Se l’Accademia della Crusca dopo Petaloso decidesse di coniare anche il termine Cholismo, la definizione più adatta potrebbe probabilmente essere: “Atteggiamento od approccio basato sul furore e sul pragmatismo esecutivo come mezzi per raggiunge l’obiettivo. Nel gioco del calcio, tattica strettamente difensiva”. Un sinonimo? Catenaccio. Non ce ne voglia il buon Diego Pablo Simeone al quale anzi non possiamo che inchinarci e rivolgere sentiti complimenti avendo raggiunto per la seconda volta in tre anni la finalissima di Champions League con una squadra, l’Atletico Madrid, che al cospetto di avversarie più ricche e blasonate non parte certo con i favori del pronostico. Quello che però fa sorridere è come sia fin troppo facile cambiare prospettiva e valutazioni senza prendere forse in considerazione tutte le variabili a disposizione. Se così non fosse infatti, cosa è che sancisce il confine e dunque determina una distinzione tra l’approccio tattico del Cholo Simeone e quello di colleghi come, per citare due tra i maggiori esponenti del panorama italiano, Maran o Reja? Badate bene che l’intenzione è quella di limitare le considerazioni all’impostazione tattica e non ad altre caratteristiche, vedi quelle caratteriali e motivazionali, sulle quali forse il confronto rischierebbe effettivamente di risultare impietoso. Ma torniamo alla definizione ipotetica del Cholismo che abbiamo ipotizzato in apertura. Atteggiamento od approccio basato sul furore e sul pragmatismo esecutivo come mezzi per raggiungere l’obiettivo. Ecco, è forse l’obiettivo a far da distinguo tra un termine fashion e celebrativo quale Cholismo ed uno tipicamente utilizzato con accezione negativa quale Difensivista? Perché fatti (e numeri) alla mano sembra proprio così. Le statistiche di Bayern-Atletico sono in tal senso esplicative. Possesso palla (72,4%-27,6%), tiri totali (33-7), tiri nello specchio (11-4). Forse la più significativa è quella relativa ai tiri effettuati da dentro l’area di rigore che recita un impietoso 17-2. Per carità, ciò che conta è il risultato finale e questo dice Atletico (tirando le somme ma non nei ’90 minuti). Così come, sempre soffermandoci sulle statistiche, la filosofia del Tiki-taka di Guardiola che tanti danni ha procurato a squadre mediocri non sempre paga. Il possesso palla non sempre è indice di superiorità. Spesso anzi si rivela sterile, specialmente quando praticato a ridosso della propria area di rigore. Non è questo il caso del Bayern, ma lo è sicuramente di squadre meno attrezzate che si beano della statistica e non della sostanza. Però Maran e Reja non sono tecnici che si dilettano nel cincischiare. Sono anzi l’emblema del pragmatismo. Di quella filosofia Tutti dietro, palla lunga e pedalare che ha fatto le fortune in questa stagione del Leicester di Ranieri, del Chievo di Maran, dell’Atalanta di Reja. E dell’Atletico di Simeone. Una filosofia di gioco che ha un denominatore comune, il caro vecchio catenaccio. Togliendo dalla mischia il Leicester, che se si parla di miracolo un motivo ci sarà, la differenza tra Simeone, Maran e Reja si riduce probabilmente all’obiettivo. Ma la differenza di obiettivo non la fanno forse le risorse a disposizione? La risposta è probabilmente affermativa. I trascorsi italiani del Cholo a Pisa e Catania del resto questo dimostrano. Piazzamenti probabilmente leggermente sopra la media. Ma poco più. A dirla tutta il record di punti in Serie A del Catania è firmato proprio da Maran che succedette a Simeone che a sua volta seppur con il solo girone di ritorno a disposizione migliorò il record di Mihajlovic della stagione precedente. Ma usciamo dalla Fiera dell’Est delle panchine del Catania e torniamo a noi. Perché non chiamare le cose per quello che sono? Perché Cholismo si e Catenacciaro no? Perché non si dovrebbe definire questo Atletico ad esempio Trapattoniano o Mourinhano? Giovanni è Jose sono due che in ripartenza hanno vinto tanto. Non ci sembrano dunque così dispregiativi come termini. Forse non sono fighi come Cholismo che per altro è una chiara derivazione di una filosofia di gioco che gli stessi Trapattoni, Mourinho, Maran e Reja hanno copiato da altri. Ma non cambia la sostanza. Che quello che conta alla fine è vincere. A prescindere dal fatto che l’obiettivo sia la Champions o la salvezza.