“Muore giovane colui che gli Dei amano”. In principio fu il poeta greco Menandro, attraverso uno dei suoi frammenti, e successivamente il concetto venne vagamente ripreso anche da Giacomo Leopardi nella sua poesia “Amore e morte”, contenuta nel Ciclo di Aspasia. Una frase che troppo spesso sentiamo riecheggiare quando le tragedie si consumano, lasciando un senso terribile di sgomento fra coloro che avranno il compito più difficile, ovvero quello di non dimenticare. Per i tifosi, ed appassionati di calcio in generale, è pane quotidiano cercare in un qualche modo di divinizzare i propri idoli, portandoli dunque a un passo dal cielo. È capitato diverse volte però che questo processo di divinizzazione venisse velocizzato, per chi sa quale fatale destino che ha voluto portarci via addirittura intere squadre di calcio così rimaste al confine fra mito e leggenda.
GRANDE TORINO – Cantano i Bull Brigade, gruppo punk di Torino “E a sette anni mi portasti dagli eroi, Che non sapevo quel che avrei capito poi, E in quel momento estremo che mai scorderò, Sulla collina la tua voce si fermò“. Il riferimento alla Tragedia di Superga del 4 maggio 1949 è abbastanza lampante. Quel Torino di Valentino Mazzola e Loik era una squadra di campioni. Reduce da quattro scudetti consecutivi e in procinto di vincere il quinto, l’aereo su cui viaggiava la squadra al ritorno da un’amichevole giocata in Portogallo contro il Benfica ebbe la sfortuna di schiantarsi addosso al muraglione del terrapieno superiore della Basilica di Superga, non lasciando di fatto scampo a nessuno delle 31 persone presenti (4 dell’equipaggio e 27 passeggeri di cui 18 giocatori, 3 dello staff tecnico, 3 dirigenti e 3 giornalisti). I granata vinsero lo stesso il titolo, anche grazie alla collaborazione delle squadre avversarie che scelsero per solidarietà di scendere in campo nelle restanti giornate con le formazioni giovanili. L’episodio però desto talmente tanto scalpore che l’anno seguente la nazionale italiana volle a tutti i costi raggiungere il Brasile, dove si sarebbe disputato il mondiale, in nave.
BUSBY BABES – Qualche anno dopo Superga, stessa sorte toccò anche ai ragazzi del Manchester United noti anche come “I Busby Babes” grazie all’età media molto bassa di quel gruppo molto affiatato e legatissimo al ct scozzese Matt Busby. La tragedia si consumò sul volo di ritorno dalla trasferta di Coppa dei Campioni contro la Stella Rossa nel febbraio 1958 all’aeroporto di Monaco di Baviera, dove l’aereo aveva fatto uno scalo tecnico. Il decollo non riuscì a causa della pista innevata ed al terzo tentativo l’aereo si schiantò sulla recinzione dell’aeroporto e su una casa nei dintorni, provocando la morte di 23 (8 giocatori, 3 dello staff, 8 giornalisti e 4 dell’equipaggio) dei 44 passeggeri. Fra i sopravvissuti l’attaccante Bobby Charlton e l’allenatore Matt Busby, che riuscirà nei giro di pochi anni a ricostruire la squadra grazie ad un tridente mostruoso formato dallo stesso Charlton con Denis Law e George Best, arrivando a vincere la Coppa dei Campioni nel 1968.
FRA UCRAINA, LIMA, SURINAME E ZAMBIA – Le peggiori carneficine avvennero a distanza di 10 anni (1979-1989) in Unione Sovietica, a Dniprodzeržyns’k, e in Suriname, a Paranamibo. Nel primo caso vi fu un vero e proprio scontro fra due Tupolev Tu-134 che fece perire complessivamente 178 persone. Nel secondo invece fu fatale un errore del pilota a pochi chilometri dall’atterraggio a Paranamibo. Costò la vita a 176 persone lasciando soli 11 sopravvissuti. Non furono per caso su quel volo Frank Rijkaard, Ruud Gullit, Aron Winter e Stanley Menzo, all’epoca simboli per la colorful 11 composta dai migliori nativi del Suriname militanti nei campionati europei. Ma non finisce qui. Si contano infatti altre tragedie. A partire da quella che colpì i peruviani dell’Alianza Lima nel 1987, con 43 vittime e un solo sopravvissuto a causa della poca esperienza dei piloti e di una serie di defezioni all’aereo notate solamente dopo la partenza. O ancora quella che vide come sfortunata protagonista la nazionale dello Zambia nel 1993, perita a causa di un incendio a bordo (30 vittime, nessuno sopravvissuto) mentre si recavano in Senegal per disputare una sfida di qualificazione ai Mondiali del 1994. Vite diverse, tutte legate da un unico tragico destino.
CHAPECO IMMORTALE– Si arriva poi ai giorni nostri, a ieri per la precisione, con la sciagura che ha per protagonisti i brasiliani della Chapecoense. Una squadra e tante vite cancellate così, da un momento all’altro. Ad un giorno dal punto più alto della storia calcistica del club e di tanti suoi protagonisti in campo. Un traguardo guadagnato con le unghie e con i denti nonostante la brevissima esperienza in campo internazionale. Abituata a livelli decisamente più bassi, la squadra dello stato di Santa Caterina aveva destato interesse verso tutti con questa finale internazionale: la strepitosa parata di Danilo (sopravvissuto allo schianto ma morto dopo essere stato trasportato in ospedale) nell’ultimo minuto della semifinale contro il San Lorenzo si è trasformata in un incubo. Si contano appena 6 sopravvissuti sulle 81 persone a bordo. Le altre squadre brasiliane si sono già mobilitate e hanno proposto di far rimanere la squadra in A per 3 anni, permettendogli di poter prendere giocatori in prestito gratis. Ancor più nobile la richiesta dell’Atletico Nacional, che ha chiesto che la Coppa venga assegnata a loro: un bel modo per rendere ancora più immortali i ragazzi di Capeço.