E’ la nuova frontiera, l’ultima meta che il restyling del calcio mondiale sta imparando ad apprezzare. Forzatamente o meno, gli States si stanno imponendo in una sorta di BRICS futbolistica, in cui figura in entrambi i casi il nome della Cina. E proprio al pari della Chinese Super League, la MLS sta attirando su di sé gli occhi incuriositi (o spaventati) dell’intero panorama mondiale. Merito di un paese che sta cercando di infrangere la dittatura del baseball imponendo sul trono il soccer, e che non sta affatto sfigurando.
L’aver ospitato nel 2016 la Copa América Centenario ha solo potuto accompagnar la crescita esponenziale di un movimento che per ora non ha confini né vuole mettersi davanti prerogative. Il calcio yankee non è nato nel 1994, col mondiale a stelle e strisce, ma si può dire che da allora abbia trovato un terreno ideale nel quale metter radici.
Già, perché l’obiettivo resta ambizioso. Diventare una lega di spicco entro il 2022 non è solo un curioso esercizio di doti premonitrici, ma è anche e soprattutto una minaccia lanciata al resto del mondo. Non c’è da scherzare, sicché la metodologia ferrea adottata dagli USA è vincente: in primis, aumentare l’appeal. In secundis puntare sulla vendibilità di un prodotto rinnovato e più attraente. In tertiis, come nelle migliori favole, divertirsi a far crescere in laboratorio squadre che un giorno pulluleranno di campioni.
Lo stato dell’arte della MLS
A vent’anni dal lancio del progetto, si notano confortanti segnali di crescita. Sono germogli, ma vogliono dire che il seme è riuscito ad attecchire in un terreno non ritenuto così idoneo. Merito anche di una pervasiva campagna di rebranding, che ha trasformato un campionato minore in un campionato che agli occhi del mondo inizia ad avere un certo fascino.
L’uso massiccio dei social network (oltre 3 milioni di followers su Twitter, e cinguettii come se non ci fosse un domani) ha aiutato al pari del sito ufficiale www.mlssoccer.com che, oltre a contenere un ricchissimo database con statistiche, classifiche e news, è oggi anche un’app per telefoni cellulari. Your league, your app è il motto: non fa una grinza. Provate ad immaginarvi il famoso Zio Sam, quello che appariva nella propaganda pro-bellica, ma stavolta in un’accezione leggermente più ludica. Direbbe più o meno così: I want you, to discover American soccer!
Insomma, gli USA ce l’ hanno fatta. Ora che la pianta sta crescendo, c’è solo da annaffiarla regolarmente. Non è un caso che gli step vengano programmati uno alla volta in un orizzonte di lungo termine. Innanzitutto puntando sui giovani. Secondo il Wall Street Journal, 40 milioni solo destinati al potenziamento dei vivai: niente male. Poi, per strappare lo scettro di Top American League al campionato messicano, negli ultimi tempi si è deciso di virare rispetto alla politica inizialmente portata avanti, quella dei campioni in pensione ricoperti d’oro. La linea attuale è invece stop al modello Beckham e riflettori puntati sui giovanotti rampanti in pieno stile DeAndre Yedlin.
Una ricerca del popolare quotidiano iberico AS evidenzia come la MLS sia il sesto campionato al mondo per spettatori paganti (poco meno di 21.700 spettatori per match, dietro Bundes, Premier, Liga, LigaMX, Chinese Super League ma davanti a Serie A e Ligue 1). Alla ventunesima edizione, il calcio degli yankees supera un gigante in crisi come la nostra bistrattata massima serie. Com’è possibile, si son chiesti? Come hanno fatto questi “raccomandati dalla FIFA” (dopo il Mondiale ’94 si chiedeva la nascita di un calcio anche negli States) a crescere così in fretta? La risposta è semplice.
E’ soprattutto grazie a due fattori che il calcio negli USA si è diffuso a macchia d’olio. Il primo è il quarto di finale toccato dai ragazzi di Bruce Arena nel Mondiale 2002, con una rosa che comprendeva tra gli altri pure un giovanissimo, 20enne, Landon Donovan. Il secondo fattore invece risponde al nome di Don Garber, commissioner che ha lavorato sodo per aumentare la popolarità di un modello potenzialmente perfetto se compreso alla perfezione. In sintesi, mister Garber è stato il primo a capire i frutti che la pianta avrebbe dato in futuro una volta completata la sua crescita. Marketing in aumento, vendita di diritti tv prima poco commerciabili, sponsorizzazioni anche abbastanza consistenti: grasso che cola. Andiamo per ordine. I diritti tv hanno fruttato una cifra niente male, circa 100 milioni di dollari all’anno per otto anni in virtù di un contratto siglato con ESPN, FOX e Univision, mentre le sponsorizzazioni hanno attirato vari brand globali per una somma di circa 50 milioni di dollari: ci sono Audi, Etihad, Coca Cola, Heineken e Adidas.
Non che non ci siano difetti, ma a questi si sta lavorando. L’americanizzazione del prodotto, ad esempio, con la divisione tra Western e Eastern Conference ed un sistema chiuso che non prevede retrocessioni è di recente finita recentemente sul banco degli imputati come aspetto penalizzante per lo spettacolo. L’obiettivo è tendere dunque ad una MLS più simile ad un modello europeo.
Un altro aspetto che inizia a destare qualche perplessità sono gli investimenti fuori dagli States di alcuni proprietari. È il caso di Saputo che oltre al Montreal possiede pure quote del Bologna; è il caso di Stan Kroenke che oltre ai Colorado Rapids è pure tra gli stakeholders dell’Arsenal. Molte delle franchigie sono in perdita e certi atteggiamenti alla lunga potrebbero scoraggiare gli investitori. Ma non al momento. Perché oggi come oggi i ricavi sono in crescita e si sgomita parecchio per far omologare nuove franchigie.
Qual è un bilancio dunque dello stato dell’arte della MLS? Che il sistema è ben avviato ma viaggia ancora al di sotto delle proprie potenzialità. La MLS ha puntato, così come praticamente tutti i tornei professionistici americani, ad essere una business-oriented league. L’attenzione al consumatore finale è spasmodica. Vanno letti in questo senso gli oltre 2,5 miliardi di dollari spesi in facilities per gli stadi. Ma, una volta riempiti gli impianti, è necessario offrire anche uno spettacolo costantemente all’altezza. E qui il confronto con il calcio europeo è ancora evidente. Del resto il valore delle rose si attesta sui 407 milioni (fonte: Transfermarkt). Ma tutto è migliorabile. Come la formula ad esempio. Anche perché insieme alla MLS sta germogliando un sottobosco di leghe con squadre che scalpitano per avere spazio. Interessanti sono in tal senso i numeri che fa registrare la United Soccer League, tra le seconde categorie più importanti al mondo per numeri e cifre. Una media impressionante di 6mila spettatori a partita, che nel 2017 ha toccato un 30% in più rispetto all’anno prima e non ha intenzione di continuare la propria vertiginosa crescita. Numeri da record, insomma.
C’è poi un altro aspetto non secondario. La Nazionale non riesce a beneficiare della crescita della MLS e del movimento calcistico USA in generale.
La mancata qualificazione a Russia 2018: danno di immagine ed economico
La mancata qualificazione a Russia 2018, oltre a costar la panchina all’ormai ex ct Bruce Arena (sul quale in precedenza si spendevano invece ottime parole), rischia di costare carissima. Il pallone a stelle e strisce s’è fermato in Brasile, a Klinsmann, agli ottavi di finale, a quel truzzo di DeAndre Yedlin e alle recenti montagne russe.
In Gold Cup 2015 è stata patita una tragicomica estromissione da parte della Giamaica, l’anno dopo è arrivato il miglior piazzamento dal 1995 in poi, ossia il quarto posto nella Copa Centenario organizzata in casa. Finita qui? Certo che no: lo scorso autunno è stato fatale al ct tedesco, in seguito a due ko contro Messico e Costa Rica (un roboante 4-0). L’estate appena trascorsa aveva visto la vittoria in Gold Cup, ottima referenza con la quale presentarsi in Russia. E invece niente mondiale, perché il ko contro il modestissimo Trinidad & Tobago (peraltro già fuori) è valso l’eliminazione. E lo sguardo di un paese intero, attonito dinanzi alle rimonte con cui Honduras e Panama avrebbero sorpassato gli Yankees in classifica, faceva da sfondo ad un dramma sportivo. A 31 anni dall’ultima volta, gli Usa sono fuori.
Ed è stato un suicidio in piena regola: il tiro di Gabriel Torres probabilmente non aveva varcato del tutto la linea di porta, quello di Roman Torres (decisivo) è arrivato al minuto 87. Un disastro, senza il quale Panama non avrebbe certamente indetto festa nazionale dopo la sua prima storica qualificazione al mondiale: gli USA guarderanno la Russia dalla tv.
Tv che registreranno un crollo in termini di share, ai limiti dell’impronosticabile ma tant’è. Fox Sports aveva annunciato un massiccio investimento per accaparrarsi i diritti della kermesse (oltre 400 milioni), pianificando più di 350 ore di programmazione televisiva. Steven Cahall, analista di Rbc Capital Markets, non aveva fatto tardare il suo personale commento: “E’ un brutto colpo, se gli Usa avessero partecipato Fox avrebbe trasmesso in tv almeno le tre partite del girone più quelle degli eventuali turni successivi”. Per non parlare dei vari sponsor che già pregustavano il colpaccio:Visa, Coca Cola, Continental Tires, At&t, Johnson & Johnson, Nike.
Intanto è tempo di playoff
Nel frattempo sono iniziati i playoff. La fine della regular season ha confermato il deciso trend della Toronto supremacy: 13 vittorie e un pari in 17 gare sono state sufficienti a Greg Vanney per portarsi a casa la leadership sia dell’Eastern Conference. Non sarebbe potuto esser altrimenti, con un tandem Giovinco-Altidore da paura (19 e 16 reti, rispettivamente). La classe di Víctor Vázquez poi è perfino un lusso a questi livelli; la regia di capitan Michael Bradley idem con patate.
E infatti i canadesi hanno instaurato la loro figura sul trono della MLS: il divario che li separa dal New York City (secondo in EC, a -12) o dai Portland Timbers (primi in Western Conference, ma a -15) è oltremodo imbarazzante. Questo suggerisce peraltro una considerazione importante da porre: se la Eastern Conference è monopolizzata da Giovinco, la Western è stata ben più avvincente e in classifica i Timbers hanno primeggiato al fotofinish (a pari punti coi Seattle Sounders, a +1 dal Vancouver).
Emerge dunque che il calcio americano è fortemente pendente verso est, sicché gli equilibri sono retti da una classifica generale dominata dal Pacifico. Per trovare la prima rappresentante affacciata sull’Atlantico (i Portland Timbers, per l’appunto), serve leggere altre cinque squadre prima. Tutte nell’est del paese, naturalmente.
Detto di Giovinco, Altidore, Vázquez e Bradley, poi, c’è tanto altro talento. La Eastern Conference gongola: Pirlo, Maxi Moralez e David Villa stanno a New York, spot per il calcio, mentre a Chicago brillano gli occhi dinanzi a Bastian Schweinsteiger e Nemanja Nikolić (ex Legia Varsavia). L’Atlanta venera l’ex Torino Josef Martinez, ma pure Héctor Villalba e l’ex atalantino Carlos Carmona. Il fratello maggiore di Gonzalo Higuaín (Federico) gioca a Columbus, mentre sparsi per l’est troviamo pure Diego Fagúndez, Oguchi Onyewu, gli italiani Donadel, Nocerino e Mancosu, l’ex Lecce Ignacio Piatti.
Meno bella la Western Conference, meno talentuoso e più equilibrato: Gustav Svensson e Nicolás Lodeiro a Seattle, Marcos Ureña e Chris Wondolowski a San Jose, Roland Lamah a Dallas, il fantasista brasiliano Ibson (ex Bologna) a Minneapolis, Romain Alessandrini a Los Angeles.