Se ti chiami Álvaro Morata e di professione sei un attaccante, allora non c’è altra scelta: servono tanti gol. Che glielo suggerisca l’indole innata presente in lui, il suo nutrito palmarès o quanto hai fatto vedere nel momento in cui il mondo del calcio ha conosciuto il numero 9 nato a Madrid, dalla faccia pulita e dalle qualità da attaccante moderno, poco importa. Contano le reti, i numeri, le 73 esultanze mostrate tra Spagna, Italia Inghilterra prima di questo ritorno sulla riva materassaia del fiume Manzanarre. Senza reti qualcosa non va, Morata potrebbe comunque giocar benissimo per la squadra, divertendosi e aiutando i compagni, ma giocare in quella posizione implica prima di tutto le reti. Sono state queste l’unico deterrente al prosieguo della parentesi londinese per Álvaro, presso un Chelsea mai così poco familiare, allenato da un Maurizio Sarri che non ha mai fatto mistero di volere una punta di peso. Così al tecnico toscano è stato ricongiunto Gonzalo Higuaín e Morata ha fatto le valigie.
Gli inizi di Morata
Morata è un centravanti moderno. Lo ha detto il campo, lo ha dimostrato lui stesso a più riprese ed è probabilmente questo il punto cruciale di tutta la questione: l’involuzione che sta attraversando lo spagnolo nasce da un’incostanza che lo porta a non personificare l’Álvaro Morata capace di segnare 45 reti in 83 presenze nelle 3 stagioni al Real Madrid Castilla, la seconda squadra merengue. Pare abbia dismesso i panni di quel goleador capace di siglare 4 reti in 5 partite all’Europeo Under-21 del 2013 e la sua discontinuità dispiace non poco.
Erano gli anni in cui fu notato da José Mourinho, che lo educò al calcio dei grandi. Morata si sottopose alla gavetta e il Bernabéu lo apprezzò per la sua grinta. Col portoghese in panchina, Álvaro faceva la spola tra giovanili e prima squadra, alternandosi tra i pari età e i compagni di Cristiano Ronaldo. Le statistiche tra l’altro mostrarono che Morata nella stagione 2013/14 seppe far meglio di CR7 e Messi, dati che a 5 anni non sono confermati. Juventus, Real Madrid, Chelsea e oggi Atlético sulla strada dell’iberico: tanto pellegrinaggio ma poche certezze.
Londra, Morata e pioggia
Classe ’92 soprannominato El Ariete, non è detto che Morata non possa ancora diventarlo. Il futuro è dalla sua parte e il prestito all’Atlético Madrid durerà fino al 2019/20 prima che Sarri o il suo successore debba deciderne il futuro, quasi certamente basandosi sulle performances di Morata al Wanda Metropolitano. L’addio al Chelsea può rinfrancarlo, del resto non rientrando nei piani societari sarebbe stato durissimo scalare le ripide gerarchie: una stagione e mezza con 72 presenze e 24 reti all’attivo, ma poca vivacità. L’avvio in Inghilterra lo vide a segno 7 volte in 8 partite ad inizio stagione, tra campionato e coppe, gli altri 8 gol arrivarono spalmati su 40 presenze. Conte gli diede possibilità, un infortunio alla schiena bloccò Morata per cinque turni a inizio 2018 e da allora l’ex attaccante della Juventus – spalla di Carlos Tévez nella storica stagione 2014/15 culminata con la finale di Champions – pare non essersi più ritrovato.
Il peso dell’attacco lo ha portato sempre lui sulle spalle, qualche metro più avanti rispetto a Eden Hazard in costante supporto alla manovra. Morata a Londra fu quasi sempre la prima scelta di Antonio Conte, sebbene la rosa dei Blues offrisse pure Pedro, Diego Costa (per metà stagione), Michy Batshuayi e Olivier Giroud. Che fosse 3-5-1-1 o 3-4-3, Morata ha tenuto salda la titolarità come detto fino a gennaio. A quel punto è sopraggiunta la nostalgia e si rammentava di quell’Álvaro torinese: abile, letale, decisivo per i successi della gestione Massimiliano Allegri e pure ex dal dente avvelenato, considerando i suoi due gol tra andata e ritorno in semifinale di Champions League contro il Real Madrid. Pure in finale segnò, un momentaneo 1-1 che servirà a poco contro il Barcellona, prima di cominciare la sua seconda stagione eguagliando il record di Alessandro Del Piero circa cinque marcature di seguito in Champions League. E la Coppa Italia portò bene, decisa al 110′ da Morata contro il Milan. Vecchia Signora, sì, ma pure innaMorata.
Morata, l’Atlético, l’Atlético, Morata
Morata cecchino e determinante, valore aggiunto per la sua squadra: l’involuzione avrà pure mitigato questa sua caratteristica, ma c’è da spezzare una lancia a suo favore. Tra la Serie A e la Premier League c’è stato il ritorno al Real Madrid, il cui reparto offensivo sovraffollato (Gareth Bale, Karim Benzema e il nuovo Marco Asensio) ha dimezzato in partenza il possibile minutaggio di Morata. Ciononostante, sono arrivate 8 reti alle prime 16 presenze coi Blancos, prima di un fastidioso problema al tendine d’Achille che – come nel caso di Londra – ha tagliato in due la sua permanenza. Ripresosi, Morata ha giocato 26 gare trovando 11 gioie personali, poi una decina di panchine e la conquista della seconda Champions League, nel maggio 2017, contro la “sua” Juventus.
L’avventura con l’Atlético Madrid per Álvaro non sembra in ogni caso cominciata nel migliore del modi: 90′ sì contro il Betis Siviglia, ma Simeone ha rallentato il passo verso la vetta a causa della sconfitta. Un grigiore generale dal quale ha brillato parzialmente Morata, intenso e chiaramente alla ricerca di una nuova chance. Così, malgrado sia presto per dirlo, l’idea dilagante è una: che il futuro di questo attaccante dipenda da come andrà stavolta a Madrid. La concorrenza resta – Correa, Diego Costa, Griezmann e Kalinic – ma la voglia di rimettersi in carreggiata può esser più forte stavolta.