Fabio Borini, cercasi. Al fischio finale di Milan-Brescia, mano al calendario e pensiero rimandato indietro di oltre 3 mesi, precisamente al 31 agosto 2019 quando – mestamente – l’attaccante rossonero fece l’ultima sua apparizione – non memorabile – in campo dopo essere subentrato a Samu Castillejo. Ottantesimo minuto a San Siro, dritto fino al 95’: poi niente. O meglio, spogliatoio. In panchina c’era Marco Giampaolo e, proprio perché oggi l’ex mister della Sampdoria è andato altrove, è lecito chiederselo per davvero. Ma che fine ha fatto Fabio Borini?
Perché non viene convocato?
Okay che Giampaolo sia stato esonerato, ma che ne ha potuto l’ex Sunderland? O meglio, perché da allora non ha più visto un centimetro di campo? E ancora, che gusto c’è a veder la sua tipica esultanza – peraltro battagliera, quella con la mano traversale alla bocca simulando un coltello affilato – restarsene imbavagliata in panchina? C’è qualcuno forse a cui piace? E ancora, perché neppure far sedere Fabio Borini in panchina in occasione delle gare contro la Juventus, all’Allianz Stadium, e quella a San Siro col Napoli?
Ad aumentare l’incomprensibilità di certe scelte, ecco il minutaggio: nelle due stagioni precedenti, la 2017-18 e 2018-19, Borini non è chiaramente stato un titolare. Né Montella, né Gattuso erano intenzionati a schierarlo dal 1′, eppure l’ex Roma ha racimolato comunque 49 presenze mostrando duttilità persino quando curiosamente impiegato in un ruolo non suo (quello di terzino). Ordunque, non è la duttilità un premio? Evidentemente no, e diremo di più: grande carattere, dedizione alla causa e spirito di servizio contano poco. La funzionalità di Borini al Milan è evidente, ma come giustificare allora il momento triste che sta vivendo?
Ma chi è veramente Borini?
Fabio Borini è un italiano, classe 1991, nato a Bentivoglio (BO) e svezzato dalle giovanili della zona prima del grande salto al Chelsea. Non lettere di raccomandazione, ma semplicemente l’occhio attento di Carlo Ancelotti, alla base di un trasferimento sensazionale vista l’età del ragazzo. Di lì in poi una direttrice anglosassone, una carriera tra Blues, Swansea, Liverpool e Sunderland con due ritorni estemporanei in Italia, a Parma e Roma dove ancora affettuosamente gli ricordano una stagione da 26 presenze e 10 reti (correva l’anno 2011-12).
Detto di un’avventura al Sunderland conclusa con un lento decrescere, ma pur sempre 17 reti in 93 presenze, Borini non merita un trattamento simile. Finì al Milan e fu preso di mira per l’esservi arrivato nell’estate 2017 per soli 500mila euro, in una sessione in cui le spese rossonere erano state convogliate in Bonucci (42 milioni), André Silva (38), Conti (24), Calhanoglu (23), Biglia (20), Musacchio (18) e Ricardo Rodriguez (15). Persino prelevare dall’Asteras Tripolis il portiere Antonio Donnarumma era costato di più (980mila euro). Orrore.
Ecco allora che la definizione s’ingrandisce: Fabio Borini si disimpegnò in difese a 3 come a 5, da attaccante come centrocampista, denotando la sua connotazione di grande jolly. Proprio il suo camaleontismo finì per attrarre Antonio Conte, che lo escluse sì dai 23 convocati per Euro 2016, ma comunque premiò le sue caratteristiche tecniche, a differenza di Stefano Pioli che – al pari del predecessore Giampaolo – non pare considerare Borini.
Ma quindi perché non gioca?
Ecco, diciamo che la polveriera alzata a Milanello non aiuta. L’ambiente delicato, le noie offensive di Krzysztof Piatek e magari gli strascichi della cessione estiva di Cutrone hanno lasciato scorie. In questo contesto emergenziale non si testano nuove soluzioni, corretto, dunque Borini non è emerso giocoforza dal dimenticatoio in cui era finito. Ma non si cancella il punto essenziale: perché proprio Borini è finito nel dimenticatoio? Perché Yonghong Li l’ha acquistato e ora lo mantiene in naftalina come un capo passato di moda?
Il carisma di Borini è notevole, ma senza risultare ripetitivi, si potrebbe asserire che il 4-3-3 con le corsie già gerarchicamente occupate sia stato un forte ostacolo per Fabio. Davide Calabria e Andrea Conti sulla destra, Theo Hernandez è emerso dal torpore madrileno diventando un punto fermo del Milan (di cui è capocannoniere, peraltro) e facendo sprofondare in panchina Ricardo Rodriguez che appena due estati fa era bollato come un grande acquisto. E invece adesso lo svizzero e lì, triste, a condividere più o meno la sorte di Borini.
Ah, come volano i giudizi nel calcio. Ma pure nella linea mediana lo spazio per Borini s’è assottigliato: Paquetà e Kessié hanno tamponato all’assenza di Bonaventura che peraltro è rientrato con un impeto esemplare in un reparto in cui l’estate ha portato con sé Bennacer e Krunic. Beh, ci sarebbe pure Lucas Biglia col suo andirivieni nauseabondo dentro e fuori l’infermeria. Che dire invece delle ali, laddove – oltre a Bonaventura, nel caso – pure Hakan Calhanoglu e Castillejo. Insomma: nel mentre si prova a spiegarsi l’assenza su Fabio Borini, altri Borini crescano. Leggasi Rebic e Leao.