Domenica 21 gennaio 2017, Juventus Stadium di Torino. La Lazio è tramortita sotto i colpi della Juventus ed incapace di reagire. Al minuto 60′ dell’incontro il mister dei biancolcesti, Simone Inzaghi, richiama in panchina Lucas Biglia, capitano e regista della squadra, per gettare nella mischia Djordjevic. Per l’argentino si tratta della sesta sostituzione nelle ultime nove uscite stagionali. È però questa appena la seconda volta che il capitano lascia il campo per scelta tecnica così presto. In tre anni nella capitale c’è un solo precedente e risale al 16 febbraio 2014 quando il tecnico dell’epoca, Reja, decise di ripresentarsi in campo dopo l’intervallo senza Biglia. Cosa vuol dire questo? Che forse siamo davanti ad una bocciatura. Lucas Biglia non è più un giocatore indispensabile per la Lazio. Come spesso capita quando una squadra fallisce una partita, ancor più se si tratta di un big match, i primi a finire sul banco degli imputati sono i cosiddetti Top Player, quelli cioè che è lecito aspettarsi facciano la differenza in campo. Ed il pubblico della Lazio si aspetta sempre tanto dai vari De Vrij, Immobile, Felipe Anderson e Biglia. Ecco, ma Lucas Biglia può veramente considerarsi un Top Player?
Lucas Biglia sbarca nella capitale il 23 luglio 2013 quando la Lazio lo strappa ai belgi dell’Anderlecht sborsando circa 8,5 milioni di euro. Un lungo percorso quello che porta il giocatore a Roma. Si forma nelle giovanili dell’Argentinos Juniors, lì dove è cresciuto un certo Diego Armando Maradona. Ma lì dove si è formato anche El Principe Fernando Redondo, idolo e dunque preso a modello da un Lucas Biglia che fa dell’ex Real Madrid una vera ossessione tanto da meritarsi l’appellativo di El Principito. Un soprannome che si addice alla perfezione ad un uomo, ancor prima che giocatore, che si contraddistingue per essere pacato e curato. Sempre con l’Argentinos Juniors fa il suo esordio nel calcio dei grandi il 1° luglio 2004 in occasione dello spareggio salvezza contro il Talleres Cordoba. L’Argentinos Juniors si salverà ma Lucas Biglia la stagione successiva troverà poco spazio decidendo infine di accasarsi all’Independiente di Avellaneda. Scelta saggia perché qui giocherà con continuità e dopo 49 presenze in Primera División e una medaglia d’oro ai Mondiali Under20 con la Nazionale albiceleste insieme a Lavezzi e Messi arriverà anche la chiamata dall’Europa.
Non proprio l’Europa che conta a volerla dire tutta. Ma il Belgio. Si tratta pur sempre di un inizio e la squadra è comunque l’Anderlecht. Lucas Biglia impiega appena un anno per conquistare la critica. Alla fine della prima stagione vince infatti il premio come miglior giovane del campionato. L’inizio di un amore che durerà sette anni con quattro campionati, una coppa e quattro supercoppe del Belgio in bacheca in 287 presenze impreziosite da 16 gol e 49 assist. Poi accade l’imponderabile. Nel 2013, durante le vacanze invernali in Argentina il giocatore viene assalito da una crisi depressiva causata dalla scomparsa del padre. Avvenuta ad onor di cronaca cinque anni prima. Biglia decide di restare in Argentina e per un po’ decide anche di non dedicarsi al calcio. L’Anderlecht non la prende benissimo e spedisce a Mercedes, luogo di nascita del giocatore, il proprio medico. Lo strappo si consuma, la frattura diventa insanabile e Claudio Lotito, che già da qualche mese gravitava intorno all’argentino, non si lascia scappare l’occasione. L’estate del 2013, come detto, Lucas Biglia è ufficialmente un giocatore della Lazio.
Sulla panchina dei biancocelesti siede Vladimir Petkovic confermato dopo la storica vittoria nella finale-derby di Coppa Italia contro la Roma. È quella una Lazio che si convince di poter reggere il 4-2-3-1 ed il ruolo di Biglia, almeno sulla carta, è quello di impreziosire la manovra dando manforte a Cristian Ledesma in cabina di regia. Un progetto tattico che naufraga sin da subito con il pesante 4-0 incassato dalla Juventus nella finale di Supercoppa Italiana. Quella che Petkovic schiera in campo quel giorno è una squadra completamente sbilanciata e sgangherata con Biglia e Ledesma in mediana ed Hernanes, Lulic e Candreva a supporto di Klose. L’esperimento è talmente fallimentare che da lì a poco si cambia registro. Lo schieramento tattico diventa un complicato 4-1-4-1 dove davanti alla difesa o gioca Biglia o gioca Ledesma. Questo accade con Petkovic prima ed accade poi anche con Reja che, subentrato al tecnico bosniaco durante la sosta di Natale e dopo un girone di andata catastrofico, ridisegna lo schieramento affidando le chiavi della squadra a Ledesma e preferendo impiegare l’ex Anderlecht eventualmente come mezzala. Il perché è piuttosto semplice.
Lucas Biglia è un giocatore che gioca facile, che non azzarda mai la profondità. Un giocatore che spesso e volentieri si fa apprezzare più per la corsa e l’interdizione che per la capacità di impostazione. Anzi, Biglia è uno che spesso e volentieri si nasconde piuttosto che proporsi per giocare la palla. E quando la palla ce l’ha tra i piedi è uno che preferisce giocarla semplice. Non a caso la sua media di passaggi riusciti è prossima al 90%. È un giocatore dotato di grande tecnica ma è un timido quando c’è da giocare palla al piede. Molto meno quando c’è da menare. Uno di quelli che non sembra spiccare per personalità ma che sembra dedito al lavoro sporco. Anacronistico per uno che fa il regista ed il capitano di una squadra.
Anacronistico anche, se non soprattutto, per uno che è un punto fermo dell’Argentina. L’apice della carriera di Lucas Biglia sinora, probabilmente il suo periodo migliore dal punto di vista prettamente agonistico, è stato senza dubbio rappresentato dal Mondiale 2014 in Brasile. Una convocazione sulla quale in pochi avrebbero scommesso stante il rendimento nella sua prima stagione alla Lazio che aveva portato i più a mettere in discussione la bontà dell’investimento fatto da Claudio Lotito. Invece Sabella stravede per lui e lo piazza senza riserve affianco a Mascherano. Bassi, davanti alla difesa. Lì dove in sostanza si erano infranti i sogni di Petkovic ed a volte quelli di Reja. È forse la vicinanza con il giocatore del Barcellona ad esaltare le doti di Biglia. Nessuna pressione, nessuna necessità di dimostrarsi leader. Giocate semplici. Efficacia. Stavolta non sterile. Lucas Biglia titolare inamovibile. Finalista mondiale ad un passo dal titolo.
Archiviato il mondiale brasiliano, al momento del ritorno a Roma c’è grande curiosità per capire se El Principito è finalmente sbocciato. Sulla panchina della Lazio siede Stefano Pioli che non ha dubbi. Ledesma accantonato e le chiavi della squadra a Biglia. Regista basso come lo voleva Petkovic. O al massimo uno dei due davanti la difesa. La Lazio può contare infatti anche su Marco Parolo, uno abituato nella sua vita sul campo da gioco a fare il pendolo ed il tuttofare. Quindi anche ad impostare. L’argentino gioca con continuità e la Lazio fila che è una meraviglia. Una macchina oleata dove tutti sono in movimento e giocare a calcio sembra estremamente facile. Fumo negli occhi che fa passare in secondo piano il fatto che per centrare la qualificazione in Champions nella notte di Napoli sarà di vitale importanza aver deciso infine di affidarsi alle verticalizzazioni di Ledesma. Tutto diventa più chiaro la stagione successiva quando Ledesma saluta, il tocco magico di Stefano Pioli svanisce e la Lazio è incapace di produrre gioco. Trama non poi così diversa da quella di questa stagione dove la squadra di Inzaghi fa la voce grossa con le piccole e svanisce invece al cospetto delle grandi. Colpa anche della regia effimera e scolastica del suo condottiero.
C’era un tempo, in modo particolare dopo il credito maturato con il Mondiale in Brasile, in cui Biglia godeva dello status di giocatore indispensabile quando per squalifica od infortunio era costretto a marcar visita. Oggi invece dopo i big match passati a giocare a nascondino e verticalizzazioni stagionali che si contano sulle dita di una mano, c’è chi si chiede se sia o meno il caso che la Lazio proponga il rinnovo al giocatore. Non ha invece alcun dubbio Alejandro Sabella che continua a considerare Lucas Biglia perno imprescindibile della sua Argentina. Un contrasto così evidente che non aiuta a sciogliere ed anzi rende forse ancor più ingarbugliato l’amletico quesito: Top Player o non Top Player? Questo caro Lucas Biglia è il dilemma.