Artem Dzyuba, l’uomo che ha mandato su tutte le furie Mancini e lo Zenit

Artem Dzyuba

Ai più il nome di Artem Dzyuba non dirà molto. Difficile darvi torto; ma tranquilli, arriviamo noi in vostro supporto con un breve identikit.

Artem Dzyuba è un giocatore russo, di professione centravanti. Classe ‘88, 1,96 di altezza per 90 kg, muove i suoi primi passi tra i professionisti nello Spartak Mosca dove approda a 16 anni e resta per tre stagioni prima di andare in prestito per due volte al Tom Tosk. Poi il temporaneo ritorno allo Spartak ed nuovo prestito, questa volta al Rostov. È qui che Dzyuba vince una Coppa di Russia e nel 2015 si guadagna la chiamata dello Zenit.

Con la squadra di San Pietroburgo arrivano due Supercoppe, un’altra Coppa di Russia ed infine, a gennaio, il prestito all’Arsenal Tula. E da qui parte la nostra storia.

Artem Dzyuba non è proprio l’ultimo arrivato. È uno dei giocatori più talentuosi del calcio russo; uno che ha esordito in Nazionale a 23 anni collezionando 11 gol in 22 presenze. Uno che nei suoi due anni allo Zenit ha messo a segno 37 reti che si sommano alle 17 ai tempi del Rostov. Insomma, Dzyuba è un centravanti di livello in Russia. Forse l’unica alternativa credibile a Kokorin in vista del prossimo Mondiale da giocare in casa.

Però Artem Dzyuba ha un problema. È una testa matta, un burlone. Un Cassano de noantri per rendere l’idea. Uno che a calcio sa giocare, la porta la vede e però per un motivo o per un altro riesce sempre a finire nei guai mettendosi gli altri contro. Gli allenatori soprattutto.

Il suo lungo peregrinare in prestito nei vari meandri della Russia si origina anche da questo. Ai tempi dello Spartak definire teso il suo rapporto con Karpin è un eufemismo. Capello, ex allenatore della Nazionale, nel 2014 non lo convocò per il Brasile nonostante una stagione da incorniciare al Rostov. E poi c’è Roberto Mancini.

Con il tecnico italiano il feeling non è mai veramente scattato. Come spesso succede in questi casi, è difficile comprendere realmente per colpa di chi. La verità, molto probabilmente, va cercata nel mezzo. Ed in tal senso, diciamo che Artem Dzyuba è uno che non ha mai amato particolarmente il duro lavoro sul campo di allenamento. Così come diciamo pure che Roberto Mancini per il suo Zenit aveva altri programmi: una squadra di matrice argentina con Kokorin finalizzatore scelto. Con questi chiari di luna arrivare allo scontro era praticamente inevitabile.

Così, se Artem Dzyuba sembrava aver incassato piuttosto bene il rimprovero di Mancini circa la necessità allenarsi più intensamente per guadagnarsi il posto in squadra piuttosto che lamentarsi, la mancata convocazione per il ritiro invernale dello Zenit è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

A gennaio Artem Dzyuba ha così lasciato lo Zenit direzione Arsenal Tula. Una presa di posizione del giocatore contro Roberto Mancini ma anche una scelta finalizzata a mettere nelle gambe quanti più minuti possibili per poter sperare in una chiamata del c.t. Cherchesov per il Mondiale che ogni russo vorrebbe giocare.

Per lo Zenit nessun problema. Anzi un problema in meno. Però, siccome è sempre meglio prendere le dovute precauzioni, nel contratto di prestito il club di San Pietroburgo pretende una clausola: Artem Dzyuba non può scendere in campo contro i suoi ex compagni pena il pagamento di una penale di 150 mila euro.

Sembrano tutti contenti; eccetto Artem Dzyuba che evidentemente non riesce proprio a digerire lo sgarbo di Mancini. E più si avvicina il match di campionato contro lo Zenit, più il centravanti scalpita per avere l’opportunità di servire la sua vendetta. Ci sarebbe però il problema della clausola.

Ma il sentimento di Dzyuba è talmente forte che il giocatore propone all’Arsenal Tula una soluzione clamorosa: fatemi giocare; la clausola la pago io. La società accetta, Dzyuba gioca e praticamente allo scadere del match sigla il gol del definitivo 3-3 che rischia di costare allo Zenit la partecipazione alla prossima Champions League.

Un gol celebrato con una folle corsa verso la panchina del suo nemico giurato, con un’espressione in faccia che è un giusto mix tra gioia e rabbia, e poi, una volta al cospetto di Mancini, giravolta e pollicioni ad indicare il nome sulla maglia.

Shatov, altro giocatore dello Zenit in prestito, al Krasondar per la precisione, era stato più sobrio qualche domenica fa dopo aver contribuito, anche lui in campo a quanto pare dopo aver versato di tasca sua la penale prevista dal contratto di prestito, con una rete alla vittoria del suo attuale club sulla squadra del Mancio.

Forse perché conscio che tra qualche giorno il campionato russo volgerà al termine e lui, così come Dzyuba, dovrà tornare alla base.

Come del resto ha ricordato Roberto Mancini al termine del match con l’Arsenal Tula: “Shatov e Dzyuba? Sono contento per entrambi anche se credo che un giocatore non dovrebbe pagarsi l’opportunità di giocare contro il suo club. Tra circa 20 giorni saranno di nuovo a San Pietroburgo..”.

Dove forse verranno chiamati a rendere conto su come un desiderio di vendetta, costato 300 mila euro, possa valere i milioni di euro garantiti dall’accesso alla Champions League.