Johan Crujiff, l’eredità di un idolo liberale

Johan Crujiff, parlando di se stesso, disse di avere due vizi: il calcio, che gli aveva dato tutto, e il fumo, che stava per toglierglielo. Ciò che tanto temeva si è avverato all’età di 68 anni, dopo decenni di disturbi cardiaci e un cancro ai polmoni che ha posto fine alla vita di una leggenda del calcio contemporaneo. Tanto si è parlato in questi giorni dell’enorme eredità lasciata dal più grande calciatore olandese di tutti i tempi, al punto che sembra quasi scontato ricordare le sue discese sulla sinistra condite da dribbling di tacco e cross di esterno. Queste piccole invenzioni, insieme alla velocità di pensiero e al fiuto del gol, hanno formato il bagaglio tecnico che l’ha reso il migliore interprete del calcio totale olandese. Riflettendoci meglio, si potrebbe anche pensare che è stato l’uomo che ha reso possibile la realizzazione di tale filosofia calcistica oltrepassandone gli schemi, aggiungendo alla preparazione fisica e alla completezza tattica l’estro e l’incisività dei giocatori chiave di cui in teoria una squadra che pratica il calcio totale non avrebbe bisogno. Questa è solo una delle caratteristiche che hanno fatti parte della personalità forte e contraddittoria di Crujiff, uomo di sport ma anche uomo d’affari in un’epoca in cui il calcio stava per entrare definitivamente nel mondo della finanza; uno dei pochi, forse l’unico, a diventare idolo delle masse anche fuori dal campo ostentando uno spirito marcatamente liberale e capitalista, senza cedere alle simpatie della pancia popolare coma hanno fatto molti a quei tempi. Senza il suo contributo da giocatore e le sue battaglie da allenatore non sarebbe mai esistito un anello di congiunzione tra la piramide di Cambridge, fine dello spontaneismo pionieristico, e l’attuale tiqui taca caratterizzato da pressing estenuante, difesa a zona e attacco degli spazzi in fase di possesso. Non è un caso se negli ultimi anni della sua carriera ha giocato con i simboli della nuova generazione di olandesi degli anni ’80, Rijkaard, Gullit e van Basten, che segneranno un’altra epoca di astrattismo tattico nel Milan di Sacchi, e se da tecnico del Barcellona ha portato in azul-grana un certo Josep Guardiola. Anche da dirigente non ha mai smesso di provare ad affermare la sua idea, secondo la quale, come ha dichiarato in una recente intervista a Giorgio Porrà, in campo non scendono i soldi, ma i calciatori, a costo di scontrarsi con presidenti e dirigenti delle società più ricche del pianeta. Questi sono i ricordi che rimarranno indelebili nella memoria comune che le future generazioni porteranno di una delle più grandi leggende della storia dello sport, la speranza è che non venga dimenticata la correttezza e la semplicità con le quali tutto ciò è stato realizzato da un padre di famiglia che al valore del potere d’acquisto ha preferito il valore delle idee e delle persone care, e fuori dal campo ai riflettori del successo una discreta, straordinaria normalità.