Qualche battuta non basterebbe per raccontarne le gesta: 615 partite (secondo di sempre dopo Totti), 63 reti. Due Coppe Italia, una Supercoppa e un Mondiale, con quella maglia di cui è il quarto per presenze nonché il centrocampista più prolifico. Di fatto fra due settimane si chiuderà l’avventura in giallorosso di Daniele De Rossi: ad annunciarlo prima un Tweet dell’account ufficiale della società, poi una conferenza stampa dello stesso giocatore. Ad accompagnarlo il Ceo Fienga, che annuncia che la società (chiamata a più riprese “Azienda”) ha deciso di non rinnovargli il contratto da calciatore, proponendone uno da dirigente. La risposta “se fossi un bravo dirigente, mi sarei rinnovato il contratto” è quantomeno emblematica. Si sente ancora giocatore, anche se non sappiamo ancora verso quali lidi potrà andare: MLS, Giappone o il tanto amato Boca Juniors? Qualche settimana e sapremo dove i romanisti potranno continuare ad emozionarsi.
Daniele De Rossi, il Mondiale 06, Mou
L’autore di questo pezzo ha un rapporto particolare con Daniele De Rossi. Avendo iniziato a vivere il calcio intorno a Germania 2006, è inevitabile lo scarto temporale fra le carriere dei due leader giallorossi Totti e De Rossi: il primo sulla soglia della trentina, il secondo ancora giovane e ingenuo, come la gomitata a McBride nella sfida contro gli Stati Uniti. Non un bel modo per presentarsi ad un neofita del genere. Il rigore alla perfezione battuto qualche settimana dopo a Barthez una liberazione: c’è sempre una seconda possibilità. Lo sguardo smarrito scuotendo il capo in un derby straperso, l’esultanza post Lione. Il rigore battuto contro l’Inter sotto il settore ospiti, quelli sbagliati contro il Manchester United e la Spagna ad Euro 2008. Il bacio alla maglia durante la celeberrima sfida contro l’Inter di Mourinho che riaprì il campionato, l’espulsione in un altro derby straperso con Zeman in panchina. A difesa di Dzeko urlando “Pezzi di qualcosa” ai tifosi in Tribuna Tevere, grintoso e raggiante nelle vittorie, come quella contro il Barcellona. Una vita di fotogrammi che si susseguono nelle menti dei tifosi da ieri mattina. Ultima l’esultanza a Marassi con un francesismo, quasi una liberazione: probabilmente il miglior modo di dimostrare di tifare la Roma, come un “Simpatico” adesivo che viene venduto in quelle bancarelle sulla via dell’Olimpico.
Daniele De Rossi, Totti, il romanismo
Nel giro di due anni la Roma saluta sia Totti che De Rossi: amici dentro e fuori dal campo, uniti nelle diversità: entrambi hanno saputo rapportare al mondo con i loro modi di essere ciò che spesso e volentieri è il romanista. Totti magari in maniera più genuina e capace di unire tutti, Daniele De Rossi attraverso un modus operandi più intellettuale e di difficile comprensione per alcuni. Senza rancore, ma nel corso degli anni le critiche a Daniele De Rossi spesso e volentieri si sono sprecate: “Capitan Ceres”, “Lo sgaro”, amico di persone poco raccomandabili e così via. Come i grandi artisti mai interamente compreso. Capitano forse più di Francesco, più leader tecnico e capace di tenere uniti sempre tutti fino al suo addio, quando il coro si è diviso fra Tottiani, Spallettiani e via discorrendo. Da un lato un capitano che si è meritato di essere tale attraverso le sue prodezze in campo e il suo modo di approcciarsi, dall’altro un uomo in grado di trasmettere i propri sentimenti. Nessun dualismo da parte del sottoscritto, ci mancherebbe: entrambi a modo loro hanno contribuito a esportare Roma, la Roma e i romanisti.
Daniele De Rossi, Pellegrini e capitan Florenzi
Senza peli sulla lingua, fino alla fine: una conferenza piena di frasi da poter estrapolare e ricostruire, quasi a ricomporre un puzzle: sullo sfondo un modus operandi societario che poco si sposa col sentimenti dei tifosi e de giocatori stessi. Certamente gli addii a catena di Di Francesco, Monchi e metà staff sono emblematici, ma un certo senso di smarrimento viene quando De Rossi dice che è venuto soltanto dal giorno precedente a sapere della decisione della società, senza che nessuno gli abbia detto nulla precedentemente, nonostante se lo aspettasse. Defezioni che lo stesso Daniele De Rossi si augura migliorino, ricordando inoltre che a detta sua il futuro della Roma è in ottime mani: quelle di Florenzi e Pellegrini, romani e romanisti come lui. Qualche bordata finale a Pallotta e a Baldini: i più maligni diranno che c’è lo zampino di quest’ultimo, ma De Rossi da persona intelligente non getta la benzina sul fuoco. Ci sarà tempo e modo per parlarne.
Daniele De Rossi, le bandiere, gli stadi di proprietà
La giornata di ieri traccia un solco inesorabile nella storia della Roma: non tanto per l’ennesima rivoluzione in atto, quanto per la scelta di tagliare i ponti col passato come tante altre società europee di alto livello: basti pensare al benservito della Juventus a Buffon e Del Piero, a quello del Liverpool a Gerrard, a quello del Chelsea a Lampard, a quello del Barcellona a Iniesta e Xavi, a quello del Real Madrid a Raul e Casillas. Mai schiavi degli idoli e dei tifosi, sempre dei progetti tecnici. Il modo più duro e puro per mostrare che una società di calcio è anzitutto una società intesa come azienda, come saranno probabilmente un po’ tutto nel calcio del futuro: progetti sportivi economicamente autosostenibili, fatturati sempre più alti, stadi di proprietà e rose costruite in maniera capillare con giocatori che hanno vita più breve all’interno dei club e maggiore potere contrattuale, attraverso il lavoro dei propri agenti. Tutto un mondo a cui la Roma si stava pian piano approcciando e che ora subisce una brusca accelerata: condivisibile o meno, una mossa quantomeno azzardata per le tempistiche: al di là dell’essere a metà maggio senza ancora sapere chi sarà ufficialmente il prossimo direttore sportivo nonché l’allenatore, l’esperienza e il modo di essere di Daniele De Rossi sarebbero state forse la cosa più utile per un progetto che si deve riazzerare per l’ennesima volta. Qualora questo piano dovesse nuovamente fallire, sarebbe troppo tardi per tornare indietro e vedrebbe un ulteriore distacco da parte dei tifosi, e al tempo stesso clienti dell’azienda, romanisti. L’anima in una squadra che ha vinto poco e in una città così viscerale come Roma è tutto: se togli l’anima alla Roma, togli probabilmente l’unica cosa per cui essa è conosciuta nel mondo. E qualora essa non sia sostituita dal progresso e dalla vittoria, che i romanisti hanno sempre sognato ma poco ottenuto, è probabile che la Roma sia sempre più sola, schiava del suo nuovo modus vivendi.
Mentre in altre parti d’Italia le medie spettatori sono stabili e crescono, la Roma ha perso circa diecimila spettatori di media negli ultimi vent’anni. Dopo anni di piazzamenti europei, ancora una bacheca vuota durante l’era americana e in generale da 11 anni. Un lavoro non indifferente da fare per i dirigenti che verranno, a caccia per far recuperare consenso e credibilità alla società-azienda: Sarà una caldissima estate romana per la Roma, probabilmente quella decisiva per la società e per i tifosi per capire realmente chi sarà la Roma e chi saranno i romanisti, oltre a dove sarà Daniele De Rossi. Un solco ormai tracciato accanto a cui la Roma deve realisticamente costruire senza più voltarsi le spalle. Stavolta peseguendolo fino alla fine e senza cambiare alle prime difficoltà.