Correva l’anno 1992 – quando il Genoa profanò Anfield

Da gita di piacere a terra di conquista. Italiana. Per la prima volta. “Pazienza, ci faremo una bella gita nella città dei Beatles”, si vocifera fosse il pensiero più ricorrente nello spogliatoio del Genoa. Macché: nessuna gita, e quella cui ci si approcciava come un insuperabile ostacolo, premio per la campagna europea di successo come lo era fino ad allora, divenne magicamente il punto più alto mai frequentato in Coppa UEFA dal Genoa. Così grande, così in alto, davanti quella Kop che a fine partita omaggiò il Genoa regalando uno dei momenti più iconici ai 125 anni di storia del club più antico d’Italia, fondato il 7 settembre 1893 nelle sale del consolato inglese di via Palestro 10 interno 4, a Genova, ai tempi sede del consolato britannico. E così, via, con quella bandiera di San Giorgio a sormontare il Grifone, i colori rosso e blu e una ricorrente vena anglosassone pulsante: da De Grave Sells a Fawcus, al baronetto Payton, e ancora Spensley, la croce di San Giorgio issata sopra il Grifone e il cricket prima del football, nella culla del primo club italiano – peraltro – a chiamare “mister” l’allenatore.

Genoa-Liverpool 1992
Fonte foto: PianetaGenoa1893.net

L’ANTEFATTO

“Avevo quattordici anni, sognavo di giocare nel Genoa. Poi a 16 e mezzo sono andato a navigare, a guadagnare i soldi. Mi sono imbarcato nelle navi di Ravano, l’ex presidente della Sampdoria…”. In un’intervista concessa a gennaio 2020 a Primocanale, in concomitanza coi suoi 80 anni, l’imprenditore Aldo Spinelli si è raccontato dagli inizi. Vita metodica: sveglia alle 7 e di buon’ora al porto, dove dal 1963 gestisce i suoi terminal. Da due trattori e venti rimorchi acquistati coi soldi dei genitori fino a un Gruppo che nei trasporti su gomma e ferro ha saputo distinguersi per la sua efficienza. La fame di un giovane distillata in una storia d’imprenditoria ligure d’eccezione, cui è seguito il rilancio del Genoa: che sciù Aldo acquistò il 7 maggio 1985, in Serie B e nelle acque mosse di una contestazione da parte dei tifosi all’indirizzo presidenza Renzo Fossati. Da allora, dodici anni di successi (e insuccessi?), di cui la metà in Serie A, ma soprattutto quel climax ascendente che oggi appare forse irripetibile.

Le radici dell’epica di Anfield si pongono nel 1990-91: il Genoa undicesimo l’anno prima si trasforma in una squadra compatta, coesa: batte 3-0 la Roma alla seconda giornata, con doppietta di Pato Aguilera, espugna il Delle Alpi con gol di Skuhravý il 27 gennaio ’91, demolisce 3-0 l’Inter il 12 maggio dello stesso anno e due settimane dopo al Ferraris crolla anche la Juventus sotto i colpi di Branco e Skuhravý, Il verdetto fa impressione: Vecchia Signora fuori dalle Coppe, per le quali invece si qualifica il Genoa in virtù del quarto posto. Un successo griffato da 30 reti in due equamente distribuite tra lo sgusciante uruguaiano Carlos Alberto Aguilera Nova, detto Pato, “anatroccolo”, e l’ariete Tomáš Skuhravý, cresciuto nello Sparta Praga, ideale complemento in termini di fisicità per il sopracitato brevilineo sudamericano. Così nel 1991 arrivò l’esordio nelle Coppe europee, scontato in termini di entusiasmo con un crollo nel girone di ritorno di campionato in cui il Grifone finì quattordicesimo, in linea coi risultati che nel quattro anni dopo, nel 1995, avrebbero decretato la mesta retrocessione rossoblù in Serie B nell’anno dei tre tecnici: Scoglio, Marchioro e Maselli.

Così, il 19 settembre 1991, a Oviedo, nel vecchio stadio Carlos Tartiere (non esiste più: è stato demolito nel 2000), il Genoa esordisce ai trentaduesimi di finale di Coppa UEFA. Contro il Real Oviedo, pure lui all’esordio europeo, il Grifone perde di misura (1-0, gol di Bango al 44’, scaturito da un rimpallo) e il 3 ottobre successivo è già caccia alla rimonta. Il Ferraris gremito – 40.000 spettatori – assiste al gol di Skuhravý al 20’, un colpo di testa ottimamente assestato su punizione di Branco e successiva girata di Aguilera. Al 47’ però un malinteso tra il portiere Braglia e il capitano Signorini concede a Carlos il pareggio. Per il Grifone è una mazzata, cui però Caricola al 72’, con una gran conclusione da fuori area, rimedia parzialmente. Il gol in trasferta vale doppio – si sa – e l’agonia dura fino all’89’ quando, proprio quando tutto sembrava perduto, un cross di Ruotolo ha trovato l’elevazione di Skuhravý. L’ha risolta lui, quando tutto sembrava perduto. Sospinto dal vento della maccaja o più probabilmente dall’alito del pubblico, si dirà. Doppietta e passaggio del turno: “Tutti noi sentimmo il più forte boato mai udito al Ferraris”, racconterà anni dopo, lui che il Genoa se lo guadagnò nei pressi dell’astronave del San Nicola, nel pieno delle Notti Magiche di cui fu vice-capocannoniere, con 5 reti, dietro solo Totò Schillaci (6): “Avevo 25 anni e mentre ero in ritiro con la nazionale venni a sapere dell’interesse del Genoa. Trovammo l’accordo una notte a Bari, parlai col presidente Spinelli, con Landini e gli avvocati D’Angelo e Carbone. Quella scelta mi ha cambiato la vita”, spiegò a Il Secolo XIX.

Stessi punteggio e luogo di Genoa-Oviero si ripeterono venti giorni dopo, il 23 ottobre: in Genoa-Dinamo Bucarest arbitra un altro svedese (Leif Sundell, dopo Erik Fredriksson a cui era stata assegnata la partita d’andata a Oviedo persa dal Grifone di misura) e la doppietta questa volta porta la firma di Pato Aguilera, in gol al 15’ e al 59’ su rigore. Nel mezzo, il gol di Branco. Nel finale, stavolta, non un colpo di testa di Skuhravý quanto piuttosto un’autorete di Signorini. Una giornata perfetta: stadio pieno, uno striscione iconico nei Distinti (“Una fede, un mito, un amore infinito”), gli olé allo scandire le formazioni e un miliardo e mezzo di lire d’incasso.  Forte di un vantaggio del genere, a Bucarest il 6 novembre 1991 il Genoa rischiò di vincere: fino all’88’ era in vantaggio 2-1 (autorete di Matei all’8’ e altro gol di Aguilera al 53’, per i padroni di casa segnò Gerstenmayer al 68’’), poi all’89’ Cristea sancì il pari, inutile per la formazione gestita dal Ministero degli interni rumeno ma – pare – indigesto al presidente Spinelli e al tecnico Bagnoli che sentenzia indispettito: “Avremmo potuto segnare 20 reti, ora spero di incontrare il Real Madrid, così forse lotteremo da capo a coda”. Si qualificano i rossoblù, certamente con meno patemi d’animo rispetto alla gara con l’Oviedo, ma ora i liguri sono consegnati dal sorteggio beffardo, o forse fortunoso, all’altra sponda della capitale romena. Dopo la Dinamo, tocca allo Steaua Bucarest. La reazione composta del d.s. Landini (“A saperlo, saremmo rimasti a Bucarest”) accompagna di nuovo il Grifone in Romania, il 27 novembre 1991, questa volta all’Arena Nationala, espugnata grazie a un gol di Skuhravý (21’). Al ritorno, l’11 dicembre, ancora un 1-0, stavolta firmato da Aguilera al 60’. Così il Grifone si conquistò i memorabili quarti di finale, laddove mai era riuscito ad arrivare. Prima squadra italiana, assieme alla Juventus, a debuttare in una competizione continentale: era il 1929, in Coppa dell’Europa Centrale. Tornata a livello internazionale nel 1991/92, si sarebbe regalata un altro primato storico: prima squadra italiana a profanare Anfield Road.

Genoa-Liverpool 1992
Fonte foto: sito web ufficiale Genoa CFC

GENOA-LIVERPOOL 2-0

Il settore dei Distinti è coperto interamente coperto da un telone bianco, bianchissimo, diviso in quattro drappi. “We” e “Are” in rosso, “Genoa” in blu. Equilibrio perfetto, cinque lettere rosse e cinque blu. Pari e patta, ma in inglese, per dare degnamente il benvenuto – più che mai caloroso – agli ospiti. La coreografia perfetta per l’impresa si accompagna a Così parlò Zaratustra, anche se poi il kolossal sarebbe arrivato al ritorno. Uno scontro col passato, come detto, l’incrocio col paese che diede a Genova il Grifone e all’Italia il calcio, importato dal porto. È il 4 marzo 1992 e Genova apre le porte di Marassi al temutissimo Liverpool: 18 scudetti, 4 FA Cup, altrettante Coppe di Lega, 4 Coppe dei Campioni, due Coppe Uefa e una Supercoppa. Per di più l’allenatore dei Reds è Graeme Souness, che in carriera tra le altre giocò pure per la Sampdoria. I giocatori inglesi fanno paura tanto quanto gli hooligans. Sarà la notte di Valeriano Fiorin, centrocampista padovano classe ’66, che al 40’ trovò il gol dell’incredibile vantaggio. E come avrebbe ricordato lui stesso al programma tv Sfide: “Palla lunga, spizzata di Skuhravý , tacco di Aguilera e di prima intenzione, di sinistro, l’ho messa sotto il sette. Lì è stata una cosa stupenda, io poi ho iniziato a correre, non riuscivo più a capire niente. Dopo il gol c’è stato un boato allucinante. Dopo un paio di minuti, dicevo “dove sono”, “cosa è successo”, è stata una cosa che mi rimarrà per sempre”. Il clima era teso, ma l’ambiente era carico. “Non vedevi l’ora di affrontare quella partita, che poi fecero oltre al tifo una coreografia in gratinata che… non ci sono aggettivi”, raccontò commosso Gennaro Ruotolo, recordman di presenze in rossoblù (444) nonché futuro autore di una memorabile tripletta il 17 marzo 1996, a Wembley, nella finale del Torneo Anglo-Italiano vinto dal Grifone battendo 5-2 in finale il Port Vale.

Il Liverpool, nonostante le assenze, preme alla ricerca del pari ma viene ammutolito dalla traversa colpita da Skuhravý. L’insolente baldanza del Genoa, con sforzo relativo, alimenta la cieca furia inglese. Il ritmo è elevato, l’euforia è grande perché i Reds palesano tutta la loro imprecisione e il Genoa difende ordinatamente per concedersi qualche sporadico contropiede. Sugli sviluppi di uno di questi, appunto, al 90’ Ruotolo subisce fallo a circa 25 metri dalla porta di Hooper. Sul pallone si presenta lo specialista brasiliano Claudio Ibrahim Vaz Leal, detto Branco, ovvero “il bianco”. Marassi trattiene il fiato e può solo osservare quella traiettoria assurda finire nel sette. Branco aveva un modo tutto suo di calciare il pallone: “Lui diceva con le tre dita, le tres dedos – spiega Torrente – un calcio forte, la palla prendeva un effetto strano”. “Una sventola, grandissimo gol” si sente esultare Bruno Pizzul in radiocronaca. Due a zero.

Ma non soltanto traiettorie imprendibili e un certo fatalismo in quei palloni calciati da Branco con precisione da un lato apparentemente superficiale, dall’altro ugualmente meticolosa preparazione. Sarebbe diventato campione del mondo col Brasile nel ’94: quasi tre campionati in rossoblù, dal 1990 al 1993, otto reti, memorabili le punizioni – oltre a quella col Liverpool – segnate a Juventus e Sampdoria, nel derby del 25 novembre 1990 che sancì le celeberrime cartoline spedite goliardicamente per Natale dai tifosi genoani ai pari sampdoriani. Aria di derby anche sotto le Feste, con un mistero mai risolto: un conto mai estinto presso una banca genovese, con presunti milioni di lire abbandonati, o forse miliardi, che alimentano quel sottilissimo filo che separa la verità dal mito. Branco non ha dubbi: a calciare quella punizione contro la Samp “fu Dio”. E di quel gesto conserva un quadro a casa. Altro che cartolina.

Per Osvaldo Bagnoli, il Mago della Bovisa, lacrime agli occhi a sette anni dal campionato vinto con l’Hellas Verona: “C’era un grande entusiasmo su quella partita, però si temeva il ritorno, anche pur avendo vinto 2-0”. L’attesa da ingannare è di due settimane e come se non bastasse sono inframezzate dal derby della Lanterna: si gioca in casa del Genoa, i blucerchiati di Boskov intenzionati a vendicare lo sfottò delle cartoline, i rossoblù con la testa sulle rive del Mersey. Finisce 0-0 la gara, tattica e bloccata, tra due 4-4-2 più preoccupati a difendere che non a offendere, complice anche un terreno in condizioni non impeccabili. Lasciata alle spalle la stracittadina, la tensione è tangibile. In concomitanza con la seconda guerra del Golfo, è Branco a provare a placare gli animi: “Ragazzi, è una partita di calcio, mica la guerra del Golfo”.

Genoa-Liverpool 1992
Fonte foto: sito web ufficiale Genoa CFC

LIVERPOOL-GENOA 1-2

Nessuna squadra italiana ha mai vinto a Liverpool, ma il Genoa entra in campo senza timore. Sono tremila o forse quattromila i tifosi arrivati da Genova a rabbrividire dinanzi le note di You’ll Never Walk Alone, come da programma intonato a squarciagola dai padroni di casa con comprensibile fare intimidatorio. Il mantra di Bagnoli è il solito: “El tersin faccia el tersin”. Con splendida sintesi: “Noi andammo là e subimmo l’inizio di questa squadra qua”. Lo conferma Torrente: Torrente: “È stato un attacco continuo, in realtà, perché poi il migliore in campo è stato Braglia”. Già, Simone Braglia, tre stagioni al Genoa, dal 1989 al 1992. Umiltà prima di tutto: “Non so reclamizzarmi, del resto io a fine partita stacco, non passo in sala stampa, non mi offro alle sirene televisive”.  Fiorin invece era più positivo: “Sapevamo che in Inghilterra non era facile. Non dico fossimo però sicuri del passaggio, ma col 2-0 eravamo molto fiduciosi”.

La gara è combattuta come quella d’andata, ma i Reds proverbialmente lottano su ogni pallone. Ian Rush e John Barnes guidano l’assalto assieme a Steve McManaman. Ma è il 27’ quando Gennaro Ruotolo riceve palla da Onorati sulla porzione destra della trequarti campo. Il cross è per Pato Aguilera sul secondo palo, il diagonale perfetto equivale a un sospiro di sollievo a pieni polmoni. Il Grifone conclude mirabilmente il primo tempo in vantaggio, ma c’è una ripresa in cui confermarsi e i successivi 45’ si aprono col pareggio dei Reds: calcio d’angolo di Barnes, colpo di testa vincente di Ian Rush a punire una difesa fino ad allora pressoché impeccabile. “Signorini era un vero leader, credo il leader in assoluto di quella fantastica squadra. Il nostro punto di riferimento, soprattutto per noi giovani”, dirà Torrente a proposito del capitano, bandiera, con sette anni al Genoa tra 1988 e 1995, con 234 presenze e la maglia numero 6 ritirata dal club alla sua scomparsa, assieme alla dedica del centro sportivo che oggi ospita gli allenamenti del Grifone. Fatto sta: “È l’unico errore che abbiamo commesso in fase difensiva, me lo ricordo perché qualche responsabilità su quel gol…”. Poco male. Il Liverpool ansima, ma il tempo è alleato del Genoa e anzi al 72’, nella più classica delle azioni di contropiede, un taglio di Skuhravý pesca perfettamente Eranio, la cui corsa sino al limite dell’area del Liverpool trova al centro dell’area di rigore ancora Aguilera. Sigillo finale sul match, doppietta di Pato: “Mi chiamano così sin da bambino, vuol dire “papero”. In Sudamerica si usa dare soprannomi a tutti, probabilmente quando ero piccolo camminavo in modo strano…

Malgrado un’intensità forsennata, l’arbitro belga van den Wijngaert non estrasse alcun cartellino. Gli ultimi minuti sono un’ansimante corrida per la Kop, ormai ferita a morte. Bagnoli sconta ad Aguilera gli ultimi 5’ e al catino ch’era Anfield Road, denudato, non resta che esibirsi nella proverbiale sportività inglese: denotando grande fair play, partono applausi al Grifone, nella sua notte di maggior splendore. Il Genoa aveva appena profanato la tana del Liverpool. Braglia, anni dopo a PianetaGenoa1893.net, non mancherà una certa commozione: “Io sono stato il portiere di un sogno. Quella squadra aveva grandi valori, in quegli anni non avevamo paura di nessuno. Bagnoli era un uomo mite, preparava le partite sempre allo stesso modo. E quella partita non ha cambiato solo la storia del Genoa, bensì pure la mia vita. Mai come in quella occasione effettuai un così numero alto di parate. Ha lasciato in me un segno indelebile, come lo ha lasciato nei tifosi, perché tutte le volte che vengo a Genova ne parlano ancora con gli occhi luccicanti. Non ci sono parole per descrivere quelle emozioni, le sensazioni che ho provato quella sera sono uniche. La cosa che mi emoziona di più è di aver lasciato un segno nella storia gloriosa del Genoa”. E così, come nei più beffardi e articolati dei miti greci, il limite tra orgoglio sfrenato e peccaminosità di hybris è labile. Tanto labile che, nel fervore della festa, Bagnoli non esprime solo lucida soddisfazione: “Abbiamo vinto soltanto una battaglia e non la Guerra dei due mondi, come sento dire”, riporta l’Ultimo Uomo. Si lascia piuttosto andare in una dose minima di tracotanza: “In semifinale gradirei l’Ajax”. Sarà accontentato. A Genova non ci sarà storia: 2-3 per gli olandesi, nelle telecronache che presentavano il capoluogo ligure come città natale di Cristoforo Colombo.

Era del resto il 1992, dunque il cinquecentenario della Colonizzazione europea delle Americhe festeggiato dalla Expo, a tema Colombiadi, proprio tenutasi a Genova, cuore pulsante già oggetto di importanti opere urbanistiche e infrastrutturali che la prepararono al Mondiale ’90. Il futuro genoano John van ‘t Schip, oggi commissario tecnico della nazionale greca, pennellò un cross per la testa dello svedese Stefan Bengt Pettersson. Partenza shock: gol subito in casa dopo soli 40 secondi. E al 61′, su tiro di Pettersson forse terminato oltre la linea di porta arrivò il tap-in di Bryan Roy a risolvere il potenziale gol fantasma. Tra 73′ e 80′, una doppietta di Aguilera portò il Grifone al pareggio ma all’89’ la difesa genoana perse un inserimento sulla destra di Aron Winter (oggi peraltro assistente di van’t Schip in Grecia) per il definitivo 2-3. Beffardamente, come detto, al ritorno il Genoa passò in vantaggio con Maurizio Iorio al 37′. Forse a Skuhravý fu negato un rigore ma con l’inizio del secondo tempo, al 46′, il pareggio di un 22enne Dennis Bergkamp mandò in frantumi il sogno di una finale. Che sarebbe altrimenti stata tutta italiana, contro il Torino di Emiliano Mondonico e Walter Casagrande che perse dopo due pareggi (2-2 in Italia, 0-0 in Olanda).

Genoa-Liverpool 1992
Fonte foto: sito web ufficiale Genoa CFC

“Lo ricordo come fosse ieri – avrebbe raccontato Aguilera a 24 anni da quella partita – quando entrai in campo fu l’unica volta che ebbi paura di giocare una partita in venti anni di carriera. Mi tremavano le gambe e sentivo il pubblico ad un passo dal terreno di gioco tifare a squarciagola. Era una vera e propria bolgia, ma riuscimmo con una grande prestazione a battere il Liverpool. Quel Genoa fu la prima squadra italiana ad espugnare Anfield Road. Uscimmo tra gli applausi di tutti i tifosi inglesi e quando succedono queste cose, non puoi non amare il calcio”. Stesso pensiero di Mario Bortolazzi, intervistato da PianetaGenoa1893.net: “Ricordo il tifo frastornante della Kop. Nonostante il pubblico cantasse per trascinare la propria squadra alla vittoria, noi trasformammo tutta quella carica in nostro favore, anziché intimorirci. Noi giocammo a viso aperto. I Reds in casa, come tutte le altre squadre inglesi, giocavano sull’aggressività e sul calore del pubblico. La nostra bravura fu anche nell’esaltarci nella situazione avversa”. Esaltazione fiera. E poco importa che la gioia fosse stata effimera. La doppia vittoria sul Liverpool, quell’aggregato di 4-1, inorgoglisce ed emoziona. “Una pagina di Genoa – l’ha ricordata qualche tempo fa il sito ufficiale rossoblù – scritta nei cuori e nelle menti di chi c’era, di chi l’ha vista in tv e se l’è fatta raccontare”. Che prosegue: “Genova e Liverpool come avamposti di lotte operaie. Di porti vissuti sull’onda delle crisi e nei bacini delle rinascite. Di gente fiera con la passione del football. Diffidare da chi dice che le favole non esistano. Quella fu”.