Le prossime dieci giornate di serie A decideranno le sorti di molti club ancora in bilico tra il successo e l’amarezza in una stagione in cui ha spadroneggiato la tattica, la quale a sua volta ha esaltato in maniera schiacciante i protagonisti di ogni squadra, idolatrati dalla folla esultante alla stregua di rockstar proprio nel luogo di congiunzione tra il calcio e la musica popolare (gli stadi) e soprattutto grazie agli strumenti che hanno reso i musicisti degli anni ’60 vere e proprie icone mondiali (i famigerati mezzi di comunicazione di massa). Ovviamente stiamo parlando dei goleador, che in una reinterpretazione postmoderna della Carmen di Bizet ricoprirebbero il ruolo del torero, e che oggi stravolgono le emozioni dei tifosi e le casse delle società calcistiche. In questa particolare edizione della serie A svettano nella classifica marcatori i centravanti classici: pesanti, possenti e dotati di un fiuto del gol che certifica la loro appartenenza alla razza pura del bomber, ognuno con le proprie manie, tutti con il medesimo obiettivo: bucare lo schermo. Inseriamoci allora nel solo invitante aperto dal parallelo tra calcio e musica, tra i nostri numeri 9 e le rockstar che hanno fatto la storia.
Il lavoro, l’umiltà, il sacrificio. Quando c’è da attraversare l’Italia a piedi si montano picconi, martelli, colapasta e li si legano insieme, ce li si tira dietro con la forza della speranza fino a farli diventare leggeri lungo la strada, iniziare a correre, poi scappare da tutti e da tutto, lasciando inciampare gli avversari tra colapasta e picconi, correre ancora più veloce e ritrovarsi in un prato verde con la palla tra i piedi, la porta vuota e uno stadio che urla il tuo nome. Ciro Immobile è un marchio di fabbrica italiano di difficile esportazione, ama la sua terra e le sue radici, ma ha carattere e qualità ed emerge intorno a coloro che lo sanno apprezzare. Troppo genuino per avere il sangue freddo che lo trasformerebbe in un campione, implacabile quando meno te lo aspetti, è il simbolo della Lazio che sogna con i piedi per terra, con consapevolezza e con il desiderio di stupire. 16 reti in 26 presenze per lui, a fine anno potrebbe confermare gli ottimi numeri che lo fecero grande a Torino. Ci ricorda il conterraneo Edoardo Bennato, che per cominciare legò insieme chitarra, armonica, grancassa e kazoo e iniziò a suonare sotto la gallerie Umberto I di Napoli al costo di 1.000 lire a biglietto.
Bomber di razza, attaccante classico, quasi all’antica per pigrizia e opportunismo, Mauro Icardi non è un mod ma spacca tutto: le partite, i nervi degli avversari, le pelotas dei rivali. Provocatore nato, conserva sempre un certo stile. La sua strafottenza potrebbe tranquillamente calarlo in un palcoscenico in cui a suonare sono gli Whoo, ma mancano l’ironia, la contestazione e la ricerca di significato per l’azione umana. Non resta che decontestualizzarlo e lasciarci incantare dalle azioni sportive, quelle sì dissacranti, capaci di sferzare duri colpi al comando della classifica. Di unica bellezza i tagli in area e gli anticipi acrobatici sul primo palo con i quali scaraventa bordate verso la porta da distanza ravvicinata. Con i suoi 20 gol in 26 presenze Icardi è il prototipo dell’attaccante novecentesco: poco partecipativo ma smodatamente efficace, ti purga solo quando ne ha voglia, il guaio è che capita spesso.
Ecco l’eccezione che conferma la regola, il casus belli, la disarmante verità che spezza le trame della prevedibile teoria. Dries Mertens è un centravanti, perlomeno lo è quest’anno. Come la Coca-Cola è un ottimo risultato di un esperimento sbagliato, il cui autore è finito, come direbbero in zona vesuviana, n paraviso pe’ scagno (in paradiso per scambio). Infortunato il promettente Milik, il rimorchio di Gabbiadini ha stupito tutti entrando nei panni del cannoniere fin dal primo momento con la naturalezza del bomber consumato. A discapito di un timbro voce non del tutto virile, caratteristica che lo accomuna ad un certo Robert Plant, esattamente come il leader dei Led Zeppelin sfodera tutta la sua grinta non appena entra in scena, facendo fumare per consunzione gli scarpini (o la chitarra, a seconda dei punti di vista). Favorito da un gioco veloce a due tocchi, il belga ha trovato la sua dimensione in una squadra che non gioca più per il numero nove, ma per costruire occasioni collettive. I 19 gol in 25 presenze sono l’esempio di come il calcio italiano abbia importato la lezione olandese del calcio totale e di come sia praticabile anche dalle nostre parti. Il dibattito rimarrà sempre aperto, noi continuiamo a gustarci lo spettacolo.
Conserva sempre una certa eleganza nel muoversi Edin Dzeko. Usa la forza con maestria, senza scomporre i muscoli facciali nè distorcere l’espressione del volto. Spalle alla porta è forse il migliore del campionato (insieme a Petagna?), ha ritrovato finalmente la cattiveria che gli mancava nell’uno contro uno, ma la classe non invecchia, solo a volte si distrae. Silenzioso e riflessivo, ci ricorda un introspettivo David Gilmour, teso ad auscultare ogni vibrazione dell’ultima registrazione ignorando completamente Roger Waters che gli parla dell’esigenza di scrivere testi impegnati. 20 gol in 28 presenze per Dzeko, esattamente come Higuain, ma con più grazia, quasi chiedendo il permesso.
Centravanti senza tempo, poliedrico egoista. Higuain è un attaccante che non sarà mai fuori moda. Calciatore universale con una sinistra tendenza ad ingrassare, capace di illuminare il palco con in singolo gesto che cambia la partita, l’invenzione luminosa che manda il pubblico in visibilio. Gonzalo Higuain non poteva che essere il nostro James Douglas Morrison, per gli amici Jim, che non avrà mai venduto una canzone alla pubblicità, ma che di misfatti più o meno tramandati è stato certamente artefice diretto. 19 gol in 28 presenze con prestazioni sempre in crescendo per il numero nove più completo della nostra serie A sapendo giocare da punta rapace, fantasista, falso nueve e seconda punta.
Giovane, forte, veloce, il pelide Achille del calcio italiano è sicuramente il “gallo” Belotti, autore di 22 reti in 24 presenze e primo nella speciale classifica dei marcatori. Attaccante completo, dotato di una freschezza giovanile che conquista il proprio spazio con la prepotenza di chi rivendica un sacrosanto diritto, è il Mick Jagger dei numeri 9. La gioia con cui interpreta il ruolo e le smorfie deformanti di cui si fregia in ogni esultanza ricordano le prime linguacce del leader dei Rolling Stones, spaventosamente somigliante nelle foto dei suoi vent’anni. Di lui hanno detto che non era adatto alla serie A, che non era un attaccante da top club, che vale più della clausola rescissoria pagata dalla Juventus per Higuain e che sarà il centravanti titolare ne prossimo ciclo della nazionale italiana. Un attaccante senza anni di esperienza alle spalle ha bisogno di una squadra che gli fornisca palle gol a ripetizione, per cancellare le sbavature con esclamazioni di felicità collettiva dopo la rete ritrovata.