Fermo immagine, Francesco Lodi

Le mani scivolano sinuosamente sull’obiettivo, avvolgono la macchina in prossimità dell’occhio buono mentre l’altro resta chiuso corrugando il volto. Il polpastrello dell’indice freme, la retina resta impassibile nell’attesa dell’attimo giusto. Click. Il respiro si ferma per un istante. L’immagine di una realtà rubata resta, indelebile, mentre tutt’intorno riprende a scorrere secondo leggi immutate nel tempo.

Su un rettangolo verde, il calcio di punizione è un esercizio di fotografia. Il timing della pressione e del rilascio sul pulsante di scatto disegna una sequenza che, idealmente, ricalca il moto di impatto sul pallone. L’istante del click coincide con quello del contatto tra piede e cuoio, un rumore sordo che apre le porte al silenzio. Mentre la traiettoria fende l’aria si annusa la stesso insanabile smarrimento di quando il nero si materializza sullo schermo, precedendo l’apparizione dell’immagine. Fotografia e calcio di punizione si assomigliano, partono dal medesimo dogma pur virando in direzioni opposte: la fotografia cattura il movimento finendo di fatto per annullarlo o, più elegantemente, evocandolo al suo interno come traccia. L’assenza di moto è invece la condizione essenziale del calcio da fermo – guarda caso – salvo poi contraddirsi in un tocco che produce l’azione . In entrambi il frame – inteso come fermo immagine – è il punto focale, ma se nell’una è visto come destinazione, nell’altro costituisce invece il principio. Il click è la svolta, o verso la vita o la sua negazione.

Il calcio di punizione è un fondamentale del gioco moderno che è stato assunto da migliaia di giocatori, impegnati a loro volta nella reinterpretazione del gesto secondo infinite sfumature. Nessuno però è stato più abile di Francesco Lodi nel trasformare quella che di fatto è una risorsa accessoria nel contributo portante di un’intera carriera. Lodi è a suo agio quando il tempo si ferma, laddove l’assenza di movimento restituisce ossigeno e favorisce il pensiero. E’ in quell’attimo che le sinapsi rielaborano la più fedele mappatura dello spazio che separa l’uomo dalla porta. L’impulso si propaga dal cervello al piede attraversando con un brivido tutto il corpo. Prosegue poi in un’unica soluzione di continuità attraverso la parabola impressa al pallone, destinato, il più delle volte, a sfregare dolcemente contro il bianco nylon della rete.

PALERMO 24/11/2012 - CAMPIONATO SERIE A 2012/2013 INCONTRO PALERMO - CATANIA - NELLA FOTO: FRANCESCO LODI SEGNA SU PUNIZIONE IL GOL DEL CATANIA FOTO MARICCHIOLO/INFOPHOTO

Frattamaggiore è il paese che gli ha dato i natali, il 23 marzo del 1984, nella periferia settentrionale della sua Napoli con la quale, a dispetto di un girovagare che l’ha portato in tutte le latitudini del Bel Paese, mantiene ancora adesso un legame simbiotico. Frattamaggiore è anche la terra che ha partorito Lorenzo Insigne – lui a differenza di Lodi consolidata bandiera della squadra della sua città – e Roberto Saviano, uno che proprio come Lodi ha trapiantato il proprio genio creativo altrove, nel caso di specie, con infinito dolore ma per evidenti necessità. Il fitto tessuto suburbano alle pendici del Vesuvio si estende in tutta la sua grandezza mantenendo saldo un principio che, per quanto incasellato in uno stereotipo, porta con sé un fondo di verità: l’arte dell’arrangiarsi sta a Napoli come l’assenza di mezze stagioni sta ad un progressivo cambiamento delle condizioni climatiche. Fenomeni ridotti a consuetudini semplici, ma pur sempre ineccepibili. Il rapporto col calcio per Lodi si sviluppa seguendo quell’istinto primordiale alla sopravvivenza, un mettere pezze e toppe laddove i limiti paiono insuperabili. Ed è’ così che un’abilità – il sapere calciare straordinariamente bene a gioco fermo – diventa non soltanto una virtù, ma una vero e proprio marchio identificativo.

La licenza di battere rigori e calci di punizione gli viene concessa fin da giovanissimo, quando tra le fila dell’ Oasis Club di Frattamaggiore e dell’US San Nicola il nome di Lodi inizia a circolare tra i taccuini di assetati talent-scout. Lorenzo D’Amato, allenatore e dirigente dell’Accademia di Castello di Cisterna – e scopritore tra gli altri di giocatori del calibro di Montella e Di Natale – è il passepartout verso la prima migrazione. All’età di undici anni Lodi si trasferisce all’Empoli, in quella che di fatto diventerà una colonia di giovani talenti partenopei: nel 2007, dodici anni più tardi l’arrivo di Lodi, dei ventiquattro ragazzi ospiti del convitto di Monteboro, dove si studia e si impara il calcio, i napoletani saranno circa la metà. ‹‹Perché la Campania è come il Brasile: è terra di talenti›› dichiarerà lo stesso D’Amato ponendo l’accento sulla funzione paidetica del calcio, all’interno di una realtà tremendamente complessa: ‹‹Tra cento ragazzi che riescono a salvarsi, il calcio ne strappa alla strada, alla malavita, all’emarginazione almeno tre. Ed è questa la nostra ”medaglia” più preziosa››. Una missione di vita a Castello di Cisterna. Il lavoro è un’altra cosa.

Gli anni in Toscana sono una lenta ma costante maturazione. Lodi gioca come trequartista ma viene spesso utilizzato sulla fascia destra dove, sfruttando la sensibilità del suo mancino, può accentrarsi e convergere verso la porta. Velocità di passo e dribbling non sono proprio le specialità della casa, il suo modo di ricoprire quel ruolo è una scrittura alternativa: Lodi tiene poco il pallone, quel tanto che basta per aprire con un tocco scenari all’apparenza invisibili, con andatura lenta, ben calibrata, in un’evidente tendenza alla quiete piuttosto che alla tempesta. Poi, quando tutto si ferma, lacera il cielo con la potenza e l’eleganza di un tuono, stessa storia dalle giovanili fino all’esordio in Serie B, datato 3 settembre 2000. Per altri quattro anni lo scenario non cambia, Lodi si allena con la prima squadra – che nel frattempo verrà promossa in Serie A – e diventa una colonna portante nel campionato Primavera tanto da essere inserito nella lista dei 100 migliori giovani calciatori stilata da Don Balón. Nella classifica redatta dalla rivista catalana nel 2001, Lodi occupa il 49° posto della graduatoria, ventinove gradini sotto Iniesta e quattordici posizioni alle spalle di Zlatan Ibrahimovic. Per dovere d’informazione, al quintultimo posto della lista figura un tale Ricardo Izecson dos Santos Leite, giovane promessa in forza al San Paolo, che negli anni a venire la toccherà decisamente piano.

La parentesi d’oro arriva nell’estate del 2003 quando l’Italia Under 19 vince gli Europei in Liechtenstein battendo in finale il Portogallo per 2-0. Lodi fa parte di quella spedizione, segna addirittura due reti, consolidandosi come una delle più invitanti promesse del calcio italiano. Tra gli altri in quella manifestazione anche Pazzini, Palladino e Aquilani: destino comune allora come adesso, una parabola discendente prossima ad esaurirsi nella passionale provincia italiana.

Nel gennaio del 2004 passa al Vicenza in Serie B, un’esperienza breve ma formativa durante la quale percepisce grande fiducia da parte dell’ambiente e in particolare di Giuseppe Iachini, l’allenatore che ritroverà a Udine in questo avvio di stagione prima dell’esonero dello scorso 2 ottobre. Ritorna ad Empoli dal prestito e vive due stagioni una l’esatto opposto dell’altra, in termini di contributi e di emozioni: durante la prima gioca tanto, 27 presenze e sei gol, e prende parte ad un’altra promozione in Serie A dei toscani; nella seconda sprofonda nell’anonimato a causa di una netta riduzione nell’impiego. Non è ancora pronto per grandi palcoscenici, fa così le valigie e si trasferisce a Frosinone, la città che di fatto, dopo Napoli, diventerà la sua seconda casa.

lodi-frosinone

La Ciociaria è una terra di mezzo. Dispiegata tra due grandi città come Roma e Napoli – serbatoi di tradizioni vicine ma profondamente differenti – ha attinto dall’una e dall’altra, finendo per ridefinirsi come un polo autonomo, dotato di una specifica identità culturale. Lodi s’inserisce alla perfezione in un mondo nuovo soltanto a metà, e ne resta assuefatto: con la maglia del Frosinone disputa due stagioni indimenticabili fatte di 81 presenze e 31 gol e dell’amore incondizionato del Matusa, sempre fremente quando l’arbitro fischia un fallo a ridosso dell’area di rigore. In entrambe le annate Lodi è il capocannoniere dei Canarini- 11 reti alla prima, addirittura 20 alla seconda – e il fulcro del gioco di una squadra che, al netto dell’avvicendamento tra Iacovoni e Cavasin in panchina, riesce comunque a non perdere la bussola salvandosi comodamente in Serie B. L’ultimo acuto in Ciociaria è una doppietta ai danni del Cesena in un funambolico 5-2 in cui Lodi respinge al mittente ogni tentativo di rimonta degli emiliani segnando due gol nell’arco di cinque minuti. Da lì l’ennesimo ritorno all’Empoli, sempre in cadetteria, in cui continuerà ad esprimersi su buoni livelli – dodici gol in totale, di cui sei su rigore – e l’occasione di consolidare un nuovo upgrade professionale, questa volta in Serie A, in una piazza con la quale invece non riuscirà mai a legare fino in fondo.

L’esperienza all’Udinese evidenzia alcune perplessità intorno alla carriera di Lodi. E’ a partire dal 2009, anno del suo trasferimento in Friuli, che quell’aurea di incondizionata fiducia prende ad affievolirsi, tipica condanna di chi non allinea i fatti alle aspettative. Si ritira in se stesso, riflette sul suo futuro: la risposta è un meditato approdo nella sua comfort zone. Ritorna dunque a Frosinone, per appena sei mesi, giusto il tempo di prendere la rincorsa e provarci ancora. La seconda occasione arriva all’ombra di un altro vulcano, non sia mai di perdersi nella nostalgia di casa. E’ alle pendici dell’Etna che Lodi diventa un maestro nell’arte del calcio piazzato.

E’ il minuto 80 di un Catania-Lecce del 13 febbraio 2011 quando Alejandro Gomez, lanciato in progressione verso la porta, viene atterrato ad un palmo dall’area avversaria. Sul punteggio di 1-2 tutta la rabbia dei rossoblù esonda mentre l’arbitro, accerchiato da ogni dove, ribadisce con fermezza la sua decisione: contatto appena fuori, non è rigore. Nel furente capannello di giocatori del Catania manca all’appello Lodi, intento a sistemare con cura il pallone nell’esatto punto in cui il contatto ha avuto luogo. La serafica quiete del singolo sembra placare ogni tumulto. Terlizzi gli si avvicina e con tono retorico gli domanda: ‹‹Ciccio, non vorrai mica calciare in porta?››. Un sorriso basta e avanza per schiarire ogni dubbio. In effetti la posizione, orientata di molto a sinistra, non sarebbe proprio delle più agevoli per calciare in porta, specie per un mancino. Gli occhi di Lodi tracciano una linea univoca, dal pallone a Rosati il quale, intuendo il pericolo, dispone con particolare dovizia gli uomini in barriera. Click. L’istantanea per quanto ridondante resta sublime: la sfera fende l’area fino ad infilarsi nell’unico spazio disponibile, la potenza è quella giusta per piegare le dita del portiere. La medesima situazione si ripresenta tre minuti più tardi, questa volta però a subire il fallo e Maxi Lopez e il punto di battuta è parecchio più invitante. Gli occhi magnetici di Lodi sono intenti ad eseguire un complesso calcolo di variabili prima dell’esecuzione, mentre le frenetiche urla di Rosati agli uomini scelti per schermare la porta, traboccano di angoscia. In un finissimo duello psicologico, il portiere del Lecce, scommettendo che il pallone transiti proprio sopra la barriera, si lancia a coprire la parte più vulnerabile della porta. L’esperienza maturata da Lodi nelle infinite attese prima di un calcio da fermo, lo rende un esperto dei mind games: di tutta risposta scaglia il pallone sul lato del portiere con la solita forza e la consueta grazia. Rosati torna sui suoi passi, in preda al pentimento, ma lo sforzo è vano: il Catania vince 3-2 e getta le basi per una comoda salvezza contro un avversario rispedito nei meandri della classifica. Una partita ribaltata grazie ad una doppietta su punizione, nel giro di tre minuti, è una credenziale sufficiente per giustificare la baraonda emotiva del Massimino.

Nei due anni e mezzo a Catania, Lodi segna dieci dei suoi diciotto gol su punizione. Alla domanda su quale sia il segreto di una tendenza tanto prolifica risponde candidamente: ‹‹Soltanto una grande passione per i piazzati fin da bambino. Curo la postura e studio la barriera e mi ispiro, ovviamente, da tifoso del Napoli, a Maradona››. Ecco, il rapporto con il suo Napoli è una ferita aperta che non riesce a rimarginare. Lo segue come il più fanatico dei tifosi, giornata dopo giornata, e quando ritorna al San Paolo da avversario una morsa gli attanaglia lo stomaco. Ogni gol realizzato alla sua squadra del cuore è un suicidio sportivo, e le mani protese al cielo in segno di scusa, sono soltanto un tenue palliativo per ridurre il dolore. E pensare che nelle infinite sliding door del mercato in più di un’occasione il suo trasferimento agli azzurri era un affare dato per certo: la prima nel lontano 2006, però poi rimase all’Empoli in una travagliata lotta per la permanenza in Serie B; l’ultima appena un anno fa, quando il suo profilo non convinse del tutto Sarri in cerca di un’alternativa a Valdifiori. Ogni sfida al San Paolo è anche l’occasione per incontrare Insigne, con il quale condivide un’adolescenza in comune tra i vicoli di Frattamaggiore: cresciuti a pochi metri di distanza, una sorta di famiglia allargata, l’uno idolo all’ombra del Vesuvio, l’altro condannato all’esilio dalle circostanze della vita.

Gli anni al Catania coincidono anche con la piena maturazione calcistica: è grazie ad un’intuizione di Simeone – subentrato a Giampaolo nel gennaio del 2011 – che Lodi viene spostato stabilmente nella porzione arretrata del centrocampo, lì dove, agendo da regista, è in grado di razionalizzare la manovra. Sono dello stesso parere anche Montella e Maran che lo confermano nello stesso ruolo anche per le due stagioni successive, di tutt’altro avviso invece Gasperini con il quale Lodi, durante l’infelice parentesi genoana del 2013, entrerà in un’irreversibile rotta di collisione. Il motivo del dissenso tra l’allenatore e il giocatore sta tutto in un’incomprensione tattica: la mediana a quattro del Grifone presuppone grande dinamismo, considerando l’intenso lavoro sulle fasce in tutta la loro longitudine richiesto da Gasperini. I due interni devono saper trattare il pallone, ma allo stesso tempo adeguarsi con rapidità alle vorticose rotazioni che lo sbilanciamento su un lato del campo comporta. Lodi, abituato ad agire in un centrocampo a tre, con due uomini disposti ai fianchi a schermarlo, si ritrova spiazzato all’interno di un sistema che tende, per sua natura, a viaggiare sovra ritmo. L’abbondanza di giocatori a disposizione del Gasp, presupposto essenziale al ricambio di forze, non lo aiuta di certo: alla prima prestazione opaca viene bocciato, dichiarato incompatibile, e messo ai margini del progetto. L’entusiasmo del Presidente Preziosi al suo arrivo – ‹‹Lodi era il mio sogno, l’ho inseguito a lungo, e alla fine sono riuscito a prenderlo››. – cede il passo alla delusione nel giro di pochi mesi:  dalle calde dichiarazioni estive al siderale distacco con cui dispone la sua cessione, il passo è follemente breve.

Genova, 30/09/2013 Genoa/Primo allenamento Gasperini Francesco Lodi

Nel gennaio del 2014 decide di smaltire i postumi del fallimento con l’ennesimo ritorno alle origini. Lodi fa nuovamente tappa a Catania, mosso dalla nostalgia e dalla voglia di riscatto, ma l’epilogo è tutt’altro che romantico: i siciliani vivono un campionato fatto di stenti, vengono risucchiati nel baratro della classifica fino ad arrendersi alla retrocessione. E’ l’inizio di un incubo, quello che di fatto porterà, appena un anno più tardi, all’estromissione del club dai principali campionati nazionali e all’arresto del presidente Pulvirenti e di parte del suo entourage per una serie di combine effettuate nella stagione 2014-2015.

Il destino di Lodi procede parallelamente a quello del suo Catania. Mentre la squadra che più di ogni è altra è riuscita a valorizzarlo cola a picco, lui si arena in una triste involuzione. La scelta di passare al Parma, durante l’anno della retrocessione degli etnei, si rivela infausta perché la società emiliana, alle prese con gravi problemi finanziari, dichiarerà il proprio fallimento il 22 giugno del 2015, appena un giorno prima dell’arresto dei principali membri della dirigenza catanese. Prova a ripartire dunque da Udine, squadra alla quale è ancora legato contrattualmente, ma dopo una stagione di discreto impiego si ritrova dietro nelle gerarchie, penalizzato dall’alternanza di quattro allenatori in appena diciotto mesi.

Probabilmente la carriera di Lodi è giunta ai titoli di coda, ci sono davvero pochi spiragli per un ulteriore exploit adesso che le trentadue primavere iniziano a farsi sentire. Il lascito silenzioso in un calcio sempre più votato alla frenesia, agli stravolgimenti repentini, al cambiamento come risorsa suprema, è un timido invito a stare fermi. Nel mondo delle immagini scorrevoli, dei video in sequenza sulle timeline dei social, Lodi rievoca nostalgicamente il valore di una fotografia.

Le mani scivolano sinuosamente verso l’erba, avvolgono il pallone in prossimità del punto in cui è avvenuto il contatto. Il piede freme, mentre il corpo resta impassibile nell’attesa dell’attimo giusto. Click. Il respiro si ferma per un istante. L’immagine di una realtà rubata resta, indelebile, mentre tutt’intorno riprende a scorrere secondo leggi immutate nel tempo.