Juventus–Parma è una partita che ha sempre regalato forti emozioni, ma almeno una è rimasta nella storia del calcio.
7 febbraio 1999, ore 20.30. E’ la ventesima giornata di campionato, al delle Alpi fa freddo, la Vecchia Signora non sta brillando, e Marcello Lippi ha annunciato da poco che a fine anno lascerà il club per iniziare una nuova avventura all’Inter. E’ uno dei primi anni in cui si giocano anticipi e posticipi, e quando Fabio Caressa annuncia il fischio di inizio su Tele+ Bianco, si intuisce che sta per iniziare una partita diversa dalle altre.
Alla Juventus serve una riscossa dopo qualche scivolone di troppo in campionato. Le parole d’ordine sono grinta e convinzione, e infatti i bianconeri partono subito forte. Al 15’ la difesa emiliana allontana una palla recuperata in area di rigore su cui si avventa Tacchinardi, che ha vinto il ballottaggio con Deschamps. Siamo a 35 metri dalla porta, e il centrocampista bianconero si allunga leggermente il pallone, sembra quasi che stia per perderne il controllo. Alla sua destra si avvicina un avversario per contrastarlo, e Tacchinardi opta per la scelta del difensore senza fronzoli che teme la cazziata dell’allenatore, ovvero il tiro in tribuna, se possibile sopra il primo anello. Il problema è che Tacchinardi la palla se la ritrova sul sinistro, e non è mica facile mirare il secondo anello di sinistro. Lui però è caparbio: abbassa la testa e con tutta l’energia che riesce a raccogliere in poche frazioni di secondo la colpisce in pieno di collo esterno. Ricordo che tanti anni fa uno dei titoli del tema di maturità richiedeva di trattare del concetto di viaggio. Tutti si dimenticarono di citare il percorso di un pallone che dal sinistro di un centrocampista stava per raggiungere lo spazio, ma fu bloccato dalla traversa e terminò all’incrocio dei pali, ponendo fine alla vita di un ragno qualsiasi e distruggendo per sempre il suo meticoloso lavoro, una ragnatela alla destra dello scioccato Gigi Buffon, la giovane promessa del Parma. Tacchinardi si riprodusse nell’urlo di Tardelli correndo sotto la curva, provò a ripetersi con la bandierina del calcio d’angolo, questa volta di destro, ma riuscì soltanto a rimediare un’ammonizione. Il parma quell’anno però è giovane ed irruento, ha scommesso su Malesani e ha tanti talenti su cui contare nei momenti di difficoltà.
Dopo venti minuti di sostanziale equilibrio, Enrico Chiesa si immola palla al piede sulla fascia sinistra in una corsa contro il tempo, anche se manca ancora un’ora di gioco alla fine del match. Ha ragione lui, perché sul suo cross rasoterra si avventa rapace il ventitreenne Hernan Crespo, che anticipa Peruzzi e insacca di piatto. Il pareggio mina le certezze degli juventini, che ripiombano nell’insicurezza delle ultime settimane. Dopo soli 4 minuti, Montero deve gestire un innocuo lancio partito dalla mediana avversaria. Con un facile retropassaggio di testa si potrebbe consolidare il possesso, e infatti l’uruguagio ci prova, solo che non è mai stato un asso nel gestire le situazioni difficili, e in quel particolare momento non è tranquillo. Il retropassaggio è moscio, e ci si avventa l’indemoniato Chiesa, che salta Peruzzi con una finta di pallonetto e corre solitario verso la porta sguarnita. La Juve è sotto e il Parma sogna. Lo sconforto bianconero e l’entusiasmo parmigiano sono due energie contrastanti pronte a produrre un evento traumatico. Arriva dopo un minuto, al 40’: punizione del professor Veròn che apre su Benarrivo, il quale più rognoso del solito rimette in mezzo di testa. Crespo è troppo motivato per non arrivare primo su quel cross morbido con il portiere già uscito dai pali. Tocco di testa e Peruzzi scavalcato. Juve 1 Parma 3. Abisso bianconero. Non ho mai voluto immaginare l’intervallo che trascorsero quella sera i giocatori della Juventus.
Il secondo tempo non sembra aver portato aria di novità in campo. Tredici minuti monotoni precedono la meraviglia. Quando in una mischia a centrocampo ci sono Benarrivo e Dino Baggio, e giocano con la stessa squadra, l’esito e scontato. La carambola furibonda che ne segue assegna la palla alla maestria di Juan Sebastian Veròn. L’argentino, che gioca sempre a testa alta, crossa basso in direzione Crespo. Il bomber non si fa pregare: si avventa sul primo palo e di tacco destro scavalca e ripeto scavalca Angelo Peruzzi con un pallonetto delizioso, firmando la tripletta personale. Un gesto che per anni ho provato ad imitare e che ancora vedo ripetere nei campetti di provincia ad adolescenti inconsapevoli. 1-4. Segnerà anche Fonseca, infortunandosi, e portando il punteggio sul 2-4. Servirà a poco.
Durante il post partita Marcello Lippi pronuncerà una frase storica: “Se sono io il problema, me ne vado”. La domenica seguente sulla panchina bianconera sedeva Carletto Ancelotti, scuola Parma. Ma questa è un’altra storia.