Quattro gol in tre partite alla prima stagione in serie A e un’inspiegabile attitudine a trovarsi al posto giusto al momento giusto. Il 19enne ivoriano è entrato a gamba tesa sul calcio italiano, alterandone gli equilibri. Ma Franck Kessié è un predestinato o un eroe per caso?
Se è vero che “Il successo arriva quando l’opportunità incontra la preparazione” – come sosteneva l’istrionico motivational speaker Zig Ziglar – è tuttavia necessario definire in quale misura ciascuna variabile incida sulla chimica del successo stesso. E’ tutto un gioco di merito e contingenza, e il tempo è la carta che fa saltare il banco. Quanto più la preparazione sovrasta l’opportunità, comprimendola a semplice finestra temporale, tanto più l’affermazione è destinata a prolungarsi.
“Non mi sorprende quello che Franck sta facendo. Sono stupito piuttosto dal fatto che sia per tutti una sorpresa”. Per George Atangana, procuratore di professione e scopritore di talenti per vocazione, i dubbi intorno all’esplosione del suo assistito Kessié non hanno ragion d’essere. Forse perché meglio degli altri ne conosce la storia e la formazione, o probabilmente perché, ancor prima degli altri, Atangana ha avuto modo di apprezzarne il talento.
DIAMANTE GREZZO
La parabola ascendente di Franck Yannik Kessié inizia il 19 dicembre 1996, ad Ouragahio, un piccolo villaggio della porzione centro-meridionale della Costa d’Avorio. E’ l’ultimogenito di una famiglia numerosa ma tutto sommato benestante – parametrando gli standard qualitativi ad un contesto di per sé molto complesso – , composta dai genitori, tre sorelle e tre fratelli. Potrebbe seguire le orme dei suoi familiari, tutti impegnati in lavori più o meno convenzionali a pochi chilometri da casa, ma Franck non è fatto per una vita ordinaria, l’istinto brama indipendenza. All’età di sedici anni si trasferisce ad Abidjan, il centro economico e amministrativo più importante della Costa d’Avorio, dove viene accolto dalla Stella Adjamé. Nel club di quella che è la capitale de facto del paese, Franck impara a badare a se stesso, tanto in campo quanto nella vita.
Cinque sono le ore che separano Ouragahio da Abidjan, in un lento e faticoso incedere attraverso i sentieri sterrati che sezionano il cuore della foresta pluviale. Cinque sono anche le presenze di Franck al mondiale U-17 di Abu Dhabi, il proscenio che ne rivela il piglio poco ortodosso. Kessié gioca da difensore centrale, ma si fa subito notare per l’irriverenza con cui si lancia verso la porta avversaria: con la maglia de Les Éléphants segna due gol nel corso della manifestazione, e istantaneamente gli occhi di mezza Europa gli si incollano addosso. Franck, nonostante il buon mondiale disputato, non riceve nessuna offerta concreta. Resta dunque in Africa dove continua a giocare con i colori della Stella Adjamé sotto la supervisione di George Atangana, mentore ancor prima che procuratore. Il contesto calcistico in cui avviene la sua formazione ne esalta le doti atletiche, scolpendo quell’attitudine alla resistenza che rimanda più alla fermezza della psiche che alla struttura fisica. Franck corre, animato da una volontà di ferro. Sfreccia dalla difesa all’attacco, senza punti di riferimento, liberando energia pura. L’inquadramento tattico è però tutt’altro che irresistibile, e così si cuce inevitabilmente addosso la fama del diamante grezzo che necessita di essere raffinato. Se nel vecchio continente un flebile alone di scetticismo non ne legittima l’approdo, la Fédération Ivoirienne de Football non perde tempo ad investire sul ragazzo. Il 6 settembre 2014 Kessié, neanche diciottenne, fa il suo esordio in nazionale maggiore: gioca da titolare al centro della difesa nella vittoria della Costa d’Avorio sulla Sierra Leone, in un match di qualificazione per la Coppa d’Africa. I soliti scatti, questa volta al fianco delle leggende più iconiche del calcio ivoriano, suonano di fatto come un rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta: l’ammirazione per Didier Drogba è quasi un dogma, ma la venerazione per Yaya Touré trascende ogni altra cosa.
L’avventura italiana di Kessiè inizia all’alba dell’anno seguente, il 31 gennaio 2015. L’arrivo a Zingonia, con la maglia nerazzurra dell’Atalanta, è il frutto di un asfissiante lavoro di sponsorizzazione portato avanti da Atangana. I frequenti contatti con Maurizio Costanzi – responsabile del settore giovanile clivense all’epoca dei mondiali di Abu Dhabi, poi passato a Bergamo – sono la chiave di volta della trattativa: Costanzi convince il direttore tecnico Sartori a puntare sul ragazzo, e Kessié nel giro di pochi giorni passa dal caldo equatoriale di Abidjan al tagliente gelo di Bergamo. Il percorso di assestamento teoricamente insidioso, sia da un punto di vista professionale che umano, non sembra scalfirlo. La brama di indipendenza e di auto-affermazione sono le stesse che l’hanno portato a lasciare casa all’età di sedici anni. La sete di conoscenza, in termini calcistici, è probabilmente ancora maggiore. Kessié fa la spola tra Primavera e prima squadra, senza mai batter ciglio. Si allena con dedizione trattenendo avidamente i segreti di un calcio assai diverso, più cerebrale e meno impulsivo, e fa mostra di una prestanza fisica quasi surreale: il giovedì gioca due partite d’allenamento consecutive, una dietro l’altra, senza dare mai segnali di cedimento. Ma l’Atalanta di Edy Reja, invischiata nella lotta per non retrocedere, ha bisogno di certezze più che di suggestioni: Kessié chiude la prima stagione in Italia senza mai esordire. La società decide comunque di riscattarlo dalla Stella Adjamé, quanto basta per continuare ad inseguire un sogno.
TURNING POINT
Il punto di svolta della sua carriera arriva pochi mesi più tardi, nell’agosto del 2015, a una quindicina di chilometri dalla Riviera Romagnola. Kessié approda al Cesena, in prestito per una stagione, dove incontra mister Drago, uno dei massimi esperti in tema di formazione giovanile, che ne stravolge approccio e mentalità. L’intuizione più rivoluzionaria riguarda la posizione da tenere in campo: per Drago la naturale predisposizione all’inserimento è un’arma da sfruttare e non un vizio da correggere. Così Franck, dopo alcune apparizioni da difensore centrale viene dirottato nella zona nevralgica del gioco. L’esordio da centrocampista centrale avviene il 3 ottobre contro il Livorno, e fin dai primi minuti Kessié stupisce per l’istintuale capacità di progressione con il pallone tra i piedi. Diventa una pedina insostituibile nello scacchiere di Drago, tanto da chiudere la stagione con 37 presenze e 4 gol all’attivo. Il percorso di ambientamento con il calcio italiano prosegue senza intoppi anche grazie a Moussa Koné, compagno al Cesena e in nazionale, che aiuta il giovane ivoriano a comprendere la lingua e a relazionarsi con quel vasto e impercettibile mondo fatto di gesti, sguardi, emozioni. Se Drago è il maestro che ne plasma il talento sul campo, Koné è l’amico più esperto che gli insegna i trucchi del mestiere.
Il rientro a Bergamo, dopo la promozione sfiorata con il Cesena, avviene sotto una luce diversa. A Zingonia iniziano a pensare che di giocatori così ne nasca uno su un milione: le speranze e le ambizioni che si legano a Kessié stanno tutte nel rinnovo contrattuale ufficializzato nello scorso agosto, un quinquennale che blinderà l’ivoriano fino al 2021. L’inserimento nel progetto tecnico di Gasperini accelera quel minuzioso processo di sgrezzamento che fa da anticamera al definitivo salto di qualità.
Il contesto tattico che il sistema di Gasperini porta in dote, esige una costante disciplina, ed è proprio l’incessante richiamo all’ordine che rende Kessié ancora più incisivo. Quell’energia pura, erogata incessantemente per novanta minuti, sta trovando adesso una sua canalizzazione. Kessié è il prototipo del centrocampista moderno, che sa fare tutto, con ottimi risultati, mantenendo un’intensità fuori dagli schemi: è formidabile in fase offensiva pur conservando quel senso dell’anticipo messo appunto all’inizio della sua carriera, quando ancora veniva schierato da difensore centrale. Lo slittamento a centrocampo gli consente di assecondare l’istinto per gli inserimenti e la capacità di leggere le situazioni di gioco con tempismo. E’ dinamico ed esplosivo, abile ad interdire quanto ad affondare, anche palla al piede grazie ad una buona meccanica di dribbling nello stretto.
L’EQUAZIONE FINALE
Parlando con Atangana, la non straordinarietà delle gesta di Kessié definisce in maniera perentoria il rapporto tra opportunità e merito. Franck ha valorizzato al massimo la finestra temporale concessagli, mostrando, con accuratezza quasi scientifica, le mille sfaccettature di un bagaglio tecnico ancora in via di sviluppo. La componente di casualità è ridotta ai minimi termini, perché dietro ogni gol, alle spalle di ogni movimento, c’è un finissimo lavoro di preparazione. L’ordinarietà rimanda quasi ad un senso di determinismo – tanto in senso fattuale che cerebrale – e trova la sua più autentica corrispondenza nella risolutezza che da sempre alberga nella testa del ragazzo. E’ meccanicamente predisposto ad ignorare le distrazioni e a catturare qualsiasi stimolo possa servirgli per migliorare. Si tratta di una dote naturale, un po’ come l’istinto per gli inserimenti.
Le dichiarazioni di Atangana sono sicuramente smodate, perché l’impatto di Kessié sul nostro campionato non può non destare stupore. Un ragazzino di diciannove anni, primatista di reti in serie A dopo tre giornate, che interpreta il ruolo con quell’esuberanza e quell’efficienza, è fisiologicamente destinato a sorprendere. E gli si perdona anche la sfacciataggine con cui ha preteso di tirare il rigore che ha regalato la vittoria nell’ultima gara contro il Torino. Paloschi e Raimondi hanno provato a ricordargli l’esistenza di gerarchie consolidate, ma lui si è mostrato troppo risoluto e determinato per starli a sentire. E chi, come Atangana, conosce bene Franck, sa che dietro l’apparente arroganza si cela la più spontanea voglia di sfondare.
Mitigando ogni dichiarazione profetica, Kessié è semplicemente un maestro nell’arte della contingenza. Ha piegato il tempo alle sue necessità e ha abusato dell’occasione per rincorrere il suo sogno. Dall’Equatore alla Pianura Padana, gli occhi con cui guarda il mondo sono sempre gli stessi.