Il termine tiki-taka, ormai di dominio pubblico tra gli amanti del calcio, viene ufficialmente coniato in Germania durante i mondiali del 2006 dal telecronista spagnolo Andrés Montes che lo utilizza per etichettare il gioco delle Furie rosse. Seppur non in modo ufficiale tuttavia, tiki-taka era un’espressione che già accompagnava le partite del Barcellona. Quel modo di giocare fatto di possesso palla ed affondi viene plasmato e reso pressoché perfetto da un tecnico, Josep Guardiola, all’epoca appena affacciatosi alla ribalta da allenatore con l’intenzione di rivoluzionare l’intero calcio mondiale. Cosa che gli riesce anche perché le caratteristiche fisiche e tecniche di quella rosa blaugrana si sposano alla perfezione con l’dea di calcio che l’allenatore spagnolo ha deciso di imporre. Passaggi orizzontali, possesso palla che sfinisce gli avversari, tocchi di prima in spazi stretti a volte talmente stretti da irritare i più. E le verticalizzazioni poi. Mai avventate, ma ricercate solo e solamente se si presenta una di quelle occasioni irrinunciabili. Che prima o poi arriva per la stanchezza e la frustrazione degli avversari. In pochi anni a Barcellona, Guardiola con questo sistema conquista un trofeo dietro l’altro tra cui tre scudetti, due Champions League e due Coppe del mondo per club. A testimonianza dell’efficacia spaventosa del tiki-taka. Il gioco di Pep incanta il mondo e arrivano offerte su offerte. Lo spagnolo, ironia della sorte o destino che sia, sceglie quella che arriva dalla Germania e dal Bayern Monaco in particolare dove sbarca con l’imperativo di imporre la stessa linea usata in Spagna.
DISTRARSI DA UN’OSSESSIONE NON E’ STATO CERTO FACILE
Le vittorie non mancano di certo neanche in Baviera. Ma la parabola discendente del tiki-taka è evidente. Qualcosa si spezza dopo il periodo di massimo splendore. Quello tra il 2008 ed il 2012 che frutta non solo l’epopea del Barcellona ma anche quella della nazionale spagnola che in quel periodo, di punto in bianco, riempie una bacheca sin lì vuota con due coppe europee ed una coppa del Mondo. Merito di Del Bosque ammaliato anch’esso da un modulo perfetto per gli interpreti a disposizione. Merito di Guardiola, dunque, che aveva tracciato la rotta. Qualcosa si spezza dicevamo. D’improvviso la magia svanisce. Ed anche chi fino a qualche tempo prima del tiki-taka ne faceva un vanto decide di rinnegarlo. Come ad esempio il Barcellona. C’è poco da fare, Guardiola in Catalogna ha lasciato cicatrici profonde. E non sarebbe potuto essere diversamente. Ma di tempo per arrendersi all’evidenza del declino del tiki-taka ne è servito parecchio dalle parti del Camp Nou. Nonostante le prime avvisaglie risalgano all’Aprile 2013 quando la sconfitta per 4-0 contro il Bayern fa crollare le certezze di un sistema di gioco che funziona quando i piedi sono tutti buoni e soprattutto l’età degli interpreti consente di far fronte al pressing alto che tanto sembra far male a chi fa della ricerca ossessiva del palleggio il suo mantra. Il Barcellona, nonostante resti sempre competitivo, perde di lì a due anni molta fiducia vedendo inoltre i rivali del Real alzare al cielo di Lisbona una Champions conquistata in una finale con un’altra spagnola: l’Atletico Madrid. L’obbligo è dimenticare Guardiola e l’imperativo è tornate sul tetto d’Europa. Casa che avviene nel 2015 sotto la guida di Luis Enrique che disegna una squadra che pur mantenendo tratti del vecchio modulo, si mostra più fantasiosa con il tridente Suarez-Messi-Neymar lasciato libero di sprigionare la sua devastante potenzialità e spesso innescato da lanci in profondità. Qualcosa che sarebbe stato da eretici ai tempi blaugrana di Pep.
E POI TI ACCORGI CHE ANCHE PEP SI E’ STUFATO DEL TIKI-TAKA
A dirla tutta anche al Bayern ne avevano le scatole piene. E poi diciamola tutta: da quelle parti vincere il campionato è l’obiettivo minimo. L’ambizione è la coppa dalle grandi orecchie. E allora viva il pragmatismo di Carlo Ancelotti, lui si apprezzato dalle parti di Monaco. Mica come Pep. Quel Pep che nel frattempo ha fatto le valigie per l’Inghilterra. Direzione Manchester, City non United. Il calcio inglese non sembra poi così adatto al tiki-taka. Ma forse anche Guardiola si è finalmente stufato della sua creatura. Vi si è concentrato così tanto negli ultimi anni da finire per rimanerci ingabbiato anche lui come molte volte è successo agli avversari delle sue squadre. Ma Guardiola è uomo di mondo. E’ intelligente. E a farsi affibbiare un’etichetta proprio non ci sta. Ed ecco allora che in Premier ha deciso di reinventarsi. Niente estremismi sia chiaro. Il possesso palla è rimasto una priorità e il portiere è diventato Claudio Bravo, a discapito di un Hart certamente meno tecnico con i piedi. Insomma, il concetto resta sempre che meno gli avversari hanno la palla, più è difficile farsi del male. Il guardiolismo quindi non è certo tramontato. Ma sicuramente si è adattato, si è evoluto. Ha fatto delle evidenti concessioni. Perché i Citizens, autori del miglior inizio di stagione della loro storia nella massima competizione inglese, sono ora un mix veramente interessante. L’estro e la fantasia dei centrocampisti sono sempre benvenute ma le verticalizzazioni ed i lanci lunghi non mancano di certo. Kolarov soprattutto viene lasciato libero di spaziare al centro della difesa per disegnare gioco. Come un Bonucci qualunque. Quel che sembrava utopistico è diventato realtà. Sventagliate per cambiare gioco e non invece passare da una parte all’altra del campo con una rapida successione di tocchetti. Si rischia addirittura di gridare all’eresia quando si vede una rete di Ihenacho arrivare al termine di un contropiede veloce. Insomma, il cambiamento ha tutta l’aria di poter essere epocale. Non perché stravolgerà il mondo del calcio come invece bisogna riconoscere ha fatto il tiki-taka. Ma perché è indice di del fatto che Guardiola ha deciso di tornare a fare sul serio. Mettendosi in discussione. Del resto è questo che fa grandi gli uomini. Il sapersi mettere in discussione. E Pep Guardiola è un rivoluzionario di certo non banale e sempre pronto a stupire.
Ha collaborato Giorgio Catani.