Il Cholismo non è catenaccio. Lo dimostra paradossalmente nella serata perfetta, in cui la zampata di Saúl Ñíguez aveva indirizzato su binari ideali una gara che a quel punto serviva amministrare, gestire, sedare, addormentare. E se anche fosse un catenaccio, sarebbe il solito meraviglioso catenaccio. Non noia, sì rottura delle trame avversarie. Un sentimento d’unione, che parte dall’interno del gruppo e si diffonde a macchia di leopardo. Con superiorità numerica accanto al pallone e un ostinato muro difensivo a zona, è un bignami di πάθει μάθος, l’apprendimento mediante la sofferenza dipinto da Eschilo nell’Agamennone. L’Atlético torna sé stesso, per una sera, e batte – col minor scarto possibile e il massimo scarto utile, in casa propria – i campioni d’Europa in carica senza che questi abbiano tirato in porta una sola volta.
Non era scontato. Il quarto posto in Liga, le 13 lunghezze dalla vetta, l’eliminazione in Copa del Rey per mano del modesto Cultural y Deportiva Leonesa, il caso João Félix triste e infortunato, la fine di un ciclo con le partenze di Godín e Gabi. Persino il possibile scioglimento della coppia Simeone-Burgos, col secondo – pare – pronto alla carriera da Mono, inteso come singolo, indipendente, era stato concepito come la fine del Cholismo. E invece ieri sera, di fronte al test più duro, con la parvenza dei tanti indizi che confermino l’inevitabile, i Colchoneros sono riemersi dal guado. Offrendo una delle migliori prove degli ultimi anni, hanno posticipato l’inevitabile fine di un ciclo. Ancora una volta.
Il tempo di un abbraccio durato 90’ è condensato in una partenza energica. Ottenuto il vantaggio al 4’ sugli sviluppi di un corner, grazie al blitz di Saúl Ñíguez (che il 27 aprile 2016 al Calderón realizzò una rete maradoniana al Bayern), l’Atlético s’è chiuso a riccio come ampiamente preventivabile: nel primo tempo ha tenuto il Liverpool sulla metà campo, nel secondo ha arretrato il perimetro del bastione ma salvo qualche sporadica occasione (Salah, Henderson) non ha rischiato troppo. E anzi, l’Atlético – incassato lo spavento di una rete annullata a Salah per fuorigioco su errore di Oblak in rinvio – ha rischiato di raddoppiare: l’inciampo di Morata e l’egoismo del rientrante Diego Costa hanno tenuto in vita i Reds e alla fine ha festeggiato il Cholo, l’uomo dalla catena sinistra improbabile (Lodi-Lemar), l’uomo che adesso si recherà ad Anfield forte di un 1-0 che – nel 51% dei casi – vuol dire passaggio del turno. Mucho más de lo que le concedíamos en la víspera.
Per spiegare la vittoria, Simeone ha dispiegato – come da copione – l’elogio al suo pubblico: «Comenzamos a ganar el partido desde que giramos en la rotonda y vimos el recibimiento que nos blindaron. En ocho años que llevo en el Atlético de Madrid, nunca nos habían hecho un recibimiento como el de esta noche». Il ricevimento, a Saúl ha ricordato «le grandi notti del Calderón» era partito con una coreografia maestosa e un urlo invernale. Insomma, tutto secondo i piani: il Cholo sposta il duello da un piano ludico alla solita forsennata intensità, in quest’occasione – come nell’andata contro la Juventus – gli è andata bene. Sarà un complicato ritorno ad Anfield a testare la maturità dei Colchoneros. Ammesso che le occasioni mancate non rechino qualche rimpianto.
Già, perché la partita dell’Atlético è la solita, di sacrificio e lotta, coraje y corazón. Se la porzione di sofferenza dura 87’, al Wanda non dispiace affatto subire il gioco del Liverpool. L’Atlético vince e lo fa di misura, con il 33% di possesso palla: degli otto tiri dei Rojiblancos due sono finiti nello specchio, mentre il Liverpool ha concluso per sei volte nessuna delle quali dalle parti di Oblak. Nella serata in cui tutto gira bene, il Liverpool ottiene tre ammonizioni e completa 628 passaggi su 766 tentati, oltre due volte e mezzo quelli dell’Atlético (301, 190 a buon fine). Tra i mille paradossi, ne passa quasi inosservato uno: Simeone si sbraccia lungo tutta la gara arringando il pubblico a tirar fuori l’effetto emotivo del Wanda Metropolitano. Klopp, d’altro canto, esagera in una sola occasione, in cui peraltro magari avrebbe anche avuto ragione, e rimedia un’ammonizione per questo.
Insomma, i segnali sono incoraggianti. Nella serata in cui è riapparso al Wanda Fernando Torres, che in carriera giocò con ambo le squadre e nel 2016 arrivò a un soffio dalla Champions, torna anche lo spirito indomito. Torna il il Nunca Dejes De Creer, che nel 2016 era il motto della campagna di conquista della Champions League (assieme al Tus Valores Nos Hacen Creer) e invece oggi appare sulla prima pagina di As. Marca sceglie un’apertura più razionale, Este gol es un tesoro.
E non è soltanto tornato Torres. Torna il Cholismo, tripallico, infaticabile. Torna come detto lo spirito di quell’Atlético, privo dei fantasmi del palo scheggiato da Juanfran dal dischetto. Così come a gennaio è tornato Yannick Ferreira Carrasco, che il 28 maggio 2016 riportò in gara i rojiblancos. E come ha scritto su Marca José I. Pérez: «Guste o no, el Cholo no va a cambiar. Son sus principios y con ellos va a ir hasta el final. Lo que no va a variar es su estilo, su libro, en lo que confía».
Ecco di seguito il tabellino:
Atlético Madrid (4-4-2): Oblak; Vrsaljko, Savić, Felipe, Renan Lodi; Koke, Saúl, Thomas, Lemar (dal 46’ Llorente); Correa (dal 77’ D. Costa), Morata (dal 70’ Vitolo). All: Simeone. A disp: Adán, Giménez, Hermoso, Carrasco.
Liverpool (4-3-3): Alisson; Alexander-Arnold, Gomez, van Dijk, Robertson; Henderson (dall’80’ Milner), Fabinho, Wijnaldum; Salah (dal 72’ Oxlade-Chamberlain), Firmino, Mané (dal 46’ Origi). All: Klopp. A disp: Adrián, Matip, Keïta, Minamino.
Rete: 4’ Saúl. Ammoniti: Correa (A), Mané, Gomez, Klopp (L). Arbitro: Marciniak (Polonia).