Dall’esperienza sulla panchina del Cagliari in questa stagione a quella con la Nazionale Under 21 di qualche anni fa. Dal Mondiale negli States del ’94 alla corsa Champions che infiamma il finale di questa stagione di Serie A. E poi Totti, Cragnotti, Felipe Anderson fino ad Allegri ed alla Juventus che sogna Berlino. Tanta carne al fuoco nella lunga e piacevolissima chiacchierata con Gigi Casiraghi, raggiunto in esclusiva dalla nostra redazione.
Partiamo dalla tua esperienza recente a Cagliari. Nonostante sulla carta la rosa non sembri inferiore a quella delle altre contendenti per la salvezza, la squadra non riesce ad ingranare. Anche il ritorno di Zeman non è servito a dare la scossa. A cosa pensi sia dovuta questa situazione: “Con Gianfranco siamo stati talmente poco che è difficile fare una valutazione globale sull’annata della squadra che sicuramente ha avuto qualche problema in fase di costruzione, di mercato. A prescindere degli allenatori, è una squadra che ha e ha sempre avuto qualche problema un po’ in tutte le zone del campo, prendendo tanti gol e facendone pochi. E’ chiaro che la posizione in classifica in questo momento è difficile e non sarà facile raggiungere la salvezza”;
Un’esperienza in chiaroscuro come CT di una Nazionale Under 21 che poteva fare affidamento su giocatori di qualità. Quale il ricordo più bello e quale il rimpianto: “Per me è stata un’esperienza bellissima. Sono stati quattro anni nei quali ho avuto la fortuna di fare due campionati europei e partecipare alle Olimpiadi. Ho avuto anche la fortuna di lavorare con tanti ragazzi giovani e la soddisfazione grande di vederli crescere. E queste cose vanno oltre i risultati che possono arrivare o meno. Si lavora a bienni e la soddisfazione più bella è lasciare in questi ragazzi qualcosa che sia utile alla loro crescita personale e professionale e soprattutto dargli l’opportunità di dimostrare il loro valore, che è la cosa che forse maggiormente manca oggi”;
A proposito di Nazionale, lei ha sfiorato il Mondiale nel 1994 e poi, nel 1998, dopo aver segnato il gol decisivo per la qualificazione al torneo non è stato convocato da Cesare Maldini. Cosa si prova a veder svanire un sogno ad undici metri dal realizzarlo e perché non partecipò alla spedizione in Francia: “La maglia della Nazionale è sempre stata quella per cui ho provato più affetto. Ho un rapporto molto forte con la maglia azzurra. Disputare un Mondiale è probabilmente il coronamento della carriera di un calciatore. Il Mondiale negli USA è stato bello, in una situazione molto particolare e con una squadra molto forte. Giocavamo in condizioni climatiche pessime. Siamo arrivati per bravura ed in alcuni tratti anche grazie ad un pizzico di fortuna in finale. Averla persa ai rigori…beh, li per li ci rimani male. Ma il peggio è sempre dopo, nei mesi a seguire, quando ti rendi conto di essere andato veramente molto vicino alla vittoria. Arrivare secondi nelle competizioni sportive conta poco. Anzi, conta niente. Nessuno si ricorda del secondo, ci si ricorda delle vittorie. Lo sport è anche questo, bisogna accettare il verdetto. Sul Mondiale del ’98 invece non saprei dire perché non venni convocato. Feci il gol qualificazione a Napoli contro la Russia, è vero. Ma Maldini fece scelte diverse. In quel periodo il centravanti titolare era Vieri. Ma anche come riserva, sarei andato comunque molto volentieri. Ma insomma, ho accettato serenamente la scelta del mister”;
Il calcio italiano è sempre più in crisi con squadre che navigano a vista o sull’orlo del fallimento. Tu hai vissuto alla Lazio gli anni dell’epopea Cragnotti che però hanno portato ad inizio millennio la squadra biancoceleste vicina al crac. Cosa percepiscono realmente i giocatori di certe situazioni e che rapporto hanno con i presidenti: “Gli anni novanta erano anni completamente diversi rispetto a quelli di oggi. Non c’era la crisi economica che c’è stata a metà anni duemila. Io ho vissuto gli anni d’oro, quando il calcio italiano era il più bello del mondo. C’erano sette squadre che potevano giocarsi tranquillamente la Champions e spesso infatti le finaliste delle coppe europee erano squadre italiane. Tutti gli stranieri migliori giocavano in Italia. In quei momenti di problematiche ce ne erano poche. Sono arrivate dopo ed io non le ho vissute direttamente. Le ho vissute però successivamente, ad esempio quando ho iniziato a lavorare a Monza in un periodo in cui la società aveva dei problemi. Qunado ci sono queste situazioni ne risentono tutti perché la società è un pilastro fondamentale per una squadra di calcio. Del resto è possibile vederlo anche in squadre che problemi economici non ne hanno ma ne hanno a livello societario. Non è un caso se Milan e Juventus, che sono le squadre più serie e organizzate, negli ultimi anni hanno vinto spesso”;
Corsa Champions. A sette giornate dal termine del campionato ci sono tre squadre in lotta per due posti. Chi vede favorito e perché: “Nelle ultime tre giornate ci saranno tutti gli scontri diretti e tra questi il derby di Roma. Sono quindi convinto che quelle saranno le sfide decisive. Fino ad allora sarà difficile capire chi sarà più avvantaggiato. Con i tre punti in palio negli scontri diretti può chiaramente succedere di tutto. Tuttavia, analizzando i risultati e come giocano oggi le tre squadre, la Lazio è quella che sta meglio tolta ovviamente l’ultima partita. A parte gli infortuni, se riesce a tenere alta la condizione la Lazio è avvantaggiata. Ovvio poi che Napoli e Roma hanno comunque giocatori di qualità e se, in particolare la Roma, riusiranno a superare il periodo di appannamento, allora potranno dire la loro”;
Come si spiega la metamorfosi improvvisa di un giocatore come Felipe Anderson: “Consideriamo sempre che ai giocatori stranieri serve un periodo di ambientamento perché il campionato italiano, e lo diceva ieri anche Evra che è un giocatore che di esperienza internazionale ne ha, nonostante tutti dicano che sia il più facile è probabilmente tra i più difficili. L’aspetto tattico infatti è predominante. A un giocatore come Anderson quando arriva in Serie A è richiesta non solo la fase offensiva ma anche un lavoro per la squadra che magari non era abituato a fare. Per cui, serve tempo. E’ vero, il brasiliano quando è arrivato sembrava un giocatore nella media. Ma poi è esploso dimostrando ben altri valori. Se saprà mantenersi a certi livelli diventerà sicuramente un giocatore da grande squadra”;
Tante aspettative, ad inizio stagione, intorno a Garcia e Benitez ed invece la vera rivelazione sembra essere Stefano Pioli: “A me piace molto perché è un allenatore ed una persona equilibrata che fa giocare bene le sue squadre. Cosa che ha sempre fatto. Penso inoltre che per il carattere che ha è la persona giusta per un ambiente non facile come è quello di Roma”;
A proposito di allenatori, si aspettava nel momento in cui ha raccolto la pesante eredità lasciata da Antonio Conte questa cavalcata trionfale di Allegri: “Oltre ad essere bravo è un tecnico che fa giocare molto bene le sue squadre. Ha un’idea di calcio propositiva ed il fatto che stia facendo bene non è quindi un caso. Ma torniamo anche a quello che si diceva prima. Allegri ha alle spalle una società che lo ha appoggiato, che ha creduto in lui e che lo ha difeso quando critica e tifosi erano scettici nei suoi confronti. Ovviamente ha anche una grande squadra a disposizione. Però è stato bravo ed intelligente anche nell’apportare gradualmente i cambiamenti tattici senza stravolgere ne la squadra ne il suo credo di calcio propositivo”;
Barça, Real e Bayern. Qual è l’avversario da incontrare perché la Juve possa sognare la finale di Berlino: “Credo non lo sappiano neanche loro. E’ difficile se guardi tutte e tre le squadre fare una scelta. Il Barcellona davanti ha tre fenomeni; il Real non ne parliamo. Il Bayern, se non dovesse avere Robben e Ribery, allora forse potrebbe essere leggermente inferiore a Barça e Real ma ha comunque un allenatore fantastico. Per me è il più bravo di tutti i tempi. E Guardiola ha queste capacità di giocare un calcio fantastico indipendentemente dagli interpreti”;
In questi giorni si parla dell’eventuale rinnovo di Francesco Totti che a settembre compirà 39 anni. Lei ha dovuto abbandonare il calcio giocato a ventinove per un terribile infortunio che le ha impedito di riprendere l’attività. Cosa le manca di più dei suoi anni da giocatore? E’ veramente così difficile appendere gli scarpini al chiodo: “Io non ho smesso di giocare per mia decisione quindi forse posso avere più difficoltà a comprendere a fondo certe cose. Ma capisco che se un giocatore sta bene e crede di poter essere ancora decisivo e soprattutto pensa di potersi ancora divertire, allora fa bene a continuare. Chi ha fatto sport del resto continuerà a farlo per sempre. Anche io gioco ancora perché mi piace. Non vedo perché non lo debba fare. Poi certo, devi fare i conti con l’età e la possibilità concreta di giocare solo qualche partite. Per me sono passati tanti anni, ormai non c’è qualcosa che mi manca in particolare. Mi piace però quando alleno stare sul campo. Il contatto con l’erba. Del resto il campo è l’essenza del gioco del calcio, ciò che accomuna allenatore e giocatore. Gli aspetti mediatici e simili non mancano di certo”;
Sapresti descrivere l’emozione di giocare in uno stadio pieno: “E’difficile da esprimere. E’ un’emozione che riguarda l’adrenalina, è un fatto chimico. Ti fa provare emozioni forti che vanno incanalate in maniera positiva. A me veniva facile giocare le partite importanti con lo stadio pieno. Era importante avere l’adrenalina alta. E poi per un attaccante la grande differenza la fa palla quando entra. Per un attaccante il gol è sempre bello, sia che lo segni a San Siro che quando giochi a calcetto”;
Ti rivedremo presto su una panchina di Serie A: “Non lo so. Io ho fatto un percorso di un certo tipo, con le nazionali. E’ difficile paragonarlo a quello di un campionato ed inserirlo in una categoria. L’esperienza di quest’anno con Gianfranco, che è una persona fantastica e con il quale il rapporto va oltre l’aspetto professionale, è stata sicuramente una bella esperienza. Ma sarebbe bella ora un’esperienza all’estero”.