porta vuota. Gli anni Settanta vedono quindi la massima esposizione del messaggio politico e delle innovative forme di espressione della protesta giovanile, a discapito della vita quotidiana dei calciatori, che rimane ancora abbastanza protetta tra le mura domestiche.
Gli anni ’80 – Diego Armando Maradona: il calciatore mediatico
Negli anni Ottanta si scatena una curiosità morbosa per i calciatori e tutto ciò che ruota loro intorno. L’apertura delle frontiere del 1980 consente l’approdo nella penisola dei personaggi più disparati, da talenti mai visti a bidoni clamorosi. La diffusione dei mass media e il loro interesse per il mondo del calcio si fa sempre più pressante. I capitali investiti crescono e di conseguenza aumentano notevolmente gli stipendi dei calciatori. Il primo calciatore mediatico a livello mondiale è comunemente identificato in Diego Armando Maradona. La sua vita privata durante il periodo di attività da calciatore è sempre stata trasmessa in mondovisione. Tutti abbiamo presenti le immagini dell’operazione al ginocchio dopo l’infortunio rimediato con la maglia del Barcellona, il matrimonio in pompa magna con Claudia Vallafane, Cristina Sinagra, da cui è nato Diego Juinor (riconosciuto dal padre solo nel 2007), che si sottopone in diretta tv ai risultati della macchina della verità. L’esposizione mediatica, cercata o meno, porta i calciatori alla celebrità e rischia allo stesso tempo di distruggerli, mostrandone senza filtri i vizi e le debolezze.
Gli anni ’90 – Paul Gascoigne: la decadenza
Gli anni Novanta sono gli anni del disimpegno. I calciatori sono più ricchi che mai e spesso hanno una istruzione non adeguata a gestire l’impero economico che si trovano a disposizione. Le società e gli agenti non sembrano essere ancora preparati a seguire i calciatori a 360 gradi, e tanti cadono nei vizi più comuni: droga, alcool e prostituzione. La vita privata diventa un ambito da nascondere, da proteggere, il lato oscuro dell’idolo di massa da non mostrare allo spettatore. Di esempi ne conosciamo molti, il più lampante è forse la carriera andata in fumo di Paul Gascoigne. Il suo immenso talento e le trovate istrioniche sono sfumate in una vita trascorsa a combattere le dipendenze. I rotocalchi continuano a seguire le vicende personali dei calciatori, ma è tutto più veloce, le notizie perdono importanza nel giro di poche settimane.
Gli anni 2000 – Paolo Maldini: l’equilibrio precario
Chi investe capitali (società e sponsor) e chi vive di rendita (agenti) imparano a seguire più strettamente la vita dei calciatori, e di conseguenza a gestirne l’immagine. Si concedono foto e autografi ai tifosi, la stampa continua a seguire le vicende amorose, ma si delinea con precisione il confine tra ciò che può essere raccontato e ciò che si vuole rimanga privato. Il modello da diffondere è quello del bravo ragazzo, pulito e ordinato, che magari fa il testimonial per una marca di rasoi e nel caso di David Beckam sfonda nella moda quanto nel calcio. Un purista nella volontà di mantenere un giusto equilibrio tra sfera pubblica e sfera privata fu Paolo Maldini, che nel giorno del suo addio fu fischiato da una parte dei tifosi del Meazza, forse per non aver mai concesso troppa confidenza ai più curiosi. Un equilibrio precario destinato ad essere spazzato via dall’avvento dei social media.
Gli anni ’10 – Mauro Icardi: l’avvento dei social media
Il decennio in corso sarà sempre segnato dalla diffusione di massa dei social media. Gli agenti dei calciatori imparano presto che Twitter ed Instagram possono essere ulteriori fonti di ricchezza, è sufficiente essere molto seguiti e per farlo bisogna essere molto attivi. I calciatori iniziano a pubblicare sprazzi della loro vita quotidiana, e condividono con in fan i video dei propri cari, dei propri pasti e dei propri oggetti. La vita privata viene confezionata, l’immagine personale e privata condivisa è spesso costruita ad arte, ritagliando i momenti di vita quotidiana che si ritengono più adatti a dare la giusta impressione di sè. Nasce il social media marketing. La situazione rischia di sfuggire di mano quando a gestire gli account sono direttamente i calciatori, come nel caso di Mauro Icardi, che pochi anni or sonopubblicò alcuni dettagli di questioni personali tra Wanda Nara e Maxi Lopez scadendo nello squallore più profondo.