L’Espanyol non si pone limiti

Era il 9 giugno 2007, alba di una stagione combattutissima ne La Liga, la 2006/07, che in quel preciso istante vedeva il Barcellona di Rijkaard appaiato al Real Madrid di Fabio Capello, in testa con 72 punti. I Blancos erano impegnati in trasferta a La Romareda, casa di un altro Real, il Saragozza, mentre a 300 km di distanza Barcellona si concentrava nel derby cittadino al Camp Nou. Gara a sé stante, che sfugge alle logiche e ai valori in campo: l’Espanyol passò in vantaggio con Tamudo, delusione attenuata dalla notizia del gol di Diego Milito alle Merengues. La lotta per la Liga resta invariata, il Real era inconfutabilmente avanti per gli scontri diretti a favore. A pochi istanti dal 45’ Messi segnò, ma il modo con cui il pallone entrò in porta (in seguito al tocco con la mano della Pulga) fece indispettire i tifosi pericos, prima del raddoppio sempre da parte del Diez, nello stesso istante in cui a Saragozza Ruud van Nistelrooy pareggiò i conti. Il Barcellona pensava di aver spianata davanti agli occhi la strada per la Liga, addirittura Milito portò in vantaggio gli aragonesi padroni di casa, poi al 90’ il Camp Nou vide il pari di Raúl Tamudo e il quasi contemporaneo gol di van Nistelrooy. Due pareggi non mossero la classifica, Real Madrid e Barcellona si trovavano appaiate a 73 punti. Vinceranno entrambe all’ultima giornata, Rijkaard contro il Gimnnàstic, Capello col Maiorca al Bernabeu. La Liga finì a Madrid.

Per molto tempo, il cuore dell’Espanyol s’è cristallizzato indelebilmente intorno a quell’istante, preciso, in cui l’icona blanquiazul per eccellenza consegnò agli sgraditi concittadini un’infima sorpresa. Il titolo catalano svanì in un derby, per una palla lasciata correre sulla destra e il tocco sotto di Tamudo. «Tamudazo» grideranno tutti per strada da allora, quasi a evocare maligni spiriti a vegliar sulle notti blaugrana. L’Espanyol, quella che scorrettamente è idealizzata come la metà franchista di Barcellona in contrapposizione con l’ideale indipendentista del més que un club, sta tutto lì. Incapsulato in una fessura tale per cui non si tifa la squadra ma la distinzione che c’è dietro. Ci sono pur sempre le 84 stagioni ne La Liga, le quattro Copa del Rey e le due finali di Coppa UEFA. Con un pizzico di fortuna sarebbe arrivato il trofeo, se solo i rigori non avessero frantumato l’Espanyol sul più bello, nel 1988 contro il Bayer e nel 2007 contro il Siviglia. Gran squadra, quella: Iraizoz e Zabaleta, Jarque e Rufete, Riera e de la Peña, Pandiani e Tamudo.

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Fonte: pagina Facebook Espanyol

I parrocchetti del Cornellà-El Prat

Tutte le volte in cui l’Espanyol è sceso in campo questa stagione ne La Liga, eccezion fatta per la sfida contro il Real al Bernabéu, è andato a riposo in vantaggio. Il problema è semmai che i Blanquiazules hanno poi ottenuto non solo 6 vittorie, ma pure altrettanti tra pareggi (3) e sconfitte (3). Ora, i ragazzi di Rubi sono quinti in classifica a 21 punti, due lunghezze in meno del sorprendente Alavés di Abelardo, e i numeri non possono che confermare la loro crescita. Le sei vittorie finora ottenute mostrano il 100% d’efficacia tra le mura del Cornellà-El Prat: cinque successi, il sesto è la trasferta di domenica 21 ottobre all’Estadio El Alcoraz di Huesca). A completare il rendimento, tre pareggi in trasferta (1-1 col Celta Vigo, 2-2 col Rayo Vallecano, 1-1 col Valladolid) e tre sconfitte tutte fuori casa, al Mendizorroza, fortino dell’Alavés, al Bernabéu contro il Real Madrid e al Ramón Sánchez-Pizjuán di Siviglia. In tutto, 16 reti segnate e 10 subite, quarta miglior difesa di Spagna – pari merito col Getafe – e lo stesso numero di marcature firmate dall’Atlético Madrid delle bocche di fuoco Griezmann e Diego Costa.

Fondato il 28 ottobre 1900 da tre studenti d’ingegneria dell’Università di Barcellona, il Reial Club Deportiu Espanyol de Barcelona è ufficialmente una polisportiva ma oggi mantiene attiva solo la sua sezione calcistica. Da lì le prime politiche previdero il solo tesseramento di calciatori spagnoli, poi per motivi di studio fu sospesa la storia del club, infine in epoca recente oltre ai successi sono arrivati un cambio di nome e la proprietà cinese. Le allusioni alla corona sono col tempo scomparse dal logo, ma resta invece il soprannome di “Pericos” o “Periquitos, la cui origine è particolare: alcune versioni sostengono sia dovuta a un logo apparso per i 75 anni del club, raffigurante proprio un parrocchetto, altri vedono l’origine del nomignolo nello scarso numero dei membri (inizialmente furono «los cuatro gatos», poi divennero «pericos»), altri ancora fanno riferimento al fatto che intorno al vecchio Estadio de Sarriá c’erano molte palme che attiravano i parrocchetti. Col tempo, gli stessi tifosi dell’Espanyol avrebbero “adottato” i volatili comprando loro cibo.

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Fonte: Marca

La colonna dell’Espanyol: Mario Hermoso

Mario Hermoso ha 23 anni e all’età di 11 fu selezionato per entrare nell’academy del Real Madrid. Accettò, del resto era nato a Madrid, dunque completò la trafila nella Juvenil e il 27 settembre 2012 debuttò tra le fila dei Blancos in un’amichevole contro i Millionarios Bogotà a soli 17 anni. Pare giocasse sull’esterno sinistro, arrivando a muoversi da ala, prima di esser progressivamente arretrato in difesa. Dopo aver militato nel Castilla durante la stagione 2016/17, Hermoso è stato acquistato a titolo definitivo dall’Espanyol, per un affare che inizialmente non preoccupava troppo i dirigenti di Valdebebas. Quando però il difensore centrale ha cominciato a far bene, raggranellando performance convincente su performance convincente, allora qualche rimpianto è sorto ma la stampa spagnola ha scoperto che in realtà il trasferimento contemplerebbe un possibile ritorno di Hermoso a Madrid. Il discorso è che le 22 presenze dello scorso anno, e ancor più le 12 di quest’inizio di stagione, hanno confermato la crescita del difensore, convocato pure da Luis Enrique in nazionale.

Chiave di volta dell’Espanyol, in coppia con l’ex Napoli David López, oggi Hermoso dice di non voler pensare al futuro ma chiaramente il suo nome è già dato in pasto al Real: non ha saltato un solo minuto ne La Liga, segnando pure due reti, normale che al Cornellà temano un assalto merengue a gennaio.In quel caso l’Espanyol non potrebbe opporsi per via di una clausola nel contratto del calciatore, un po’ lo stesso discorso riguardante il portiere Kiko Casilla nel 2015 e Marco Asensio prestato in Catalogna nella stagione 2015/16. La strada è tracciata: «Ahora la gente mira al Espanyol». E ancora: «David López mi ha aiutato tatticamente, mi ha corretto la posizione, è un ottimo consigliere, avere persone come lui aiuta tantissimo». Così Hermoso, allenatosi a La Fábrica imparando da Sergio Ramos, ha progressivamente preso il posto da titolare con Quique Sánchez Flores. Ora potrebbe tornare a Madrid, per 7,5 milioni, somma che da azzardo s’è trasformata in una cifra decisamente contenuta (Transfermarkt lo valuta 20 milioni).

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Fonte: Sports Business Management

Il modello economico dell’Espanyol

L’altro volto noto dell’Espanyol è certamente Borja Iglesias, acquistato in estate dal Celta Vigo per 10 milioni e autore di 7 reti in questo folgorante inizio di stagione. Oltre a “El Killer” però, l’attenzione della stampa s’è pure spostata sulla grande crescita del club a distanza di un anno: quella che era una squadra sgonfiata è stata impolpata con l’esperienza del 35enne Sergio García, un totem da queste parti, e l’arrivo di Rubi ha riattivato una squadra spenta. La gestione Quique Sánchez Flores non ha convinto, solo nelle ultime giornate de La Liga – quando il posto in panchina è stato preso da David Gallego – il rendimento è tornato a crescere. In estate poi la proposta calcistica di Rubi, offensiva e propositiva, un calcio metaforicamente “allegro” in contrapposizione a quello di Quique, ha convinto la dirigenza perica a puntarci. Classe 1970, il 48enne catalano Joan Francesc Ferrer Sicilia – in arte Rubi – esordì nello staff tecnico di Tito Vilanova e cominciò a esportare la sua idea raffinandola di luogo in luogo: Girona, Valladolid, Levante (2015/16), poi Gijón e Huesca lo scorso anno, 2017/18, culminato con la prima storica promozione in Primera División. Arrivato da idolo dei tifosi, Rubi in breve tempo s’è sintonizzato sulle frequenze della squadra e i risultati l’hanno accompagnato.

Ma c’è un ulteriore dettaglio da sottolineare: nel gennaio 2016, per la prima volta in 115 anni di storia, l’Espanyol passò in mani straniere. Fu acquistato dalla Rastar Group, colosso asiatico operante nel mondo dei videogames di proprietà di Chen Tansheng, il quale s’impegnò a cancellare gli ingenti debiti del club. Cambiò il nome dell’Estadi Cornellà-El Prat, già Power8 Stadium, in RDCE Stadium sfruttandone i diritti di naming. Così, oculatamente, il 5 dicembre la tradizionale assemblea dei soci si riunirà per sentenziare una formalità non da tutti: il quarto anno consecutivo in cui il bilancio vede il più davanti. Si parla già di un utile di 6,4 milioni, con entrate aumentate a 75 milioni anche grazie all’aumentar della quota derivante dai proventi offerti dai diritti tv e soprattutto dalla gestione del marketing. Un’ulteriore motivo per cui ammirare l’Espanyol, la metà di Barcellona che oggi sogna – lecitamente – in grande.