La vita a volte è questione di centimetri
La chiave di volta è una pietra lavorata per adempiere a funzioni strutturali, posta al vertice di un arco di una volta; chiude, con la sua forma a cuneo, la serie degli altri elementi costruttivi disposti uno a fianco dell’altro ed è quindi elemento indispensabile per scaricare il peso retto dall’arco sui pilastri laterali.
In senso figurato, la chiave di volta rappresenta l’elemento centrale o portante di qualcosa, attorno al quale ruota un sistema, una dottrina, una scuola, una serie di eventi.
Nella carriera di Djibril Cissé si individuano chiaramente tre momenti che rappresentano tre diverse chiavi di volta della storia del francese. La doppia frattura di tibia e perone della gamba sinistra; la doppia frattura a tibia e perone della gamba destra; il palo colpito al 37’ del secondo tempo di un Lazio-Roma del 16 ottobre 2011.
Djibril Cissé arriva alla Lazio nell’estate del 2011 dopo un passaggio senza particolare gloria al Sunderland ed un biennio al Panathinaikos tutto gol (55) e trofei. La squadra biancoceleste lo acquista per 5,8 milioni in una di quelle operazioni alla Lotito ovvero caratterizzate, per un motivo o per un altro, dall’alto tasso speculativo. In genere si tratta di acquisti di giovani di belle speranze da rivendere a medio termine realizzando succulente plusvalenze. Altre volte si tratta invece dell’ingaggio di ex-grandi giocatori in cerca di rilancio o campioni sul viale del tramonto che hanno però ancora qualche colpo in canna da sparare.
Quell’estate del 2011 Claudio Lotito decide di dare il meglio di sé chiudendo il mercato con un bel mix. A Roma arrivano infatti Marchetti, Konko, Stankevicius, Cana, Lulic ed Alfaro; ma soprattutto Miro Klose e Djibril Cissé accolto al suo sbarco a Fiumicino con più entusiasmo di quanto riservato invece al bomber tedesco.
La gente laziale sogna. Sogna perché campioni di un certo calibro da quelle parti cominciavano a diventare merce rara. E sogna perché all’esordio a San Siro contro il Milan il 2-2 finale porta le firme di Klose e Cissé che con un colpo di testa in torsione riporta alla mente certe prodezze di Chinaglia e Vieri.
Il fatto è che da quel momento in avanti Klose continuerà a segnare ritagliandosi il suo posto nella storia della Lazio, e Djibril Cissé no. Tanto che saluterà Roma già a gennaio stanco di giocare sull’esterno per lasciare spazio al centro dell’attacco plasmato da Reja a Kaiser Klose.
Che nel frattempo era entrato sempre più nei cuori dei tifosi biancocelesti per aver regalato alla Lazio un derby all’ultimo respiro di una gara che se nella Capitale conta sempre un po’ più che altrove, mai come in quella occasione contava per il popolo biancoceleste che nel derby da cinque incontri ormai non conosceva altro risultato se non la sconfitta. Eppure c’è stato un attimo, una frazione di secondo, che avrebbe potuto scrivere la stessa storia ma con un protagonista diverso.
È il 37’ del secondo tempo quando, sul risultato di 1-1 e la Roma in inferiorità numerica, Stefano Mauri dalla trequarti scodella verso il vertice destro dell’area di rigore per Cissé. Il francese, da posizione defilata, si coordina e lascia partire un destro al volo ad incrociare di una potenza inaudita.
In quella conclusione c’è tutto il Djibril Cissé degli esordi. Quel concentrato di potenza, tecnica e senso del gol da sempre innato. C’è tutta la voglia del francese di prendere a calci la cattiva sorte che ne ha ostacolato l’ascesa nell’olimpo del calcio e con tutte le sue forze ha provato invece a scaraventarlo per ben due volte agli inferi. C’è la voglia di riscatto; quella voglia di gridare al mondo che il leone, dopo un esilio più forzato che voluto nel calcio conta ma fino ad un certo punto, è tornato più fiero e forte di prima ed è pronto a scrivere una nuova storia di gloria e vittorie. C’è tutto questo in quella conclusione.
Ma il tiro è talmente perfetto che si stampa sulla parte interna del palo per poi schizzare verso il centro dell’area di rigore dove (indovinate un po’) Miro Klose manca per un soffio l’impatto per la ribattuta a rete.
Ancora una volta il destino ha detto no. Niente sliding doors. La combinazione scelta quella notte da Dio è che sia Klose ad ergersi eroe della patria. La storia del derby di Roma è piena zeppa di personaggi consegnati alla storia ed alla gloria eterna per una rete insperata. Limitandosi alla storia recente dei due club è sufficiente pensare ai vari Castroman, Gottardi, Protti da una parte; Yanga-Mbiwa, Julio Baptista o ancora Simplicio e Cassetti dall’altra.
Io non sono nata uccello,
sono nata grillo:
ho volato a metà,
sono stata un attimo in aria e l’attimo dopo a terra,
mezzo salto e mezzo volo.
Meglio così,
non bisogna fare l’abitudine al cielo
Giulia Carcasi
Personaggi consegnati alla memoria ed all’affetto dei tifosi solo per aver apposto una firma decisiva in una stracittadina. Insomma, esistono ancora posti dove non bisogna per forza essere un Klose od un Totti per entrare nel cuore della gente. Basterebbe molto meno. Ma ancora oggi Djibril Cissé a Roma è ricordato come un flop.
Anche perché da lì in poi il percorso professionale di Cissé è stato effettivamente solo un flop: QPR, Al Gharafa Sports Club, Krasondar, Bastia, un primo ritiro, il ritorno all’attività agonistica nella terza serie svizzera con l’Yverdon Sport FC ed ora la notizia del tesseramento da parte di un Vicenza che non ha però neanche un titolo sportivo valido per iscriversi ad un campionato professionistico.
Una parabola che Djibril Cissé ha vissuto con allegria, filosofia ed un inguaribile ottimismo. Che traspare anche dal suo ricordo di quel palo:
“La Lazio è stata un’esperienza fantastica. Tutti i derby ti danno un’adrenalina più forte e io ho avuto la fortuna di segnare in tutti, tranne che in quello romano appunto. Il palo proprio nel derby è stato il mio rimpianto più grande. Se quel tiro al volo fosse entrato, sicuramente sarebbe stato il gol più importante e bello della mia carriera”.
Non il gol che avrebbe potuto dare una nuova svolta alla sua carriera. Semplicemente, il più bello ed importante.