Ci eravamo lasciati così, in una calda serata marsigliese dell’agosto 2015: i padroni di casa hanno appena concluso la prima partita di campionato steccando clamorosamente contro un Caen tutt’altro che irresistibile (rete di Andy Delort). «Il mio lavoro qui è finito, me ne torno nel mio Paese» sono le parole che riecheggiano per le strade del capoluogo provenzale, ma nessuno vuole crederci. Dimissioni pesantissime che porteranno il Marsiglia a concludere una stagione opaca al 13° posto, fuori da ogni piazzamento europeo (una eventuale vittoria in finale di Coppa di Francia contro il PSG sarebbe stata l’ultima speranza) con la proprietaria Margarita Louis-Dreyfus, moglie del compianto Robert, costretta a mettere in vendita la squadra per risanare i debiti. Bielsa l’aveva capito subito che da quelle parti non avrebbe avuto più nulla da fare e ha deciso di farsi da parte. Più volte durante questi mesi i tifosi marsigliesi hanno invocato il suo ritorno, ma il rosarino non ne ha voluto sapere. E dopo svariate trattative sembra aver accettato l’offerta della Lazio, che lo porterebbe ad esordire nel campionato nostrano, a cui in passato ha regalato tantissimi campioni. Una sfida complicata ma molto interessante, forse l’ultima grande occasione per poter dimostrare di non essere solo un “loco”, come ormai da tanti anni è conosciuto.
Nato a Rosario il 21 luglio del 1955 da una famiglia di giuristi (nei campi veniva chiamato “el señorino Marcelo”), gioca come difensore fino a 25 anni, ritirandosi dal calcio giocato nel 1980. Ossessionato dalla tattica calcistica, ha come modelli il concittadino César Luis Menotti e Carlos Bilardo, rispettivamente campioni del mondo nel 1978 e 1986, deciderà di mettersi a gestire un’edicola nel centro di Rosario per poter avere tutte le notizie possibili. Assunto dal Newell’s Old Boys nel 1982, inizierà un lungo viaggiò nel 1985 alla ricerca di nuovo talenti da portare nella Lepra: oltre 25.000 km in moto che lo porteranno a scoprire gente come Gabriel Omar Batistuta, Mauricio Pochettino, Eduardo Berizzo o Ricardo Lunari. Nel 1990 poi, arriva la svolta: il Newell’s Old Boys decide di affidargli la prima squadra per la stagione 1990-1991, ricordata come la prima nella storia del calcio argentino con la divisione fra “Apertura” e Clausura”. Un’annata miracolosa, in cui riuscirà a vincere l’Apertura (28 punti con 11 vittorie, 6 pareggi e 2 sconfitte) e lo spareggio scudetto contro il Boca Juniors ai rigori. Nella storia il “Newell’s Carajo!” gridato da Bielsa al termine della sfida contro il San Lorenzo, che avrebbe regalato definitivamente il terzo storico titolo alla Lepra. Una vera e propria rivoluzione stava avvenendo nel calcio moderno: frenesia, pressing, continui scambi, tagli in profondità e un eccessivo vigore atletico abbinati ad un insolito 3-3-1-3 che non si era mai visto in Argentina, con interpreti eccelsi come il Tata Martino, Mauricio Pochettino, Julio Zamora o Dario Franco. L’incantesimo durerà fino al 1992 portando a Rosario un campionato di Clausura e una incredibile finale di Copa Libertadores contro il San Paolo di Cafù, Zago, Rai, Muller e del “Guru” Telè Santana persa soltanto ai rigori.
Il credo Bielsista troverà altri seguaci e andrà in Messico fra Club Atlas e Club America, dove non si ripeteranno i successi del passato nonostante la scoperta di talenti come Rafa Marquez, . Il ritorno in patria sponda Velez riporteranno in auge il Loco, grazia ad un campionato clausura vinto e alla chiamata della Nazionale Argentina dopo soli 3 mesi di Espanyol: l’esperienza con l’Albiceleste è probabilmente una delle più controverse della sua carriera. Nonostante il titolo di miglior allenatore dell’anno nel 2001 e un’incredibile numero di talenti, oltre il 70 % di vittorie ma soltanto un trofeo (l’Oro olimpico ad Atene 2004 con l’under 23, in cui militavano elementi del calibro di Javier Saviola, Carlos Tevez, Javier Mascherano o Nicolas Burdisso): un autentico fallimento il Mondiale del 2002, con un’eliminazione al primo turno (vittoria contro la Nigeria, sconfitta contro l’Inghilterra e pareggio con la Svezia) nonostante il ruolo di possibile candidata alla vittoria finale. Nel settembre del 2004, dopo aver perso in estate la finale di Copa America contro il Brasile e aver trionfato nelle Olimpiadi come scritto poc’anzi, Bielsa decide di dimettersi restando fermo per 3 anni fino all’agosto 2007, quando la federazione Cilena ne annuncia l’ingaggio: fino al 2011 rilancerà la Roja facendo qualificare ad un mondiale dopo 12 anni, vincere una partita nel torneo dopo 48 anni e passare il turno, venendo eliminati agli ottavi dal Brasile.
Giunto all’eta di 55 anni, nell’estate del 2011 accetta l’offerta dell’Athletic Bilbao nonostante gli interessamenti di Inter, Roma e Siviglia. Nonostante le politiche societarie, che prevedono il tesseramento di soli giocatori baschi, il progetto Bielsista si sposa perfettamente con la piazza: due stagioni di calcio champagne, che nei paesi baschi non si vedeva da fine anni 90, e due finali raggiunte rispettivamente in Europa League (traguardo raggiunto dopo 35 anni, sconfitta contro l’Atletico Madrid per 3-0) e in Copa del Rey (altra sconfitta per 3-0, ma contro il Barcellona). Nell’estate del 2014 infine accetta l’offerta giunta da Marsiglia. Stessi diktat di sempre ma modulo un po’ variegato, trasformato già durante il periodo basco in un 4-2-3-1 più coperto. I focesi divertono e si prenderanno la vetta della classifica per tutto il girone d’andata, andando a scemare il tutto nelle ultime giornate. Decisiva la sconfitta interna contro il PSG, poche settimane dopo il celebre discorso del postpartita contro il Lione in cui andava a rincuorare i suoi ragazzi. A fine anno sarà quarto posto, ma l’impressione è che il popolo marsigliese abbia pienamente capito il messaggio Bielsista: “Il successo è deformante: rilassa, inganna, ci rende peggiori, ci aiuta ad innamorarci eccessivamente di noi stessi. Al contrario, l’insuccesso è formativo: ci rende stabili, ci avvicina alle nostre convinzioni, ci fa ritornare ad essere coerenti. Sia chiaro che competiamo per vincere, ed io faccio questo lavoro perché voglio vincere quando competo. Ma se non distinguessi ciò che è realmente formativo da quello che è secondario, commetterei un errore enorme”. Forse la più celebre frase sebbene assomigli tanto al pensiero di un profeta nel deserto. Nessuno però si è mai azzardato a rinfacciarglielo, consapevoli che prima o poi che “El tiempo le dará razón”. Se Lotito rispetterà le sue richieste, siamo certi che il Bielsismo entrerà nel cuore del calcio italiano e, più in particolare, in quello dei tifosi laziali.