Settembre 2001. Martedì 11 settembre 2001 per la precisione. Siamo nel pieno degli anni d’oro del calcio capitolino. Quelli in cui Lazio e Roma si contendono scudetti e dicono la loro in Europa. La Lazio è reduce da un triennio magico dove oltre allo scudetto ha trovato gloria anche oltre i confini nazionali mettendo in bacheca una Coppa delle Coppe ed una Supercoppa Europea contro il Manchester United degli invincibili. La Roma ha appena scucito dal petto dei cugini lo scudetto e per la prima volta dopo 17 anni dall’amara finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori con il Liverpool si prepara a tornare sulla ribalta europea più ambita, quella della Champions League. E lo farà all’Olimpico (la Lazio gioca a Istanbul con il Galatasaray) dove ospite del gran galà sarà niente di meno che il Real Madrid. Non un Real Madrid qualunque ma quello dei Galacticos. Quello di Figo, Roberto Carlos, delle icone Hierro e Raul e dello squalificato Zidane. Anche quella Roma non è una Roma qualunque. E’ infatti la Roma di Batistuta, di Samuel, di Emerson di un giovane Cassano e soprattutto di Totti e Montella al loro esordio assoluto nella competizione. E’ un match tra prime donne, di quelli che tengono incollati davanti allo schermo miliardi di persone. Uno di quegli eventi ai quali nessuno vorrebbe mancare. Una di quelle partite che macina record al botteghino polverizzando i biglietti nel giro di poche ore. L’attesa in città è grande e per i ritardatari dell’ultima ora c’è la possibilità di acquistare tra le 10 e le 13 di quella mattina, quella dell’11 settembre 2001, ancora seimila biglietti di Distinti Nord rimandati indietro da Madrid. Il prezzo è di 43 mila lire. No, non abbiamo scritto male. Quello era ancora un mondo che ragionava in lire e dove c’era la libertà di svegliarsi la mattina e decidere, senza tessere o provvedimenti di restrizione, se mettersi in fila al botteghino fuori dallo stadio per andare a vedere una partita di pallone. Per la cronaca, i seimila biglietti vennero venduti in mezzora.
Poi, nelle primissime ore del pomeriggio italiano, le primissime ore della mattina a New York, la tragedia. Non una tragedia qualunque ma una di quelle tragedie destinate a cambiare il mondo. Di quelle che tengono incollati davanti allo schermo miliardi di persone, molte più di quante riesca a tenerne incollate una partita di pallone. Di quelle che macinano morti polverizzando vite nel giro di poche ore. Di quelle che nulla sarà più come prima. Di quelle tragedie che dovrebbero far passare tutto in secondo piano. Ma non per la UEFA. Perché per la UEFA quella giornata di Champions League si deve comunque giocare. A Nyon ritengono che i diritti TV valgano più di una pagina di storia mondiale che si sta scrivendo proprio in quelle ore. O forse ritengono sia semplicemente un modo brillante per lasciare un segno indelebile in un quello che sarà un giorno indelebile nella memoria del globo. Lutto al braccio e un minuto di silenzio. Poi si gioca. Più che un segno indelebile. Quello che lascerà la UEFA sarà un vergognoso sfregio alla sensibilità di tutti. Per la cronaca, nelle stanze del potere rinsaviranno solo 24 ore più tardi rinviando le partite del mercoledì.
Ecco come Montella, in un’intervista a La Repubblica di qualche anno fa, ricorda quel Roma-Real Madrid dell’11 settembre 2001: “Eravamo basiti, incollati allo schermo, come tutti. Le immagini parlavano da sole, sconvolgenti, abbiamo ancora davanti agli occhi il terribile schianto dei due aerei sulle Torri Gemelle. Furono momenti di sgomento, ma noi dovevamo anche pensare che di lì a poco ci saremmo trovati di fronte il Real. E invece arrivammo allo stadio discutendo solo delle notizie che provenivano da New York. La testa era altrove per quanto stava succedendo, non c’era la necessaria serenità, la concentrazione che ci vuole per disputare un incontro così importante. Ci guardavamo in faccia soltanto in attesa di avere qualche novità. Finché, all’ultimissimo istante, non ci comunicarono che si sarebbe giocato. Sono decisioni che puoi o meno condividere, ma se sei un professionista, per forza di cose, devi rispettarle. L’approccio alla gara fu inevitabilmente diverso rispetto a una vigilia “normale”. Ma, come si dice, eravamo in 22 a correre: evidentemente loro furono più bravi a non lasciarsi suggestionare dalle circostanze. A posteriori è facile rintracciare una soluzione, ma erano tanti i fattori da prendere in considerazione, a cominciare dal rispetto dell’ordine pubblico: lo stadio era stracolmo, c’erano 70 mila spettatori che fremevano dalla voglia di tornare a respirare il grande calcio. Certo, con il senno di poi sarebbe stato più giusto rimandarla: non si comprese la gravità della situazione”.
Gravità che aveva invece compreso benissimo l’allora presidente della Roma, Franco Sensi: “Ciò che è successo in America è troppo grave, era dai tempi della guerra che non vivevamo un dramma del genere. Come hanno potuto far finta di niente?”. Una domanda che ancora oggi non ha ricevuto risposta.